Teoria

Rosa Luxemburg, l’aquila del marxismo rivoluzionario (prima parte)

“Giù le mani dalla rossa Rosa!”, morta per la rivoluzione socialista internazionale

5 Marzo 2021

A 150 anni dalla nascita di Rosa Luxemburg, ricordiamo la vita e l’attività politica della grande rivoluzionaria polacca ripubblicando questo testo di Franco Grisolia, originariamente apparso nel numero 15 della nostra rivista teorica Marxismo Rivoluzionario (prima parte).

Leggi qui la seconda parte

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Rosa Luxemburg condivide con Antonio Gramsci il non entusiasmante primato di essere la personalità marxista rivoluzionaria il cui pensiero è stato più stravolto nella storia.

È questo un motivo in più perché i trotskisti conseguenti, unici continuatori del marxismo rivoluzionario, ne rivendichino il pensiero e l’azione gridando a tutti i mezzi-rivoluzionari, i riformisti (come quelli che animano la sedicente “Fondazione Luxemburg”) e anche gli eredi dei mandanti del suo assassinio, che osano, senza vergogna, appropriarsi del suo nome per i loro fini controrivoluzionari: “Giù le mani dalla rossa Rosa!”, morta per la rivoluzione socialista internazionale.


LA GIOVANE ROSA

Rosa Luxemburg nacque a Zamosc, cittadina polacca vicino Lublino, nel 1871 in una famiglia medio borghese di commercianti ebrei laici colti.

Fin dalla fine del ‘700 (salvo la breve epoca napoleonica e le rivolte del 1830-‘31 e del 1863-‘64) la maggior parte della Polonia era sotto l’impero zarista con il nome di Regno di Polonia, i cui elementi di autonomia erano stati però cancellati progressivamente dopo il fallimento delle due rivoluzioni nazionali (parti minori, ma significative, erano sotto il dominio di Germania e Austria).

Trasferita da bambina con la famiglia a Varsavia, aderì a 16 anni, studente liceale, all’organizzazione clandestina marxista rivoluzionaria Proletariat.

Minacciata dalla repressione del regime zarista deve fuggire all’estero nel 1889. La fuga ha un aspetto romanzesco. Infatti, per passare illegalmente la frontiera con la Germania, Rosa si nascose in un carro di paglia di un contadino. L’aiuto le era stato procurato da un prete di un villaggio di confine cui un suo compagno di partito aveva fatto credere che la giovane ebrea volesse convertirsi al cattolicesimo, ma ne fosse impedita dalla famiglia; per cui avrebbe potuto farlo solo libera in Germania.

Raggiunto l’estero Rosa si reca a Zurigo dove vive modestamente degli aiuti della famiglia. Si iscrive all’università, facoltà di filosofia, passando due anni dopo a Scienze politiche, in cui si laureerà, un po’ in ritardo per gli impegni politici, ma con il massimo dei voti e lode, nel 1897.

Conosce e collabora nella città Svizzera, uno dei centri dell’immigrazione politica rivoluzionaria, molti dirigenti marxisti in esilio, essenzialmente dall’impero russo. Tra gli “anziani” Plechanov, Axelrod e Vera Zasulic, che pubblicano la rivista Iskra (Scintilla).

Tra i giovani diventano particolarmente suoi compagni ed amici i polacchi Karski (vero nome Marchlevsky), Warski (Warszawski) e l’ebreo russo Parvus (Gelfand). Ma l’incontro fondamentale fu quello con il giovane ebreo lituano Leo Jogiches, di tre anni più vecchio di Rosa, che sarà da quel momento il suo compagno personale fino al 1907 e politico fino alla morte.


LA QUESTIONE DELL’AUTODETERMINAZIONE

Nel 1890, dall’unificazione del Proletariat con altre organizzazioni socialiste, nasce formalmente il Partito socialista, che però non riesce a darsi una stabilità unitaria. Così nel 1893 l’ala più conseguentemente rivoluzionaria del PSP rompe col partito e dà vita alla Socialdemocrazia del Regno di Polonia (poi Polonia e Lituania con l’adesione del gruppo diretto da Felix Dzierzisky, futuro capo della Ceka). Rosa Luxemburg è, sia pure dall’estero, la principale teorica, ispiratrice della linea del nuovo partito. La socialdemocrazia di Polonia si distingue dal resto dei socialisti polacchi, in primo luogo, su una questione specifica: quella nazionale. Infatti, mentre il PSP era fortemente per l’unità e l’indipendenza della Polonia, riprendendo le posizioni di Marx ed Engels e della I Internazionale, Rosa e il suo partito le consideravano storicamente superate e diventate obbiettivamente socialpatriottiche.

Rosa Luxemburg fu delegata del suo partito al Congresso della II Internazionale dell’agosto 1893 che si svolse a Zurigo e fu l’ultimo cui partecipò il vecchio Engels. Ma il suo mandato fu contestato dal PSP e dai partiti socialisti delle zone polacche di Austria e Germania, e infatti le fu annullato con una decisione che fu appoggiata col peso del loro prestigio da Plechanov e da Engels (che non riteneva per niente superata la sua posizione favorevole alla indipendenza polacca). Ma la sua relazione sulla situazione del movimento socialista in Polonia e sulle posizioni contrapposte viene diffusa e le viene anche dato il diritto di intervenire come partecipante non delegata.

Nel successivo congresso dell’Internazionale, svoltosi a Londra nel 1896, il suo mandato fu invece accettato e la Luxemburg presentò una mozione contraria alla rivendicazione della indipendenza della Polonia, che fu respinta a larga maggioranza, mentre fu approvata una mozione del PSP favorevole a tale indipendenza.

Il testo che più compiutamente esprime la posizione teorica della Luxemburg e dei suoi compagni del Partito socialdemocratico polacco (in primis Jochines, Karski, Warski e Radek) fu La Polonia indipendente e la causa operaia, scritto da lei nel 1895.

La Luxemburg rimase fedele a questa sua posizione contraria all’autodeterminazione della Polonia e delle altre nazionalità dell’Impero Russo per tutta la vita, riproponendola nelle assise internazionali del movimento socialista e in vari testi, da La questione polacca al congresso dell’internazionale (1896) fino alla sua bozza di testo La Rivoluzione russa scritto in prigione nel 1918 e che non pubblicò mai.

Un esempio significativo della rigidità dei socialdemocratici polacchi venne mostrato nel 1903. Fu l’anno in cui si svolse il II congresso del Partito operaio socialdemocratico russo. Fu quello in cui si giunse prima alla scissione con gli “economicisti”, poi con il Bund (Unione di lotta dei lavoratori ebrei), in seguito a quella più conosciuta tra bolscevichi e menscevichi. Poiché era un congresso di un partito di tutto l’Impero Russo, la socialdemocrazia polacca avrebbe dovuto parteciparvi pienamente e fondersi nel nuovo partito, ma poiché tutti gli altri partecipanti sostenevano il diritto all’autodeterminazione nazionale dei vari popoli dell’impero, dopo il suo inizio nelle commissioni, la delegazione polacco-lituana decise unanimemente di abbandonare il congresso. Di conseguenza si arrivò alla bizzarra situazione per cui in primis lettoni e georgiani, che erano per l’autodeterminazione delle loro nazioni, partecipavano ad un partito russo unificato (o a una delle sue frazioni pubbliche), e polacchi e lituani che erano contrari all’autodeterminazione delle loro nazioni si trovano ad appartenere ad un partito nazionale (o binazionale) indipendente; una situazione che terminò formalmente nel 1906 ma che, date anche le divisioni dei russi, costituì di nuovo la situazione reale a partire dal 1908.

Nella sostanza la posizione della Luxemburg e dei socialdemocratici polacchi e lituani era che lo sviluppo dell’economia capitalistica aveva rese obsolete le posizioni che rivendicavano l’autodeterminazione e l’indipendenza di paesi capitalistici relativamente sviluppati e integrati in una economia nazionale più ampia, come appunto la Polonia (e la Lituania, ma per logica conseguenza anche l’Ucraina e la Lettonia) e, esempio che la Luxemburg utilizzò ampiamente nella sua polemica, in particolare contro Lenin, l’Irlanda, la cui indipendenza era considerata da Rosa una totale utopia. Su queste basi Rosa riteneva che porre il problema della indipendenza significava dividere i lavoratori su basi nazionali e subordinare i lavoratori della nazione minore alla propria piccola borghesia.

Lenin polemizzò aspramente con Rosa Luxemburg su questa questione in molte occasioni e sintetizzo la sua critica in particolare nel testo Sul diritto di autodeterminazione delle nazioni, scritto e pubblicato nei primi mesi del 1914, poco tempo prima dello scoppio della guerra mondiale. In esso, pur riaffermando la solidarietà con i socialdemocratici polacchi contro i socialnazionalisti del PSP, egli criticava duramente la posizione della Luxemburg, spiegando che non la rivendicazione del diritto di autodeterminazione faceva il gioco della borghesia nazionale della nazione oppressa, ma proprio la posizione contraria che, oggettivamente, esprimeva un sostegno non voluto alla borghesia della nazione dominante. Sottolineava che la posizione astratta non era quella dei marxisti russi (e lettoni e caucasici) per il diritto all’autodeterminazione fino alla separazione, ma esattamente quella contraria; e inoltre che il diritto all’autodeterminazione rafforzava la posizione dei partiti proletari nella nazione oppressa in contrapposizione al nazionalismo borghese e piccolo-borghese.

È chiaro, a bilancio storico, che la posizione di Rosa Luxemburg era sbagliata e quella di Lenin corretta. Ma è importante ricordare due cose. La prima è che, per quanto aspra, questa discussione si svolgeva nell’ambito del marxismo rivoluzionario conseguente (“ortodosso”, come si diceva allora) e con la chiarezza polemica che caratterizzava allora il dibattito tra marxisti, a differenza delle ipocrisie attuali. Secondo, che, al di là delle loro differenze, Lenin e Rosa concordavano sul fatto della necessaria differenziazione totale del partito proletario rivoluzionario dal nazionalismo non solo borghese, ma anche da quello piccolo-borghese, anche più radicale. È ciò tanto più importante oggi quanto molti sedicenti “comunisti” o addirittura “trotskisti” danno o hanno dato la patente di comunisti a movimenti piccolo-borghesi radicali come l’IRA irlandese, l’ETA basca, le varie organizzazioni dell’OLP palestinese o addirittura a un bonaparte “progressista” come il venezuelano Chavez.


LA QUESTIONE COLONIALE E LA DISSOLUZIONE DELL’IMPERO OTTOMANO

È necessario sottolineare che la posizione di Rosa Luxemburg si riferiva ai Paesi relativamente avanzati inseriti in altri Paesi, come la Polonia, l’Irlanda, l’Ucraina, etc. Non riguardava in nessun modo i paesi coloniali, sul cui diritto alla lotta per l’indipendenza la Luxemburg non poneva alcuna obbiezione, sostenendo apertamente le posizioni rivoluzionarie anticolonialiste nell’ambito del dibattito dell’Internazionale.
Ma non solo. Anche su questioni che riguardavano situazioni “intermedie” Rosa sposò posizioni favorevoli alla indipendenza nazionale delle nazionalità oppresse.

Questo si vide nel dibattito sviluppatosi nel 1986 sulla cosiddetta questione d’Oriente. La questione concerneva in primis il destino dell’Impero Ottomano. Marx ed Engels si erano opposti, in particolare dalla guerra di Crimea (1854-‘56), alle ipotesi di dissoluzione dell’Impero Ottomano, perché pensavano che gli Stati che ne sarebbero derivati, in particolare quelli slavi, ma non solo, sarebbero stati subordinati alla Russia zarista, considerata la potenza più controrivoluzionaria, e sarebbero diventati strumenti di essa contro la rivoluzione europea. La socialdemocrazia internazionale, e in particolare quella tedesca, era rimata fedele a questa posizione (del resto così era per Engels che era morto nel 1895). In realtà nei primi anni ‘50, anche in considerazione della vittoria nella allora piccola Serbia del partito antirusso, Marx e Engels avevano espresso una posizione diversa, pronunciandosi per la dissoluzione dell’Impero Ottomano almeno in Europa e per la costituzione di una federazione balcanica indipendente. Poi la ripresa del potere da parte di filorussi in Serbia e il consolidamento dello stato russo e i suoi atteggiamenti aggressivi avevano portato Marx e Engels ad abbandonare (a torto o a ragione non è qui un elemento di discussione) questa posizione e ad assumere quella su ricordata. Così alla fine del secolo le posizioni dei primi anni ‘50 erano dimenticate e sconosciute, né Engels vi aveva mai più fatto cenno.

Nel 1896 scoppiò una rivolta antiturca nell’isola di Creta (che come tutte le isole dell’Egeo e l’attuale Grecia del nord era sotto dominio ottomano). Rosa Luxemburg scrisse un articolo (La socialdemocrazia e le lotte nazionali in Turchia) che proponeva di cambiare la vecchia posizione e di sostenere il diritto all’indipendenza degli stati balcanici e anche degli armeni, e con ciò la dissoluzione dell’Impero Ottomano. Essa sosteneva, in sintesi, che tale processo era già in corso e che la liberazione delle nazioni balcaniche avrebbe permesso un loro sviluppo economico e sociale e favorito la crescita del movimento socialista. Inoltre, individuava come ormai la Russia non era più l’avversario storico della Turchia, e che proprio l’indipendenza poteva liberare i popoli slavi dai residui di fiducia nel grande impero slavo del nord. Contro di lei polemizzò il vecchio Wilhelm Liebknecht (padre di Karl), insieme con Bebel, fondatore e massimo dirigente della socialdemocrazia tedesca e della sua ala marxista “ortodossa”, difendendo la tradizionale posizione filoturca. Ma in suo sostegno intervennero sia Kautsky che Bernstein (nella sua ultima battaglia da marxista rivoluzionario prima di passare al revisionismo).

Alla fine la discussione si concluse senza vincitori apparenti, perché non ci fu un voto formale né nel SPD né nell’Internazionale, ma nei fatti da quel momento il socialismo internazionale abbandonò la vecchia posizione filoturca. Rosa Luxemburg a soli 26 anni aveva vinto la sua prima grande battaglia internazionale.


LA LOTTA CONTRO IL REVISIONISMO

In quegli anni Rosa lasciò Zurigo per trasferirsi, con Jogiches, a Berlino, dove ottenne la cittadinanza tedesca grazie ad un matrimonio “bianco” con un giovane compagno tedesco, ed entrò nel SPD. Negli anni successivi partecipò alla vita interna del partito come dirigente della sua sinistra, pur restando nel contempo dirigente della clandestina socialdemocrazia polacca, e in questo suo doppio ruolo partecipò alle attività dell’Internazionale. Fu redattrice di diversi giornali della SPD (che aveva diversi quotidiani locali oltre all’organo nazionale Vorwarts), espressioni di federazioni in mano alla sinistra, e poi docente di economia alla scuola centrale del Partito.

Appena arrivata in Germania si inserì pienamente in quello che si chiamò “Bersteindebatte”.

Alla fine del 1896 Berstein cominciò a pubblicare sulla rivista teorica più importante del partito e del movimento socialista internazionale Die Neue Zeit una serie di articoli sotto il titolo Problemi del socialismo. In essi, a partire da una esasperata critica alla validità attuale delle posizioni teoriche di Marx ed Engels, egli giunse a mettere in questione le prospettive rivoluzionarie del socialismo. Senza poter qui sviluppare pienamente gli elementi del pensiero revisionista di Bernstein diciamo che egli abbandonava la prospettiva della rivoluzione socialista e della dittatura del proletariato. Riteneva possibile uno sviluppo graduale e pacifico verso il socialismo, con conquiste lente e progressive nell’ambito dello stato democratico (“programma minimo”), anche in alleanza con settori della borghesia democratica, che secondo lui avrebbe accettato un progressivo sviluppo sociale. Del resto, l’obbiettivo finale della socializzazione dei mezzi di produzione diventava per lui una vaga prospettiva, del tutto lontana e ipotetica. Per questo, nel volume del 1899 che sviluppava compiutamente il suo pensiero revisionista e riformista, I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia, Bernstein lo sintetizzava in un concetto chiaro: “L’obbiettivo finale del socialismo è nulla, il movimento verso questo obbiettivo è tutto”.

A partire dal 1897 l’ala marxista rivoluzionaria al tempo maggioritaria nel partito reagisce e inizia così il “Bernsteindebatte”. Parvus, Kautsky, Bebel e altri lo attaccano. Ma la più netta è Rosa Luxemburg. Nel congresso dell’SPD del 1898, dove Bernstein si trova in nettissima minoranza, risponde, tra gli applausi, al revisionista in questo modo: “La classe operaia non si deve porre dal punto di vista decadente del filosofo: “Lo scopo finale non è per me niente, il movimento è tutto”; anzi, al contrario: il movimento come tale, senza alcun rapporto allo scopo finale, il movimento fine a sé stesso non è per me niente, lo scopo finale è per noi tutto” . Questa la grande Rosa che migliaia di “intellettuali” cialtroni ignoranti ci presentano in Italia e nel mondo come movimentista per coprire con il suo grande nome il loro riformismo antimarxista.

La risposta complessiva a Bernstein e ad ogni tipo di revisionismo o gradualismo Rosa lo esprime nel 1899 nella maniera più compiuta in uno dei suoi testi più importanti, che ha un titolo che di per sé è una dichiarazione di principio contro ogni revisionismo, riformismo o gradualismo: Riforma sociale o Rivoluzione?. In esso essa distrugge le posizioni avversarie toccando tutti i principali punti politici delle loro posizioni o proposte, riaffermando la validità assoluta della prospettiva rivoluzionaria. Per prendere una frase chiara: “[…] i rapporti politici e giuridici innalzano tra la società capitalistica e quella socialistica una barriera sempre più elevata. Lo sviluppo delle riforme sociali e della democrazia non fanno della breccia in questa barriera ma, al contrario, l’irrigidiscono e la rafforzano. Essa potrà essere abbattuta unicamente dal colpo di maglio della rivoluzione, cioè dalla conquista del potere politico da parte del proletariato”.

Una concezione che più chiara non si può e che sarà rafforzata successivamente dalla battaglia contro il coinvolgimento governativo, o anche il sostegno esterno, a governi borghesi di “sinistra”, che del resto la stessa internazionale socialista inizialmente condannò, seppur non nei termini netti con cui si esprime Rosa: “Un partito socialdemocratico è per sua natura un partito d’opposizione, come partito di governo può avanzarsi solo sulle rovine dello Stato borghese”.


ROSA E I BOLSCEVICHI

Come abbiamo già detto, la delegazione polacca aveva abbandonato all’inizio il congresso unificato del partito russo sulla questione dell’autodeterminazione. Il congresso fu quello, in particolare, della rottura politica tra bolscevichi e menscevichi (anche se per un periodo il partito rimase formalmente unito). Benché quindi fuori formalmente dal partito russo, Rosa Luxemburg intervenne, schierandosi dalla parte dei menscevichi, ritenendo la posizione di Lenin ultracentralista. Scrive su questo un lungo articolo Problemi organizzativi della socialdemocrazia russa; in esso non rigetta il concetto del partito d’avanguardia ma una visione, che crede propria di Lenin, che centralizza tutto sul partito o meglio sul suo Comitato centrale (Lenin, giustamente, rigettò questa interpretazione delle sue posizioni) e non comprende il ruolo propositivo dello sviluppo del movimento di massa. Una frase del suo testo concentra, per chi scrive, le sue divergenze con Lenin: “I passi falsi che compie un reale movimento operaio rivoluzionario sono sul piano storico incommensurabilmente più fecondi e più preziosi dell’infallibilità del miglior Comitato centrale”.

La tragica storia del movimento operaio dei più di cento anni successivi si incaricherà di dimostrare che (purtroppo!) Rosa aveva torto; intesa e applicata dialetticamente, come fece Lenin, la sua posizione era corretta.

Per molti sostenitori della “leggenda rosa” (non rossa!) la storia si chiude qui: Rosa Luxemburg “la democratica” si oppose a Lenin “l’autoritario”. Pura fantasia demagogica opportunista. A partire dal 1905 Rosa Luxemburg si avvicinò ai bolscevichi e dal 1906 si ebbe una piena alleanza, soprattutto dal momento dell’ingresso della socialdemocrazia polacca nel partito russo unificato (perché, cosa poco conosciuta, nel 1906 tutte le diverse frazioni nate dalla scissione del 1903 si riunificarono in un solo partito). Fu nel fuoco della Rivoluzione russa che, come vedremo, la Luxemburg ruppe con i menscevichi per il loro opportunismo e si alleò con i bolscevichi. Addirittura, nel 1906, appena liberata di prigione a Varsavia, la Luxemburg si recò in Finlandia dove per diversi giorni si riunì con Lenin proprio per confrontare meglio le loro posizioni e ne uscì dichiarando il suo totale accordo con la politica dei bolscevichi. L’anno dopo protestò contro chi ricordava il suo sostegno nel 1903 ai menscevichi, dichiarando che erano posizioni del passato assolutamente superate. Ancora nel 1911 riaffermerà il suo sostegno politico ai bolscevichi. Solo negli anni e mesi immediatamente precedenti allo scoppio della guerra mondiale se ne allontanò in parte non sul terreno politico, ma su quello organizzativo. Infatti, appoggia la prospettiva di riunificazione di tutti i socialdemocratici russi, portata avanti dall’Internazionale e, tra i russi, principalmente da Trotsky.

Sul terreno dell’organizzazione di partito, in ogni modo, contrariamente ai miti dei riformisti e degli spontaneisti, Rosa è assolutamente centralista. Anzi, nella gestione pratica della socialdemocrazia di Polonia e Lituania è certamente più rigida di Lenin. Questo si vede nella rottura con una minoranza del suo partito, per problemi essenzialmente organizzativi (in cui gli scissionisti sostenevano posizioni meno centralizzate, pur sempre nel quadro del centralismo democratico). In tale rottura (in cui la minoranza era capeggiata da due dirigenti importanti come Haneki e Radek) fa una polemica durissima con gli avversari, senza paragone con quelle, pur dure, tipiche di Lenin (che tra l’altro, in questa occasione difende i minoritari).


NEL FUOCO DELLA RIVOLUZIONE

Il 1905-‘06 vede lo sviluppo della prima Rivoluzione russa. Il 22 gennaio (9 per il vecchio calendario russo) si svolge una pacifica manifestazione di massa degli/delle operai@ di Pietrogrado che si vogliono recare al Palazzo imperiale per presentare (certo strumentalmente) una petizione allo Zar, richiedendo i loro diritti sociali e politici. L’esercito apre il fuoco e ci sono centinaia di morti. Un incendio rivoluzionario si sviluppa allora in tutto l’Impero russo. Manifestazioni, scioperi, insurrezioni locali (la più importante quella di Mosca nell’autunno): si sviluppano per la prima volta i soviet. Rosa va prima a Cracovia, città polacca sotto l’Austria ma con una semiautonomia, da dove la Direzione della SDPL dirige l’azione dei suoi militanti. Poi raggiunge clandestinamente Varsavia. Lavora per la realizzazione di uno sciopero generale, contrapponendosi all’azione terroristica-guerrigliera del Partito socialista polacco, che rivendica una insurrezione armata popolare, che non si realizzerà.

Nel marzo del 1906 viene arrestata, insieme a Jogiches. Viene posta in libertà provvisoria nel giugno, con il pagamento di una importante cauzione, pagata dal SPD tedesco, che ha fatto una grande campagna di pressione perché le autorità tedesche intervengano su quelle russe per la sua liberazione. È dopo la liberazione che si reca in Finlandia, come abbiamo già visto, per incontrare Lenin, con cui concorda, in particolare contro i menscevichi, su quasi tutti i problemi. Non resta certo in Russia in attesa del processo e rientra in Germania e alla sua battaglia nel SPD. Jogiches viene condannato a gennaio del 1907 a 8 anni di lavori forzati e al confino perpetuo in Siberia. Riesce però quasi subito a fuggire e ritorna anche lui in Germania.

È in questo momento che si interrompe la sua relazione personale con la Luxemburg (quella politica, strettissima, durerà fino alla morte di lei). Rosa si lega allora al figlio della sua amica Klara Zetkin. Klara Zetkin (nata nel 1857) era, dopo Rosa, la principale dirigente della estrema sinistra del SPD e, insieme alla moglie di Kautsky, Luise, la sua migliore amica. Era anche impegnata in prima fila (a differenza di Rosa) nel movimento femminile socialista in Germania e internazionale (nel 1907 fu eletta segretaria dell’Ufficio internazionale delle donne socialiste). Il suo giovane figlio aveva 22 anni, 14 in meno quindi della Luxemburg; del resto, la Zetkin si era sposata, dopo la morte del primo marito, con un artista più giovane di lei di 18 anni. Questi aspetti personali di Rosa sono, a giudizio di chi scrive, parte integrante della figura della grande rivoluzionaria. Rosa, come la Zetkin, non era, come a volte viene presentata, una Madonna Rossa (come del resto Lenin o Trotsky non erano dei Gesù Marxisti). L’amore, il sesso, le vacanze (a volte per Rosa in Italia), la letteratura, i teatri e i concerti erano parte della sua vita e ne marcavano la natura. Rosa tra le sue passioni aveva la botanica (sono conosciuti alcuni suoi brevi testi sulla questione) e anche la pittura, in cui non eccelleva, ma aveva buone capacità.


LA RIVOLUZIONE PERMANENTE

È nel 1907 stesso che si svolge a Londra il quinto congresso del Partito operaio socialdemocratico russo. Tutte le sue frazioni e componenti nazionali vi partecipano. Il numero di militanti rappresentati è enorme, circa 150.000, che però si riferiscono alla situazione ancor rivoluzionaria del 1906 (nei successivi anni di repressione caleranno drasticamente). I bolscevichi sono i più forti con quasi la metà dei delegati. Su molte questioni polacchi e lituani, capeggiati dalla Luxemburg, li appoggiano.

Il punto centrale è costituito dal bilancio della rivoluzione e dalle prospettive per il suo futuro sviluppo. Il congresso critica come opportunista la politica del Comitato centrale uscente, dominato dai menscevichi. Si condanna ad esempio la parola d’ordine del “Ministero responsabile” della “Duma (parlamento zarista eletto con mille limitazioni, in particolare sottostimando il voto degli operai e dei contadini) come organo di potere”, l’alleanza con i liberali borghesi del Partito costituzionale democratico (detto Cadetto dalle sue iniziali). Rosa è diventata totalmente ostile ai menscevichi perché questi sostenevano che la Rivoluzione russa, dato il carattere semifeudale dell’Impero, è e sarà borghese, per cui compito dei socialisti era quello di appoggiare la borghesia liberale contro lo zarismo. Lenin e i bolscevichi ritenevano anch’essi che la rivoluzione fosse borghese, però constatavano l’incapacità della borghesia a lottare realmente contro lo zarismo per una repubblica democratica; per questo l’obbiettivo dei socialisti doveva essere la “dittatura democratica degli operai e dei contadini”, che avrebbe col suo governo portato fino in fondo la rivoluzione democratica e creato le premesse per un successivo passaggio al socialismo.

La posizione più radicale era quella sostenuta da Trotsky e da una piccola minoranza dei russi. Trotsky riteneva, partendo dalle concezioni espresse da Marx ed Engels sulla Germania nell’Indirizzo alla Lega dei Comunisti del 1850, che la Rivoluzione russa dovesse realizzarsi come “rivoluzione permanente”, cioè come una rivoluzione che, partita sul terreno democratico, avrebbe potuto trasformarsi, senza soluzione di continuità, in rivoluzione socialista, realizzata da un governo operaio e dalla dittatura del proletariato. La Luxemburg condivideva questa posizione e anzi introdusse il preciso concetto di “dittatura del proletariato appoggiata dai contadini”, la formula esatta che trovò poi realizzazione nell’Ottobre 1917, quando Lenin modificò la vecchia concezione bolscevica e si riunì, nel quadro del partito bolscevico, con Trotsky.

Non a caso, polemizzando con Trotsky nei primi anni ‘30 (cioè prima dell’epoca del massacro dei vecchi bolscevichi e delle infami accuse dei processi di Mosca) Stalin e Molotov scrissero a proposito della teoria “semimenscevica” (sic!, assurdo totale, se mai proprio il contrario) della “rivoluzione permanente sostenuta da Trotsky e Rosa Luxemburg”.


LO SCIOPERO GENERALE

Nello stesso periodo Rosa Luxemburg sviluppò una forte battaglia contro gli opportunisti in seno al movimento operaio intorno alla questione dello sciopero generale e del suo significato rivoluzionario.

Fino agli anni ‘90 dell’Ottocento i marxisti avevano avuto una certa diffidenza nei confronti dello sciopero generale (non c’è nemmeno da dire che qui si parla di qualcosa di diverso da quelli che sono diventati gli scioperi generali limitati nel tempo al massimo ad una giornata, organizzati dalle attuali burocrazie sindacali al giorno d’oggi). Esso era piuttosto obbiettivo proprio agli anarchici e ai sindacalisti rivoluzionari. Dietro la critica la socialdemocrazia in realtà si nascondono due posizioni. Quella dei riformisti e dei centristi sottende il privilegiamento della via parlamentare e gradualista, più o meno appoggiata da mobilitazioni di massa; quella dei marxisti rivoluzionari che, con Engels, pensano ad una rivoluzione in un quadro di crisi politica che porti ad una insurrezione, come era avvenuto ad esempio con la Comune di Parigi (e come avverrà nell’Ottobre ‘17 in Russia, però non nel febbraio che, almeno a Pietrogrado, iniziò con lo sciopero generale).

Ma alla vigilia del nuovo secolo la posizione comincia a cambiare. I socialisti dirigono scioperi generali a carattere politico (come in Belgio per il suffragio universale). Soprattutto l’esperienza della Rivoluzione russa del 1905-1906 mostra il valore di mobilitazione rivoluzionaria delle masse che lo sciopero generale realizza. Nel movimento socialista internazionale ed in particolare tedesco si sviluppano tre posizioni. La destra, con la maggioranza dei sindacalisti, resta contrario, con vari argomenti speciosi. Il centro, con Bebel, il grande dirigente del SPD, si pronuncia per il possibile utilizzo, ma solo come misura estrema e come scelta strettamente programmata e diretta organizzativamente da partito e sindacato. La sinistra, e in primis Rosa, vede invece nello sciopero generale (senza approvare la concezione millenaristica degli anarchici) qualcosa che può nascere, anche inaspettatamente, dalla radicalizzazione delle masse e trasformarsi in mobilitazione rivoluzionaria del proletariato.

Nel quadro di questo dibattito scrive uno dei suoi testi fondamentali dal titolo Sciopero generale, partito e sindacato. A partire da questa discussione molti storici e politici, alcuni richiamandosi abusivamente ad un luxemburghismo di fantasia, lontano le mille miglia dal marxismo rivoluzionario di Rosa, hanno cercato di dipingere una Luxemburg “spontaneista”, contrapposta all’“avanguardismo” leninista. Niente di più falso. Non solo Rosa non negava il ruolo della direzione politica e del partito, ma vedeva lo sciopero generale non come una sfida preordinata, generale come per gli anarchici o su obbiettivi precisi come per i “centristi”, ma come l’espressione viva dello sviluppo della lotta di classe. Affermava quindi “lo sciopero di massa, come ce lo mostra la Rivoluzione russa non è un mezzo ingegnoso escogitato per imprimere alla lotta proletaria una maggiore efficacia, ma esso è il modo del movimento della massa proletaria, la forma di manifestazione della lotta proletaria nella rivoluzione”.

Lo schema della Luxemburg è questo: sciopero generale di massa nato spontaneamente o semispontaneamente dallo sviluppo della lotta di classe in una situazione rivoluzionaria o semirivoluzionario, ma preparato dall’introduzione di coscienza negli strati più ampi del proletariato che, nel quadro dello sciopero generale, si sarebbero allargati all’insieme della classe; necessità che il partito dia direzione allo sciopero di massa, partito enormemente rinforzato nello sciopero e in cui gli stessi dirigenti sarebbero stati in un certo senso ridotti ad un ruolo meno importante (è chiaro che Rosa pensava ai dirigenti opportunisti e centristi, non a quelli rivoluzionari); rivoluzione coscientemente organizzata con la presa del potere da parte del proletariato.

I russi (Lenin e Trotsky) giudicarono un po’ semplificato questo schema, ma nel quadro di un accordo complessivo sulla questione dello sciopero generale con Rosa. Del resto, proprio esperienze storiche più recenti, come il maggio ‘68 francese, dimostrano la validità generale ed attuale, crediamo, delle posizioni della Luxemburg.


CONTRO IL “CENTRO MARXISTA”

A partire dal 1908, con il venir meno della spinta a sinistra sul movimento socialista internazionale e particolarmente sulla SPD della Rivoluzione russa, si accentuano le differenze tra la sinistra “radicale” del partito tedesco (i cui principali dirigenti oltre alla Luxemburg sono Klara Zetkin, Karl Liebknecht, figlio del vecchio fondatore del partito, morto nel 1900, Franz Mehring, e i polacchi Karsky e Radek) e il cosiddetto “centro marxista” (il vecchio August Bebel, Karl Kautsky).

La rottura netta con Kautsky avviene su un punto che può sembrare secondario, ma che ha invece una grande importanza per i marxisti rivoluzionari conseguenti, quello degli obbiettivi democratici.

Nell’ambito di una campagna per il suffragio universale in Prussia (il suffragio universale maschile esisteva già per il parlamento dell’Impero, che era una federazione di Stati, ma non in tutti gli Stati componenti e in particolare nel più importante, la Prussia appunto) Rosa propone di lanciare la parola d’ordine della Repubblica per tutta la Germania. Kautsky (apparentemente il più a sinistra del “centro”) prima la accettò, poi si oppose nettamente, considerandola non centrale e soprattutto rischiosa. Rosa si rese conto che anche il suo vecchio amico, non solo era più moderato di lei, come evidente da sempre, ma andava progressivamente verso l’opportunismo. In realtà l’SPD andava sempre di più verso il parlamentarismo, al di là delle proclamazioni formali dei congressi e delle risoluzioni. Anche il vecchio Bebel, in passato grande figura rivoluzionaria, operaio e teorico marxista, preoccupato sempre di più di non indebolire il partito, oscillava nelle sue posizioni, ma si avvicinava sempre di più a posizioni gradualiste e parlamentariste (anche se la sua morte nel luglio 1913 impedì di verificare nel concreto, di fronte alla guerra, se in lui sarebbe prevalso il vecchio marxista rivoluzionario o il “centrista”).

Altre questioni divisero presto Rosa e i radicali di sinistra dal centro, ora alleato spesso con la destra, ad esempio nel sostegno alle posizioni del SPD del Baden di votare il bilancio di quello Stato oppure di appoggiare, con qualche distinguo, un aumento delle spese militari solo perché congiunto ad un aumento di tasse patrimoniali che colpiva i più ricchi. È chiaro che questo era assolutamente inaccettabile per una dirigente che, fedele alle posizioni di Marx ed Engels, aveva dichiarato contro gli opportunisti che “un partito socialdemocratico è per sua natura un partito d’opposizione. Come partito di governo può avanzarsi solo sulle rovine dello Stato borghese”.

Nel 1912 la rottura tra Rosa e i “radicali di sinistra” e il centro, compreso Kautsky, era ormai completa. Lenin non era ancora convito. Vedeva gli scritti degli anni precedenti, in particolare La via al potere del 1909, considerava che questi scritti esprimessero le reali posizioni di Kautsky e, al di là di dissensi minori, vedeva in lui il principale esponente del "marxismo ortodosso" nell’internazionale.

Dopo l’esperienza del 1914 e il rinnegamento da parte di Kautsky delle posizioni rivoluzionarie internazionaliste, Lenin potrà quindi affermare: “Ora io odio e disprezzo Kautsky più degli altri, questa nidiata sporca, vile e autosoddisfatta della sua ipocrisia [..]. Rosa Luxemburg aveva ragione, lei già molto tempo fa aveva compreso che Kautsky aveva la sviluppatissima “servilità di un teorico” – per metterla in termini più semplici, che è sempre stato un lacchè, un lacchè della maggioranza del partito, un lacchè dell’opportunismo”.


L’ACCUMULAZIONE DEL CAPITALE

Come abbiamo visto, oltre che come giornalista Rosa Luxemburg agiva come insegnante alla scuola centrale di formazione del partito. In essa Rosa teneva lezioni di economia politica e storia. È da quelle lezioni che ella sviluppa il pensiero che la porta a scrivere la sua opera più complessa L’accumulazione del capitale.

Pubblicata nel 1913 vuole essere una riaffermazione e nel contempo una messa a punto della teoria marxista dell’accumulazione capitalistica. Rosa pensava che la pur complessa teoria economica che espone in questo libro non avrebbe trovato grandi obbiezioni tra i marxisti. È questo che dice all’inizio del suo successivo testo Ciò che gli epigoni hanno fatto della teoria marxista (una anticritica), il testo di risposta ai suoi critici pubblicata in piena guerra nel 1917. Si può pensare che la speranza della nostra autrice fosse un po’ esagerata, in quanto nel suo libro ella criticava le posizioni di alcuni altri marxisti, tra cui Lenin. In ogni modo sul suo libro si svilupparono amplissime critiche. E ciò non solo da parte della destra, in particolare tedesca, ma anche del centro (i due teorici austriaci Bauer e Hilferding) e anche nell’ambito della sinistra conseguentemente rivoluzionaria (ad esempio l’olandese Pannekoek e Lenin).

Le questioni in discussioni erano di alto spessore teorico economico e sarebbe assurdo e presuntuoso per chi scrive pensare di poterle esprimerle e chiarirle qui in poche righe. Possiamo genericamente riassumere il problema centrale in questi termini: Rosa Luxemburg riteneva impossibile una accumulazione di capitale in una società pienamente capitalistica e fondamentalmente suddivisa in due classi fondamentali: proprietari dei mezzi di produzione e proletari. Per cui, una volta completato questo processo di definitiva capitalistizzazione, lo sviluppo capitalistico sarebbe entrato in crisi totale. Come si era salvato il capitalismo da tale destino? Smerciando il plusprodotto e i capitali eccedenti in Paesi ancora fuori dalla produzione capitalistica, da qui l’imperialismo. Ma lo sviluppo dell’imperialismo avrebbe portato a ridurre progressivamente la presenza di questi settori “non capitalisti” del mondo e quindi al crollo del capitalismo con conseguenze disastrose per l’umanità. I suoi critici, sia rivoluzionari conseguenti, sia centristi (in generale di sinistra), non negavano la realtà dell’imperialismo. Ma vi vedevano non una necessità assoluta, ma un mezzo per i capitalisti per allargare l’accumulazione (possibile anche nel quadro di una società capitalistica avanzata) e con ciò i profitti. È chiaro che per Rosa, oltre il valore per lei, come per la maggior parte dei suoi competitori, del dibattito teorico in sé, la sua analisi si poneva anche come sfida ai revisionisti e riformisti che, partendo da un’ipotesi di possibile sviluppo illimitato del capitalismo, traevano la conclusione della inutilità della prospettiva rivoluzionaria.

D’altro canto, il rischio della sua posizione era quello di affidarsi ad una inevitabile ipotesi di più o meno prossimo crollo del capitalismo, vedendo lì il momento della rivoluzione come risultato di un processo oggettivo.

Naturalmente questa non era per nulla la posizione di Rosa, come dimostra tutta la sua vita di dirigente e militante rivoluzionaria. Qui, infatti, entra in gioco il suo famoso concetto di “Socialismo o barbarie”, visto oggi in senso generale, ma allora, per Rosa, più contingente. Infatti, per la grande rivoluzionaria più il capitalismo andava verso la contrazione dei mercati coloniali o semicoloniali più si sviluppava il militarismo e più le guerre per la loro suddivisione diventavano probabili. E con le guerre miseria, disoccupazione, maggiore sfruttamento ed oppressione, la barbarie appunto. Per questo, compito del proletariato e dei suoi partiti, internazionalmente uniti, era di realizzare al più presto la rivoluzione contro il capitalismo. A partire quindi da analisi teoriche diverse Rosa Luxemburg e i pochi che erano d’accordo con lei (come Mehring o Karsky) arrivarono alle stesse posizioni concrete dei critici di sinistra, come Lenin, Trotsky o Pannekoek.


ROSA COME DIRIGENTE DELL’INTERNAZIONALE E LA QUESTIONE DELLA GUERRA

Ma la battaglia di Rosa non si svolgeva solo sul terreno dei tre partiti cui apparteneva con ruolo dirigente (polacco, tedesco e, sia pure carsicamente, russo unificato) ma anche sul piano internazionale in generale, come era vero per tutti i dirigenti, con poche eccezioni. Oltre a varie questioni, tra cui quelle di cui abbiamo parlato, la principale questione in discussione, in particolare ai suoi congressi, fu quella della guerra.

La situazione mondiale ed in particolare europea, con il confronto/scontro tra le varie potenze imperialiste per il controllo delle colonie e lo sviluppo degli investimenti, oltre le brame territoriali dei diversi grandi Stati, la volontà degli stati maggiori di confrontarsi, finalmente, sul terreno bellico, la necessita di commesse da parte dell’industria bellica, tutto questo portava a ritenere probabile, se non certa, una guerra tra i diversi imperialismi. Riconoscendone il carattere reazionario da parte di tutti i futuri possibili contendenti, l’Internazionale si pronunciò per una netta opposizione a tale prospettiva.

Il momento culminante fu raggiunto al congresso di Stoccarda del 1907. Qui fu presentata una risoluzione redatta da Bebel e integrata dai socialisti francesi. La Luxemburg, insieme a Lenin e Martov (il più a sinistra dei dirigenti menscevichi) presentarono a nome del partito russo (allora, come abbiamo visto, unito) un emendamento che proponeva di aggiungere due capoversi finali, che chiarivano in termini generali i compiti di lotta per la classe operaia, i suoi partiti e i loro rappresentanti, sia nel caso di minaccia di guerra, sia rispetto al suo effettivo scoppio. Ecco il testo: “Se una guerra minaccia di scoppiare, è dovere della classe operaia in tutti i paesi interessati, e dei suoi rappresentanti in Parlamento, compier ogni sforzo per impedirla [..]. Se ciononostante la guerra dovesse egualmente scoppiare, è loro dovere intervenire per porvi fine al più presto, e sfruttare con tutte le forze la crisi economica e politica creata dalla guerra per scuotere gli strati più profondi della popolazione e accelerare la caduta del dominio capitalistico”.

I seguenti congressi (Copenaghen 1910, Basilea 1912) riaffermarono le posizioni di Stoccarda. Al di là di molte ambiguità e indeterminatezze sulle modalità concrete di azione, sembrava veramente impossibile quello che invece si verificò nel 1914.


IL “4 AGOSTO DELLA SOCIALDEMOCRAZIA”

La storia è abbastanza conosciuta in generale. Noi la abbiamo affrontata in un articolo pubblicato su Marxismo Rivoluzionario n°10 del II trimestre del 2014. Di fronte allo scoppio effettivo della guerra le risoluzioni dei congressi internazionali (e anche dei congressi nazionali) contro la guerra divennero carta straccia. In Germania il 4 agosto 1914, nella riunione di frazione dei deputati SPD prima del voto sui crediti di guerra, 78 si espressero per votare a favore e solo 14 per votare contro. Per di più la maggioranza rifiutò la richiesta della minoranza di votare in dissenso e, assurdamente, questa, in totalità, si sottomise per "disciplina". In forma analoga si pronunciarono i francesi (tutti, compresi i vecchi rivoluzionari radicali e sul piano sindacale i sindacalisti rivoluzionari), che entrarono anche al governo, gli austriaci, la maggioranza dei britannici, i belgi. Dei partiti delle nazioni coinvolti immediatamente o rapidamente nella guerra, rifiutarono di capitolare la maggioranza dei russi, salvo la destra menscevica (Plekhanov) e pochi altri, i serbi, i bulgari e gli italiani (con l’eccezione di Mussolini, sotto la spinta anche dei sindacalisti rivoluzionari, che tradirono tutti).

Ma anche in chi si oppose alla guerra le posizioni erano spesso moderate, pacifiste, attendiste, rivoluzionarie ma inconseguenti. Solo i bolscevichi, con pochi appoggi internazionali, portarono avanti da subito la parola d’ordine della “trasformazione della guerra imperialista in guerra civile”. Era l’esplicitazione al livello più radicale dell’emendamento finale alla risoluzione di Bebel, proposto e approvato come abbiamo visto al congresso di Stoccarda del 1907.


LE LEGA DI SPARTACO

La sera stessa del 4 agosto in casa della Luxemburg si riuniscono una decina di quadri della sinistra radicale del SPD. Constatano il loro isolamento nel partito rispetto al tradimento della destra e alla insipienza del centro, non riuscendo ad organizzare una riunione nazionale a causa della demoralizzazione dei quadri della sinistra radicale del partito. Finalmente il 10 settembre viene pubblicata una lettera contro la guerra firmata da Rosa, Zetkin, Mehring e Liebknecht. Questi, deputato, a dicembre vota da solo contro i crediti di guerra.

La sinistra radicale comincia ad organizzarsi e ad aprile 1915 esce, in 9.000 copie, la rivista Die Internationale. Benché l’articolo principale La ricostruzione dell’Internazionale sia di Rosa Luxemburg, lei è già in prigione da febbraio, per precedenti condanne per attività antimilitarista. Nello stesso anno scrive l’opuscolo La crisi della socialdemocrazia, che verrà pubblicato sotto lo pseudonimo di Junius.

Assolutamente contraria alla guerra e con posizioni rivoluzionarie, la Luxemburg non riteneva però corretta la formula leninista della “trasformazione della guerra imperialista in guerra civile”, perché troppo radicale rispetto ai sentimenti pacifisti delle masse, privilegiando la parola d’ordine di “cessazione immediata delle ostilità” e “pace immediata senza né indennità né annessioni”. Così, quando su iniziativa del Partito socialista italiano, a settembre del 1915, si riunisce a Zimmerwald, in Svizzera, una conferenza di tutti i settori dell’Internazionale contrari alla guerra, dai più moderati pacifisti fini ai bolscevichi e a loro alleati, i delegati del gruppo Internazionale votano contro il documento di Lenin che conteneva la sua parola d’ordine della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile, documento respinto. Mentre viene poi approvato all’unanimità (quindi compreso i leninisti) un testo di “compromesso” elaborato da Trotsky, che contiene la formula “pace senza annessioni né indennità, da raggiungersi attraverso l’unione degli operai di tutti i paesi”.

La divergenza non era, soprattutto all’inizio della guerra, insignificante. Ma la storia, anche di poco successiva, dimostrerà che non si tratta, se si ha una coerenza rivoluzionaria, di una divergenza irrisolvibile. Lo stesso Lenin, rientrato in Russia nel 1917, dovrà basare la sua propaganda e agitazione concreta sulla parola d’ordine di Zimmerwald (e lo dirà chiaramente), che i centristi pacifisti abbandonavano per passare al socialimperialismo “democratico”. Del resto nella successiva conferenza dei socialisti contrari alla guerra nel 1916 a Kienthal, sempre in Svizzera, c’è un nuovo spostamento a sinistra. I leninisti e la parte più radicale della vecchia maggioranza di Zimmerwald (Trotsky, il gruppo di Rosa, i massimalisti italiani e altri) votano insieme contro i rimanenti centristi un testo che si avvicina alle posizioni leniniste e che soprattutto prospettano la rottura non solo con i socialsciovinisti, ma anche con i centristi pacifisti.
In effetti sulla questione della rottura non solo con i riformisti, ma anche coi centristi e sulla prospettiva di costituire su basi chiaramente rivoluzionarie una Terza Internazionale c’è l’accordo tra Luxemburg e Lenin fin dall’inizio della guerra e il tradimento dei partiti socialisti; anche se Rosa è più cauta sui tempi della scissione, in particolare in Germania, per non lasciare le masse sotto la direzione dei socialsciovinisti.

Intanto in Germania la situazione tra l’avanguardia operaia inizia ad evolvere e questo si riflette anche nel SPD. Ad agosto 1915, 29 deputati abbandonano il parlamento per non votare i crediti di guerra. Prima Liebknecht, poi altri 18, vengono espulsi dal partito. A febbraio 1916 Rosa esce di prigione. A marzo si tiene la prima conferenza del gruppo dell’Internazionale, i cui membri, dal nome delle Lettere di Spartaco che diffondono clandestinamente, vengono chiamati Spartachisti. Il 1° maggio organizzano una manifestazione contro la guerra al centro di Berlino con molte migliaia di lavoratori in cui parlano Rosa e Liebknecht. Questi, che era coscritto come militare, viene arrestato e subito condannato a quattro anni di carcere. Il giorno del processo 50.000 operai delle industrie belliche di Berlino entrano in sciopero in suo sostegno. A luglio anche Rosa è di nuovo incarcerata, senza accuse precise. Resterà in prigione fino alla fine della guerra.

Nel frattempo le contraddizioni nel SPD si accentuano e i centristi vengono, all’inizio del 1917, espulsi (per dare il senso della cosa, accanto al vecchio “centro marxista”, tra gli espulsi c’è persino Bernstein che era tra i deputati dissidenti per puro pacifismo; ma Bernstein era un onesto riformista di sinistra, mentre la maggioranza del SPD era piena di funzionari e amministratori che avevano votato in passato la condanna del suo “revisionismo”, ma il cui giudizio politico era determinato solo dal ruolo e privilegi ad esso legati).

Fondano così il Partito socialdemocratico indipendente, con circa il 40% degli iscritti al vecchio partito. Solo in questo momento gli spartachisti si costituiscono in una vera e propria organizzazione col nome di Lega di Spartaco, che partecipa come frazione alla costituzione del nuovo partito. Anche ora però la sua struttura è debole, né si crea nel quadro della guerra una struttura clandestina per sviluppare con più radicalità l’azione di propaganda e agitazione per la prospettiva rivoluzionaria. Ed è proprio questo “lassismo” organizzativo degli spartachisti che è uno dei motivi di critica di Lenin nei confronti della Luxemburg.

Questa è ad ogni modo in carcere e pur potendo corrispondere non può prendere parte attiva agli avvenimenti.


LA RIVOLUZIONE RUSSA

È quindi dal carcere che saluta la Rivoluzione russa, prima quella di febbraio, poi quella dell’Ottobre. Ed è in carcere che, nel settembre del 1918, la Luxemburg scrive un testo sulla Rivoluzione russa, che sarà poi usato, distorcendolo, contro il bolscevismo e quindi contro il suo stesso pensiero da ipocriti riformisti e centristi vari.

In tale testo, pur salutando caldamente il successo della rivoluzione bolscevica, Rosa avanzava una serie di critiche all’azioni dei bolscevichi. Sostanzialmente le critiche riguardavano tre aspetti della loro politica. Normalmente gli opportunisti imbroglioni che cercano di contrapporre la Luxemburg a Lenin e Trotsky si basano su una sola di queste tre critiche, quella che riguarda lo scioglimento dell’Assemblea costituente russa nel gennaio 1918 e non fanno cenno delle altre due. Chiariamo la questione.

In primis Rosa rimprovera ai bolscevichi, in continuità con le sue posizioni di sempre, la loro politica di autodeterminazione dei popoli, quindi delle nazionalità non russe (con una particolare enfasi sulla Ucraina, a suo dire creazione artificiale). Dato che la storia ha risolto, crediamo, questa questione e che semmai i centristi o riformisti vari che si ricoprono del manto di Rosa generalmente sono grandi sostenitori del nazionalismo piccolo-borghese, si capisce perché oggi tacciono su questa critica.

La seconda critica riguarda la politica agraria dei bolscevichi. Per Rosa Luxemburg la politica di divisione delle proprietà dei latifondisti tra i contadini era contraria ai principi socialisti; i bolscevichi avrebbero dovuto invece socializzarle come banche, industrie e trasporti e farne delle aziende collettive statali. Anche qui cose non potabili dai nostri “luxemburghiani” antimarxisti o almeno amarxisti. Vorremo ricordare che in effetti questo era il programma rivoluzionario dei bolscevichi, su cui Lenin aveva più volte polemizzato con i socialpopulisti russi (i “socialisti rivoluzionari”) che proponevano appunto la suddivisione delle terre dei nobili latifondisti e della Chiesa ortodossa. Ma di fronte alla realtà delle rivendicazioni dei contadini russi che dovevano essere guadagnati come alleati per la rivoluzione socialista, Lenin aveva dovuto adattare, con il pieno appoggio di Trotsky e di tutto il partito senza eccezioni, il programma alla realtà di quello che nei fatti già i contadini stavano facendo, stanchi che gli opportunisti socialpopulisti non realizzassero nei fatti il loro programma. Fu un compromesso necessario. Non a caso nella guerra civile i controrivoluzionari, per cercare di portare dalla loro parte i contadini, agitavano lo spauracchio che i comunisti volessero realizzare la “Comune” (per fortuna i contadini, tra il pericolo ipotetico della Comune da parte di quelli che gli avevano garantito la terra, e il non ipnotico ritorno, in caso di vittoria dei bianchi, dei latifondisti, sapevano con chi schierarsi). Non c’è dubbio che dalla Rivoluzione russa in poi il programma dei marxisti, in generale, non può fare a meno di questo “compromesso” coi contadini. Ma è importante ricordare che è un compromesso, che la prospettiva della socializzazione del lavoro agricolo rimane un obbiettivo a più lungo termine e che nella storia ci sono stati alcuni casi in cui il programma originario dei marxisti ha trovato risposta. Questo fu il caso della rivoluzione spagnola del 1936 quando i contadini dell’Aragona, a un livello di coscienza ben superiore a quella dei contadini russi, si organizzarono per coltivare e produrre in forma collettiva.

La terza critica, come detto, riguarda lo scioglimento dell’Assemblea costituente e delle misure repressive del governo bolscevico di fronte alla controrivoluzione. In effetti qui Rosa condanna tale scioglimento, indicando anche che, se come affermavano i bolscevichi, tali elezioni rappresentavano ormai una situazione passata, essi avrebbero dovuto convocare una nuova assemblea, sulla base del suffragio universale e della totale libertà di stampa e propaganda per tutti i partiti. Certo, considerando quello che Rosa aveva scritto in altre occasioni sul carattere illusorio del voto universale, si resta meravigliati della sua posizione. Certamente Rosa parlava del voto in un regime borghese. Ma come poteva pensare che gli elementi illusori del suffragio universale venissero meno subito dopo una rivoluzione, in cui i bolscevichi avevano un voto poco superiore al 50% nei soviet, cioè negli organismi della classe operaia e dei soldati, con un appoggio contraddittorio dei soviet contadini? E come si poteva pensare che la rivoluzione si subordinasse ad una maggioranza formale? Probabilmente su Rosa agiva, nel chiuso della sua prigione, la sua sensibilità in rapporto al (inevitabile come scelta difensiva nei suoi tratti generali) terrore rosso, presumibilmente ingigantito dalla sola stampa che poteva leggere, quella borghese e socialdemocratica tedesca. Evidentemente non riusciva a cogliere tutta la complessità della rivoluzione nel suo corso reale. Rimase così molto sorpresa quando dopo l’uscita dal carcere a novembre seppe che il capo della CEKA (cioè lo strumento principale della repressione rivoluzionaria) era il suo vecchio amico e seguace lituano Dzerzinskij.

Ma quello che è importante è che Rosa non pubblicò mai questo testo! Nemmeno all’interno della Lega di Spartaco né del Partito comunista. Esso fu reso pubblico solo nel 1922, dall’ex dirigente spartachista e avvocato di Rosa Paul Levi, nel momento in cui ruppe da destra col Partito comunista tedesco, di cui era stato fino a quel momento uno dei principali dirigenti.

E se si può immaginare che sui primi due punti (autodeterminazione e politica agraria) la Luxemburg mantenne fino alla morte le sue posizioni, sul terzo punto, di fronte allo sviluppo reale della rivoluzione tedesca la Luxemburg, come vedremo, cambiò del tutto posizione, schierandosi per il potere assoluto dei consigli operai e dei soldati (con una elezione democratica) contro l’elezione di una Assemblea costituente.

Ma quello che è più importante sono le conclusioni del suo testo critico che molti artatamente dimenticano e che chiariscono in che ambito si pongono le sue posizioni. Conclude così Rosa: “Lenin e Trotsky con i loro amici sono stati i primi che hanno dato l’esempio al proletariato mondiale [..]. Questo è l’elemento essenziale e duraturo della politica bolscevica. In questo senso resta loro immortale merito di aver marciato alla testa del proletariato internazionale, conquistando il potere politico e ponendo praticamente il problema della realizzazione del socialismo [..]. In Russia il problema poteva soltanto essere posto. Non poteva essere risolto in Russia. Ed è in questo senso che l’avvenire appartiene ovunque al bolscevismo”.

Franco Grisolia

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