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Il PD ai tempi dello sblocco dei licenziamenti

Un articolo che mostra in maniera impeccabile come il PD intenda risolvere il problema dei 422 licenziamenti alla GKN

14 Luglio 2021
chiti


Sul quotidiano «La Nazione» è apparsa un'arabescante intervista all’ex presidente della Regione Toscana, nonché ex ministro e parlamentare per il Partito Democratico, Vannino Chiti.

L’intervista prende le mosse dal licenziamento dei 422 operai della GKN nel fiorentino, ma più che per il tenore delle domande del foglio della Monrif SPA (che pur rivelano al fondo un significativo turbamento della borghesia per le reazioni possibili e già in corso di strutturazione della classe operaia a seguito dello sblocco dei licenziamenti) è interessante, in ordine alle risposte che di seguito verranno citate, la figura dell’intervistato. Fondamentale è, di fronte al ciclone epocale che ha già cominciato a risucchiare il proletariato, comprendere quanto nemiche siano le posizioni del PD, cioè del più grande partito che ancora si pretende iscritto nella storia della sinistra pur essendo oggettivamente fuori anche dal ventaglio del riformismo “di sinistra”. Nelle parole del "Seneca" dem si preannuncia la linea cui il Partito Democratico si atterrà saldamente per tutto il corso di aggressioni padronali che incombe e già si abbatte sul proletariato.

Se si dovesse prescegliere una figura che rappresenti inappuntabilmente la continuità della politica liberale e antioperaia degli ultimi decenni, demolitrice dei diritti dei lavoratori e, con essi, della fiducia di massa verso la sinistra politica; se si dovesse trovare il prisma di tutte le ipocrisie, le imposture, i voltafaccia dell'illusionismo riformista dalla fondazione della Repubblica ad oggi; se si unissero i puntini della camaleontica catena di tradimenti verso la classe operaia, a partire dallo stalinista PCI di Togliatti per arrivare all’odierno Partito Democratico passando per la svolta della Bolognina, ecco il tratto d’unione disegnerebbe distintamente la serafica maschera del cattocomunista Vannino Chiti.

Appassionato studioso e prolifico saggista circa il ruolo del cattolicesismo nel Partito Comunista, Chiti è stato nel PCI dal 1970 al 1991, anno della sua dissoluzione; dal 1991 al 1998 nel PDS; dal 1998 al 2007 nei DS; dal 2007 ad oggi nel PD. Negli anni in cui abbiamo visto pontefici abdicare e D’Alema in minoranza, l’imperturbabile Chiti è rimasto semper fidelis all’Ordine. Simboli e colori per la fodera del pugnale sulla schiena dei lavoratori, ne ha cambiati per tutte le stagioni e i trenta denari li ha intascati nei coni più disparati. Eppure il «compagno tra i compagni» - così lo epìteta il primo quotidiano toscano - con la stoica impudenza dell’accademia togliattiana sermoneggia: «Bisogna ricostruire un progetto di società, un programma coerente con i valori dichiarati, battersi contro povertà e ingiustizie».

Né è dato sapere all’indirizzo di chi sarebbe da scagliare l’accusa per non averlo mai fatto in anni di politiche padronali e oggi stesso, visto che a parlare è l’uomo del governo secolare e visto che al governo si trova proprio il sempiterno partito di Chiti.

«Sulla Toscana - prosegue con ineffabile gesuitismo - come su altri territori, in Italia, in Europa, nel mondo, si abbatte la logica di una visione che non guarda all'impresa, alle produzioni, ai lavoratori ma ai soli interessi finanziari. Si perde quella funzione sociale della proprietà, che non solo è scritta nella nostra Costituzione, ma è ciò che fonda e giustifica il compromesso tra capitalismo e lavoro».

Per il Vangelo Secondo Chiti il problema non sta nei padroni e nel costituzionalissimo diritto alla proprietà privata dei mezzi di produzione che li legittima oggi, li ha legittimati ieri, li legittimerà domani a vendere i siti e/o fuggire in caccia di più ridenti lidi, cioè regioni con un minor peso fiscale a carico dei capitalisti. Chiaro che no; quale scismatica apostasia potrebbe portar mai a una simile conclusione? È evidente invece che, in primis, la proprietà privata abbia una «funzione sociale» (algebra rispetto alla quale non solo Marx ma il più ubriaco dei semiologi trasalisce) che, ahinoi, sta progressivamente smarrendo, senza che il cardinale di partito si degni tuttavia di responsabilizzare - fosse anche vera, nel mondo alla rovescia, tale tesi - il governo che questa privatizzazione della già privata proprietà potrebbe impedire mentre invece assistiamo, a distanza nemmeno di cinque giorni, alla seconda fabbrica che chiude i battenti dopo la Giannetti Ruote in Brianza. Ciò, per tenerci al solo periodo del dopo-sblocco. E, conseguentemente con la sua partigianeria per il sistema privato che avrebbe una utilità sociale, il progressista del regresso postula che la frattura non è da rinvenire tra i lavoratori, i salariati, gli espropriati della loro produzione di valore da una parte e dall’altra i loro espropriatori, i capitalisti, i pionieri del massimo profitto; ma, con tutta evidenza, l'unico conflitto che sussiste è tra questi ultimi e le banche. I capitalisti industriali, i buoni, contro i capitalisti finanziari, i cattivi.

La teologia cattolica era sorda nell’identificare religione e clero; così è sorda la teologia capitalistica nell’immedesimare capitalisti e capitale. Chiti potrà vedere coi suoi occhi che l’industriale della GKN è il medesimo che compartecipa delle azioni di Borsa del fondo bancario al quale l’ha alienata, potrà studiare per anni come la speculazione finanziaria non è che la superfetazione della speculazione sulla produzione, che capitale industriale e capitale finanziario sono due facce di un’unica medaglia - del capitalismo appunto - ma non lo confesserà. Così si ricorre, contro ogni evidenza storica e logica, materiale e teorica, al protestantesimo capitalista che da tempo va contrabbandando le sue tesi economiche presso circoli liberali, sciovinisti di sinistra e di destra e perfino fascisti con canali di diffusione di stampa nazionale, televisione, web.

Che Chiti mente sapendo di mentire lo si evince dalle farisaiche recriminazioni che muove al suo partito: «Il PD spesso, e nelle campagne elettorali, visita le imprese, i candidati si fotografano con imprenditori e manager e magari dimenticano di incontrare i consigli di fabbrica. Noi dovremmo essere il partito del mondo del lavoro, anzi dei lavori». Chi nutrisse del feticismo per la logica formale sarebbe autorizzato a chiedersi per quale ragione, vista la perorata utilità sociale degli imprenditori, è sbagliato che il partito dell’utilità sociale, degli interessi dei lavoratori quale Chiti pretende che il PD sia, sia per l'appunto amico degli imprenditori e non disdegni di esibirlo. Ma noi della logica formale ce ne facciamo poco e la contraddizione di questa uscita con le dichiarazioni di sopra non ci confondono, al contrario ci danno ulteriormente ragione.

Quando si dice che la stampa borghese favorisce la narrativa borghese non è un estremismo ideologico. È dimostrato in domande come: «L'impresa fa e disfa specialmente se si tratta di multinazionali che non hanno radici sul territorio. Dove sono le istituzioni? Che possono fare?». Con quel «specialmente se si tratta di multinazionali che non hanno radici sul territorio» questa si rivela come la domanda combinata che fa esattamente il gioco dell’intervistato. Chiti afferma la tesi che assolve dai propri crimini gli industriali, scarica ogni responsabilità sull’inafferrabile nebulosa della finanza extraterritoriale, extranazionale, addirittura extracontinentale («Occorre una visione internazionale, non solo europea», «Sono temi non confinabili più nei soli Stati nazionali, come nel vecchio compromesso socialdemocratico», ecc. Andremo a chiedere ai seleniti se per caso la colpa del capitalismo l’hanno loro) per concludere che le «politiche di distribuzione dei vantaggi della globalizzazione sui ceti popolari» sono responsabilità internazionale e sottintendere che, sul luogo e sul momento dato, un governo italiano e finanche europeo nulla può. Che la GKN delocalizzi a ridosso del G20 non imbarazza le ricette di Chiti. Chiliasmo della libertà! Messianesimo dell’uguaglianza! Millenarismo dell’ecologia! Le tre reliquie che Chiti riesuma alla frase: «Mi dica tre cose di sinistra». I termini in cui il giornalista formula la domanda ratificano la visione di Chiti e la pongono a base di partenza per ogni soluzione che ormai si rarefà nella metafisica pura.

«Un compromesso - quello tra capitale e lavoro scritto nella costituzione, insiste il “saggio” - da aggiornare e riformare profondamente, non da archiviare a vantaggio di chi ora si sente più forte. Ciò provocherà tensioni sociali che non giovano alla ripresa economica, dopo crisi e pandemia. La Gkn è entrata in coma quando a rilevarla qualche anno fa è stato un Fondo finanziario».

Se da aggiornare fosse invece il sistema che ha espresso questo compromesso da sempre assurdo sancito dalla Costituzione di De Gasperi e Togliatti? Se ad aggiornarlo fosse proprio quell’esplosione della tensione sociale da parte dei più deboli invece di illuderli senza neanche più le carte per farlo? Se tre anni fa la GKN fosse stata sì acquisita dalla Melrose Industries, ma per volontà degli stessi padroni dello stabilimento che il fondo britannico ingozzò per la bellezza di 11 miliardi di dollari?

Se nella parabola di Chiti, infine, i cattivi sono cattivi ma fossero cattivi anche quelli che, per giustificare ogni pilatismo del governo, egli prova a presentare come i buoni? Risulterebbe che i buoni si trovano da tutt’altra parte, la parte sociale che è il vero tabù, il più grande rimosso di ogni narrativa dominante nel ventunesimo secolo: la classe lavoratrice.

Ma è tutta l’intervista ad aprirsi nel solco del surrealismo, il colpo di teatro in seguito al quale è poi tutto in discesa contenuto nell’appello: «Il governo Draghi deve intervenire e mettere in campo il suo peso politico, essere dalla parte dei lavoratori e del territorio».

L’identico governo che, con lo sblocco dei licenziamenti, ha appena armato la mano del criminale, che il suo peso politico lo ha messo in campo proprio a favore dei carnefici, dovrebbe essere chi interviene in difesa delle vittime. Le dichiarazioni a carattere sociale di Chiti e Landini in questi giorni sono xilografie demoniache viventi, di quelle con la faccia nel deretano. Il PD vive in una sorta di carnevale classisticamente capovolto: imbastisce un mondo sottosopra apotropaico solo per i padroni.

Chiti, appassionato di cattolicesimo, conoscerà la fine del mentitore e traditore per eccellenza, Giuda Iscariota. Il Nuovo Testamento racconta che l’apostolo, pentito per aver venduto "il sangue innocente", gettò ai piedi dei sommi sacerdoti le trenta monete, dichiarò la sua colpa al tempio e andò a impiccarsi.

Ma il personaggio di Giuda non è storico come gran parte dei testi che ne ospitano l’episodio. Nella assai meno nobile realtà materiale, può toccare i livelli di abiezione più profondi solo chi è integralmente e irreversibilmente marcio. E tali soggetti non confesseranno da soli, non restituiranno il prezzo del tradimento, non commetteranno alcun redentivo suicidio politico. Al contrario andranno sempre più in fondo, come dei perpetui Dorian Gray orbati di finale. La catarsi può venire solo da una forza esterna. Per questo il Partito Democratico non può e non deve passare più per l'equivoco progressista; per questo è da identificare nella spettroscopia della politica come destra finanziaria accanto alla destra populista del M5S e della destra radicale e fascista di Lega e Fratelli d’Italia; per questo la logica del «meno peggio», del voto di sinistra utile per il PD è priva di ogni logica ed è ogni giorno più urgente tornare a dare contributo, partecipazione, militanza alla sinistra di classe, alla sinistra rivoluzionaria, alla sinistra bolscevica. Quella che i Chiti, come nel corso stesso dell’intervista in esame, dileggiano malgrado sia ai minimi storici perché ancora al solo pensarla, sapendo a quale destino li condannerebbe il ritorno di un suo trionfo, tremano di terrore.

Nella storia del movimento operaio, le crisi spargono lacrime e sangue, ma fanno anche da carburante per il disgelo delle illusioni, per il rilancio della lotta, per la fine della ritirata.

Il Partito Comunista dei Lavoratori si impegnerà affinché questa duplice crisi, la crisi sanitaria dentro la crisi economica, dispieghi tutte le energie operaie imbrigliate e represse da generazioni, ma ogni giorno più capaci di fare nell’inferno di questo mondo il paradiso che altrimenti nessun dio, nessun governo, nessun capitalista industriale o finanziario regalerà mai.

Salvo Lo Galbo

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