Interventi
Giugno 1941: l'invasione dell'URSS, i tradimenti della burocrazia stalinista e la resistenza del proletariato sovietico
22 Giugno 2021
Il 22 giugno del 1941, le aspettative di Stalin e della sua cricca burocratica, che sin dai giorni della firma del patto Molotov-Ribbentropp avevano riposto una grande fiducia in Hitler e nel governo del Terzo Reich, crollarono come un castello di carte. Le truppe della Wehrmacht invasero il territorio sovietico a sorpresa, nonostante fosse in atto un patto di non aggressione sin dall'agosto del 1939.
LA RIMOZIONE DELL’ANTIFASCISMO
Dalla firma del patto Molotov Ribbentropp all'invasione dell'Urss, ogni riferimento all'antifascismo venne puntualmente rimosso. Basti pensare che la stessa parola "fascista" venne rimossa dai giornali. Per ingraziarsi ulteriormente il Fuhrer, Stalin fece rimpatriare forzatamente in Germania centinaia di esuli antinazisti che erano rinchiusi nei gulag, come il poeta Erich Mühsam, il compositore Hans David (che morirà nella camera a gas di Majdanek) e i due scienziati atomici tedeschi, “arrestati come spie”, Fritz Houtermans, Alexander Weissberg [1] ed infine Margareth Buber Neumann (che narrò questa tragica esperienza nel suo romanzo autobiografico Prigioniera di Stalin e Hitler), che passò direttamente nei lager nazisti.
Un diplomatico tedesco di nome Hencke, che partecipò al banchetto che seguì la firma del patto il 24 agosto del 1939, testimoniò quanto Stalin e la sua cricca burocratica non volessero in alcun modo provocare alcun conflitto con Hitler, anzi: «Brindisi: nel corso della conversazione, il signor Stalin ne propose spontaneamente uno al Führer, dicendo: “So quanto la nazione tedesca ami il suo Führer; avrei piacere dunque di bere alla sua salute”».
Non è un caso che, nella Parigi occupata dai nazisti nella primavera del 1940, uno degli uomini di fiducia della cricca staliniana in Francia, l’avvocato Foissin, tentasse una serie di approcci con Otto Abetz, emissario del Terzo Reich a Parigi, per ottenere che il quotidiano del PCF l’Humanitè venisse pubblicato legalmente.
LA COLLABORAZIONE MILITARE TRA LA CRICCA STALINIANA E QUELLA HITLERIANA
Nel periodo tra la firma del patto Molotov-Ribbentropp e l’invasione dell’Unione Sovietica, la cricca staliniana e la cricca hitleriana collaborarono assiduamente in termini militari. I porti russi offrirono un punto d'appoggio alla marina tedesca per la riparazione delle navi da guerra e il loro equipaggiamento (come a Murmansk). Fu concessa agli incrociatori tedeschi la rotta del Mare Artico per raggiungere il Pacifico. 900.000 tonnellate di petrolio sovietico vennero forniti a prezzo “di favore” alla Germania nazista [2].
LA CIECA FIDUCIA DELLA BUROCRAZIA IN HITLER
Nella primavera del 1941 le informazioni che trapelavano sia dai servizi segreti, sia dagli addetti militari all’ambasciata di Berlino, Vorontsov e Khlopov, sia da soldati della Wehrmacht (come Alfred Piskov, militante del KPD, che sparì nei gulag staliniani nella seconda metà del 1942) che disertavano fuggendo in Urss e confermavano tutte l'imminenza di un attacco nazista all'Unione sovietica, vennero puntualmente ignorate. Ci furono dei vani tentativi anche da parte di diplomatici britannici e persino dello stesso Churchill di avvisare il governo dell’URSS dell’imminente invasione nazista. In barba a tutte queste voci continuavano i rifornimenti alla Germania nazista di milioni di tonnellate di materie prime.
Da parte della burocrazia sovietica, e in primis di Stalin, la fiducia nel Patto Molotov Ribbentropp era totale. Questo nonostante 147 divisioni della Wehrmacht e circa quattro milioni di soldati tedeschi, venissero progressivamente ammassati sul confine, pronti per l’invasione coadiuvati da migliaia carri armati, aeroplani e decine di migliaia di cannoni e mortai. Un’invasione che sarebbe stata semplificata ancor più dalla direttiva di Stalin di non costruire alcuna fortificazione nei territori della Bielorussia e dell’Ucraina, e di demolire quelle esistenti come testimonianza di buona fede nei confronti della Germania nazista.
Non a caso nelle prime ore che seguirono l'inizio dell'Operazione Barbarossa, il nome che i nazisti diedero al tentativo di invasione dell'Urss, Stalin ordinò di non rispondere al fuoco, convinto com'era che fossero soltanto dei reparti indisciplinati della Wehrmacht. Una linea che si rivelò fallimentare e disastrosa, e che contribuì a mettere in ancora maggiore difficoltà l'Armata Rossa, che negli anni precedenti durante le purghe era stata privata dei suoi principali comandanti come i marescialli Tuchacevsky (grande stratega ed inventore di tattiche militari di offensiva come quella del Blitzkrieg), Jakir e Gamir ed oltre il 90% dei suoi quadri superiori.
Anche per quanto riguarda gli armamenti l’Armata Rossa fondata poco più di vent’anni prima da Trotsky versava in condizioni disastrose, soprattutto per quanto riguardava l’artiglieria e l’anticarro. Nelle settimane precedenti l’invasione nazista, inoltre, ai reparti e alle divisioni dell’Armata Rossa era stato ritirato il materiale vecchio senza sostituirlo con materiale nuovo [3]. La sproporzione tra gli armamenti della Wehrmacht e dell’Armata Rossa era sempre più evidente.
La fiducia di Stalin in Hitler si rivelò disastrosa anche perché dopo pochi mesi, il Terzo Reich controllava oramai i territori maggiormente ricchi di popolazione, industrie e materie prime (parliamo dei territori in cui si produceva la maggioranza del carbone, della ghisa, il dell’acciaio, dell’alluminio, dello zucchero, del grano e dove si allevava buona parte dei maiali e si trovava quasi la metà delle linee ferroviarie), ed inoltre più di due milioni di proletari sovietici fatti prigionieri dalla Wehrmacht e dalle odiose SS.
Possiamo tranquillamente affermare che gran parte dei rifornimenti di materie prime che vennero utilizzati dal Terzo Reich durante la Seconda Guerra Mondiale fossero provenienti dai territori dell’Unione Sovietica. Non è un caso che nell’agosto del 1939, poche ore prima della firma del patto Molotov-Ribbentropp, Hitler affermasse la necessità da parte del Terzo Reich di conquistare l’Ucraina, considerata unanimemente come il granaio d’Europa.
LA RESISTENZA DEL PROLETARIATO SOVIETICO NEL NOME DI LENIN E DELL’OTTOBRE
Se da un lato la cricca staliniana nei primi giorni dell’invasione nazista non fu in alcun modo capace di dare direttive all’Armata Rossa e alla popolazione, è famoso infatti il mutismo nel quale si rinchiuse Stalin per più di una settimana ed il fatto che rimase rinchiuso tra le mura del Cremlino fino all’autunno, nelle città operaie come Mosca, Leningrado, Rostov, Sebastopoli, dove i nazisti provavano ad avanzare la resistenza degli operai fu a dir poco eroica. Operai e operaie lavorarono con enorme determinazione alla costruzione di fortificazioni improvvisate, dalle quali poter resistere all’avanzata nazista strada per strada, casa per casa.
Non è un caso che Mosca, che era stata evacuata nell’ottobre del 1941 dalla cricca staliniana che portò via l’intero apparato del PCUS, venne difesa strenuamente da operai armati nella maggioranza dei casi soltanto di martelli [4]. Giovani operai e operaie organizzarono dal basso la resistenza, a Mosca come a Leningrado, in barba alla codardia dell’apparato staliniano che, in una logica di autoconservazione tipica degli apparati, aveva provveduto alla sua unica salvezza lasciando i proletari di città come Leningrado e Mosca senza alcuna direttiva.
Tra i contadini e gli operai dei territori occupati della Bielorussia, dell’Ucraina, tra i minatori del Donbass e del Donetsk, nacquero sin da subito gruppi di resistenza partigiana autorganizzati, senza alcuna direttiva da parte dei quadri del partito e dell’Armata Rossa, che nella stragrande maggioranza dei casi fuggirono o passarono al nemico, come il generale Vlassov, convinto stalinista, che nel 1942 passò armi e bagagli dalla parte della Germania nazista tentando di organizzare un esercito di collaborazionisti russi, il cosidetto Esercito Russo di Liberazione.
Il proletariato sovietico, principale protagonista della Rivoluzione d’ottobre e della Guerra Civile Russa, che già allora diede prova di difesa contro le Armate Bianche zariste finanziate ed aiutate militarmente dagli imperialismi occidentali, le cui perdite superarono i cinque milioni durante la resistenza alla barbarie nazifascista, con i suoi processi di autorganizzazione nella lotta per strada nelle città operaie e nella resistenza nelle campagne e nelle foreste per difendere le conquiste dell’Ottobre, dà ancora oggi una importante lezione ai militanti marxisti rivoluzionari.
Una lezione in barba ad ogni retorica di “Grande guerra patriottica” tanto cara a settori stalinisti e putiniani, che troppo sovente si danno la mano nell’ostacolare la crescita e la radicalizzazione del movimento operaio, in Russia come in altri paesi dell’Est Europa, come nella Bielorussia guidata dalla cricca tardostalinista dell’odioso Lukashenko, contro la quale nei mesi scorsi la classe operaia insieme alle donne e agli studenti ha lottato con determinazione, protagonismo e coraggio.
Note
1 - Salvo Lo Galbo, Il biennio nazi-sovietico. La leggenda e la realtà
2 - Marco Ferrando, Il volo di Pjatakov e il negazionismo stalinista (seconda parte)
3 - Pierre Broué, Storia del Partito Comunista dell’URSS, Sugar Editore 1966
4 - Ibidem