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A proposito del voto italiano su Cuba all'ONU

Chi sono gli amici della rivoluzione cubana?

2 Aprile 2021
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Il governo italiano, all'insegna del rinnovato atlantismo, ha votato contro la proposta di sospensione delle sanzioni avanzata dal Consiglio per i Diritti Umani dell'ONU, in considerazione della pandemia mondiale. Il voto è stato oggetto di discussioni in Italia attorno alla sua rilevanza o meno per Cuba. Cuba è coinvolta o no dal voto ONU? Il posizionamento italiano riguarda o no l'embargo su Cuba? Qual è la vera valenza del voto?

La risoluzione del Consiglio dei Diritti Umani dell'ONU non cita espressamente Cuba. È una risoluzione che afferma da un punto di vista generale l'irrilevanza delle politiche sanzionatorie ai fini della difesa dei diritti umani, e la loro inopportunità in ogni caso nell'attuale crisi sanitaria internazionale.
La risoluzione, proposta in primo luogo dalla Cina, non è innocente. La Cina mira a mettere sotto accusa l'uso delle sanzioni da parte dell'imperialismo USA come arma della politica mondiale. Lo fa per tutelare i propri interessi e gli interessi dei propri alleati (vedi giunta militare sanguinaria birmana). Non c'è nulla di progressivo in sé nella proposta cinese. Non c'è nulla di progressivo più in generale nella natura sociale della Cina, da tempo una grande potenza imperialista in ascesa che contende agli USA l'egemonia mondiale, che colonizza larga parte dell'Africa, che sfrutta i propri salariati, che opprime il popolo degli Uiguri. Quanto ai rapporti della Cina con Cuba, non riguardano per nulla la rivoluzione cubana. Semmai l'aspirazione ad assorbire Cuba sotto il proprio dominio, offrendosi come sponda ai settori filocinesi delle burocrazia cubana, quelli che sognano di “fare come in Cina”, restaurare il capitalismo ma preservare il monopolio del potere nelle mani del partito cosiddetto comunista (che in Cina conta nelle proprie file, per dare l'idea, i capitalisti supermiliardari come Jack Ma).

Ma è forse innocente il voto contrario alla risoluzione da parte degli USA? Per nulla, naturalmente. La dottrina USA sui diritti umani è il più grande concentrato di ipocrisia della diplomazia mondiale. L'imperialismo USA è il principale saccheggiatore dei diritti al mondo di tutto il secondo dopoguerra. Sostenitore dei peggiori golpe reazionari e fascisti in America latina negli anni '60 e '70, esportatore delle cosiddette guerre umanitarie in Afghanistan e in Iraq, principale sostegno dello Stato sionista in terra araba e della pulizia etnica contro il popolo palestinese...
Sentire il gendarme del mondo evocare i diritti umani fa davvero venire il voltastomaco. Le politiche sanzionatorie promosse dagli USA in difesa dei “diritti” sono solo strumenti della loro politica di potenza, uno strumento di intimidazione e minaccia nei confronti di popoli e Stati che non rientrano nella loro influenza, che sono nemici dei propri amici (come nel caso dell'Iran rispetto a Israele), o che sono amici dei propri nemici (come nel caso della Corea del Nord rispetto alla Cina).
Naturalmente questo non significa affatto che la dittatura teocratica iraniana che impicca i sindacalisti o il regime dinastico di natura stalinista della Corea del Nord (ancora basata su una economia pianificata), con i suoi campi di concentramento, siano Stati democratici o progressivi, come vorrebbero le scuole campiste. Come non significa che l'oppressione nazionale della popolazione Uigura da parte della Cina non esista per il solo fatto che siano gli USA, in modo ipocrita, a parlarne. Significa invece che va respinta ovunque la pretesa USA di ergersi a gendarme del mondo. E che vanno difesi contro sanzioni o aggressioni militari dell'imperialismo tutti i paesi dipendenti, quale che sia il loro regime statuale. Come difendemmo ad esempio l'Iraq di Saddam Hussein contro l'aggressione militare imperialista e le sanzioni genocide targate ONU, senza per questo cantar le lodi del suo regime. Sono i lavoratori e le lavoratrici di quei paesi che hanno diritto a rovesciare i propri despoti, non certo l'imperialismo al posto dei popoli e contro i popoli oppressi.

Il voto italiano contro la sospensione generale delle sanzioni, al fianco degli Stati Uniti, significa un pronunciamento a favore del diritto sanzionatorio degli stati imperialisti contro altri paesi, Cuba inclusa, ma non solo Cuba. Nel concreto è un atto formale di solidarietà atlantista con gli Stati Uniti, oltre che un atto ostile (anche) verso Cuba.
Nello scontro fra USA e Cina che la proposta di risoluzione evidenziava, l'imperialismo italiano sceglie gli USA.
È un atto significativo. L'Italia fu due anni fa, sotto il primo governo Conte, il primo paese imperialista europeo ad aprire alla Nuova Via della Seta. Una scelta che sollevò le proteste americane. Il voto del 24 marzo in sede ONU è in qualche modo un gesto di riparazione nelle relazioni col principale alleato. Ed è anche un segno di allineamento italiano a quella polarizzazione anticinese che gli USA promuovono e dirigono, tanto più oggi nel quadro di una ricomposizione della frattura tra USA e UE, provocata a suo tempo dalla gestione Trump.
L'orientamento iperatlantista di parte importante della stampa borghese italiana (La Repubblica) è indicativo del clima, come a suo modo la stessa vicenda minore del militare italiano in combutta coi russi in cambio di mazzette, dove la punizione dell'ufficiale e l'espulsione di funzionari russi è esibita dal ministero degli esteri come prova di allineamento atlantico dell'Italia.

L'Italia dunque vassallo degli USA, o addirittura semicolonia americana, come afferma L'Antidiplomatico e tutto il suo seguito campista? Niente affatto. L'Italia cerca l'accordo con gli USA in funzione dei propri interessi indipendenti di potenza imperialista mediterranea. Cerca i buoni rapporti con gli USA per ottenere in cambio il loro patrocinio alla riconquista italiana della Libia, nel contenzioso con la Turchia, con la Russia, ma anche con la Francia. Per aprirsi grandi spazi nell'armamento degli Stati arabi del golfo Persico, come il Qatar, con tanto di sontuose commesse per l'industria militare italiana. Per rafforzare le proprie posizioni nella lotta con la Germania per l'egemonia nei Balcani.
La seconda potenza industriale in Europa, la settima potenza imperialista al mondo, non è colonia o semicolonia di nessuno. Era «imperialismo straccione» (Lenin) un secolo fa, a maggior ragione è uno stato imperialista oggi, con un capitale finanziario enormemente più sviluppato rispetto ad allora. Tutte le posizioni che rivendicano la “sovranità nazionale” italiana sono subalterne all'imperialismo di casa nostra, che è sempre, invece, come diceva Lenin, il nemico principale.

La complessità dei rapporti tra imperialismo italiano e imperialismo USA emerge proprio nel caso di Cuba. L'Italia che ha votato con gli USA contro la sospensione delle sanzioni in presenza dell'epidemia, ha votato per legittimare la continuità delle sanzioni anche contro Cuba. Ma è lo stesso paese che nel 2019, in occasione dell'ultimo voto in sede ONU sul bloqueo, ha votato contro il rinnovo dell'embargo.

Dunque? Dunque l'imperialismo italiano si barcamena nelle relazioni diplomatiche come nel campo degli affari, così come fanno tutti gli stati imperialisti. Da un lato segnala la fedeltà atlantica contro la Cina, dall'altro non vuol perdere il proprio spazio per gli investimenti italiani a Cuba, secondi solo a quelli spagnoli. Tanto più in un contesto in cui l'apertura al mercato da parte del regime cubano allarga lo spazio del capitale straniero e dell'iniziativa privata.

Anche negli USA peraltro stanno discutendo sul rapporto con Cuba. Tutto l'imperialismo USA persegue la restaurazione capitalistica nell'isola, ma è diviso su come procedere: se puntare al rovesciamento del regime cubano in combutta con la mafia cubana di Miami, discendente dai vecchi capitalisti espropriati dalla rivoluzione, oppure se incoraggiare le tendenze interne alla burocrazia cubana ad imitare la soluzione cinese, cioè a gestire direttamente la restaurazione capitalista conservando la struttura del regime.
Diciamo che l'imperialismo italiano, non da oggi, punta alla seconda via. Che significa cercare di fare affari a Cuba.

Non sta a noi dire “come avrebbe dovuto votare l'Italia” in sede ONU. Perché l'Italia che siede all'ONU è in ogni caso l'Italia dei capitalisti, non quella dei lavoratori. E perché l'ONU è da sempre un «covo di briganti», come i comunisti definivano la Società delle Nazioni dell'epoca, prima che Stalin la sdoganasse e vi iscrivesse l'URSS.

Possiamo dire invece che siamo noi gli amici veri della rivoluzione cubana. Non gli esaltatori del suo regime politico burocratico, che non ha nulla della democrazia operaia, e che oggi allarga pericolosamente il varco della restaurazione capitalista nell'isola. Ma chi difende, contro la restaurazione, le strutture, per quanto indebolite, dell'economia pianificata. Che grazie all'esproprio rivoluzionario dei capitalisti ha consentito ad esempio una sanità pubblica che non ha eguali in tutta l'America latina, la stessa che l'embargo americano vuol continuare a privare di ventilatori polmonari, persino in tempo di pandemia.
Per questo diciamo “Giù le mani da Cuba!”. L'embargo verso Cuba va definitivamente cancellato.

Partito Comunista dei Lavoratori

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