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Sulle elezioni amministrative 2021

Un’occasione per opporsi al governo unito del capitale con un programma di rivoluzione

27 Maggio 2021
el2021


Le elezioni amministrative, che vedranno in ottobre le “cittadine e i cittadini” esprimersi per il rinnovo dei consigli comunali di numerosi comuni, tra cui molte città capoluogo, da Roma a Milano, Napoli, Torino, Bologna, etc., cadono a ridosso della combinazione della più grave crisi sanitaria e della più grande crisi economica del dopoguerra.

La crisi sanitaria si è trasformata in una tragedia dettagliata dall’elevatissimo numero di morti e persone debilitate in permanenza, provocato sicuramente dall’aggressività del Coronavirus, ma altrettanto indubbiamente dallo sfacelo del sistema sanitario nazionale debilitato da decenni di tagli e privatizzazioni. Un sistema sanitario che già prima dell’epidemia contava centinaia di ospedali in meno e la carenza di decine di migliaia tra medici, infermieri e personale sanitario.

Semplicemente il sistema sanitario non ha retto l’impatto del contagio e la risultante è stata la conta dei morti.

A ciò si sono aggiunte le incompetenze del governo e la sua acquiescenza ai criminali interessi dei capitalisti che, finché hanno potuto, si sono opposti al lockdown in molti territori, continuando a fare lavorare i propri dipendenti spesso in assenza dei presidi sanitari essenziali.

Nonostante le resistenze, il governo ha dovuto prendere misure di restrizione sanitaria drastiche che hanno bloccato interi settori industriali (il settore del turismo, il settore dell’auto, il settore dei servizi, etc.) determinando una crisi che ha colpito tutti, anche se, come sempre, alcuni settori capitalistici si sono ingrassati proprio grazie ad essa (industria farmaceutica, le grandi piattaforme per il commercio on-line come Amazon, la logistica, le banche che speculano sul debito pubblico in crescita esponenziale).

La crisi economica è divenuta così l’ombra di quella pandemica.

Larghe fasce di piccola borghesia (piccoli commercianti, del settore turistico, dei servizi alla persona, etc.) sono stati rovinate, e dovendo garantire il grande capitale (garanzie pubbliche sul credito ed ulteriori defiscalizzazioni) il governo ha concesso loro risorse insufficienti (ristori) per di più caricandoli sulla fiscalità generale (anche con condoni e minori controlli sull’evasione fiscale), ossia sulle spalle del lavoro dipendente che vi contribuisce all’80%.

La crisi, dunque, è come un cerino acceso che dal grande capitale viene passato alla piccola borghesia per finire immancabilmente per scottare le mani alle lavoratrici e ai lavoratori, in definitiva la solita vittima sacrificale.

Le misure prese dalle grandi centrali imperialistiche, la UE e gli Usa, sono straordinarie. Nell’ambito del Recovery Plan all’Italia spettano 248 miliardi di euro in 6 anni, oltre alla possibilità dello scostamento del rapporto debito-PIL permesso dalla sospensione del patto di stabilità.

La misura per dimensioni appare una sorta di riedizione del piano Marshall. Si connota sostanzialmente per una parte di un vero e proprio prestito “agevolato” (a basso interesse) e per un’altra di un esborso a fondo perduto, caricato sulla socializzazione del debito a livello europeo. Ciò significa che da una parte il prestito contratto si dovrà restituire, con gli interessi, direttamente, andando a gravare sulle disponibilità finanziarie per il futuro; dall’altra occorrerà metter mano a “riforme” che sostanzialmente taglieranno ulteriormente lo stato sociale, dalle pensioni ai servizi (scuola, sanità).

Insomma, questi finanziamenti sono carburante per far ripartire l’economia capitalista e la proiezione imperialista italiana (Libia, Medioriente), unitamente ad una loro ristrutturazione (Industria 4.0) a scapito delle condizioni di vita e dei diritti della classe lavoratrice e del complesso del mondo del lavoro.

La macelleria sociale conseguente è già in corso e non potrà che aggravarsi con lo sblocco dei licenziamenti, necessario a questa ristrutturazione, secondo l’ineluttabile logica del capitale.

La borghesia italiana e i suoi partiti si sono attrezzati a questo durissimo passaggio di fase. Il varo del governo Draghi, un governo di unità nazionale sostenuto dalla grande maggioranza dei partiti dell’arco parlamentare, rappresenta esattamente il varo di un autentico comitato di gestione delle misure abnormi per il rilancio e la ristrutturazione del capitalismo italiano.

Da tempo il PCL è impegnato in diversi percorsi e iniziative di unità d’azione d’avanguardia, sempre con l’obbiettivo e nella prospettiva della costruzione del più ampio fronte unitario di classe che avanzi una vertenza generale sulla base delle rivendicazioni del programma transitorio, quale principio tattico per creare un ponte tra i bisogni immediati della classe lavoratrice e la prospettiva della rivoluzione socialista. L’unità dei capitalisti e dei partiti borghesi dietro il vessillo del governo Draghi rende ancora più urgente la risposta della classe operaia con la forza della sua mobilitazione unitaria, ciò che implica l’ulteriore attivazione delle forze del Partito.

Tuttavia, il programma di rivoluzione del Partito non si limita solo alle misure rivendicative che il fronte unico di classe dovrebbe portare avanti per aprirsi la strada verso un’inversione degli attuali rapporti di forza tra le classi, ma indica l’unica soluzione politica che possa assicurare l’alternativa di società: il governo delle lavoratrici e dei lavoratori, basato sulla loro forza organizzata.

Le elezioni amministrative rappresentano l’occasione per presentare questo programma di rivoluzione all’attenzione della più vasta platea di lavoratrici e di lavoratori e delle classi popolari. Di fronte alla portata della crisi l’appuntamento elettorale assume un significato nazionale e non può essere ridotto ad un fatto locale. Lo stesso commentario mass-mediatico lo afferma quotidianamente. Dappertutto bisogna far crescere l’opposizione al governo Draghi. Ciò è assolutamente necessario.

Ma non basta: senza un programma di rivoluzione che non tragga conforto dal bilancio politico del disastro compiuto negli ultimi decenni dalle sinistre riformiste, con il loro appoggio nei più diversi paesi dell’Europa a governi borghesi e alle loro politiche di sacrifici ai danni della classe lavoratrice, si è condannati a ripetere gli stessi errori e ad indebolire le possibilità del risveglio della mobilitazione operaia.

Per questo, sul terreno elettorale non è possibile l’unità con i riformisti, destinata immancabilmente ad un mercato di programmi e di parole d’ordine sul terreno del minimo comune denominatore. Un minimo comune denominatore di cui oggi misuriamo la drammatica sproporzione e inadeguatezza di fronte alla catastrofe sociale.

La sirena unitaria per liste genericamente di sinistra può esercitare un’attrattiva anche nei confronti di tante compagne e compagni del tutto in buona fede, ma ciò che vien sempre rimosso al piede di partenza della composizione di tali liste è appunto il bilancio politico del riformismo. Alcune compagne e compagni possono credere, con tutta onestà, che la candidatura in liste unitarie possa facilitare la visibilità del Partito laddove non avesse le forze per la presentazione elettorale autonoma. Tuttavia, il prezzo da pagare è troppo salato: proprio le ragioni del Partito verrebbero messe da parte, a partire dal suo impegno per l’unità d’azione delle avanguardie per il fronte unico di classe e lo sbocco politico che dovrebbe avere per garantire le sue rivendicazioni: il governo delle lavoratrici e dei lavoratori.

Il vantaggio sarebbe solo delle organizzazioni riformiste, che, come un’agenzia interna al movimento operaio, lavorano incessantemente, ora con frasi scarlatte, ora con argomenti “ragionevoli” e concreti, a consegnarlo mani e piedi nelle mani della politica borghese e degli interessi capitalistici.

Le militanti e i militanti del PCL, senza smentire per un attimo, anzi proprio per rilanciare il loro impegno unitario riferito a tutte le organizzazioni che fanno riferimento alla classe lavoratrice, rifiutano il metodo delle liste unitarie con i riformisti, riaffermano la tattica elettorale leninista, che vuole utilizzare le elezioni come una tribuna rivoluzionaria, e lavorano controcorrente per la presentazione elettorale autonoma delle liste del Partito Comunista dei Lavoratori alle prossime elezioni amministrative.

Partito Comunista dei Lavoratori

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