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Rosa Luxemburg, l’aquila del marxismo rivoluzionario (seconda parte)

“Giù le mani dalla rossa Rosa!”, morta per la rivoluzione socialista internazionale

5 Marzo 2021

A 150 anni dalla nascita di Rosa Luxemburg, ricordiamo la vita e l’attività politica della grande rivoluzionaria polacca ripubblicando questo testo di Franco Grisolia, originariamente apparso nel numero 15 della nostra rivista teorica Marxismo Rivoluzionario (seconda parte).

Leggi qui la prima parte

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LA RIVOLUZIONE TEDESCA

La mobilitazione del proletariato tedesco continua a estendersi nel 1917 e 1918. Finalmente, dopo una serie di sconfitte sul fronte occidentale all’inizio dell’autunno del ‘18, a novembre la rivoluzione scuote la Germania. Cominciata dai marinai di Kiel il 4 novembre si estende a tutto il paese nei giorni successivi. Il 9 l’imperatore abdica;
Liebknecht, da poco liberato, proclama dal balcone del palazzo imperiale, di fronte a decine di migliaia di operai, la Repubblica socialista tedesca; nello stesso tempo il dirigente socialdemocratico Scheidemann proclama invece dal palazzo del governo la Repubblica democratica. La Germania si riempie di consigli di operai e di soldati. Comincia ora un incredibile gioco di manovre ed inganni. Si forma una commissione provvisoria di governo con tre socialdemocratici maggioritari e tre centristi dell’USPD, con premier il maggioritario Ebert. L’SPD parla con vergognosa ipocrisia di socialismo, potere dei consigli, etc.; nel contempo comincia a prevedere la rapida elezione di una Assemblea costituente.

Cerca intanto di prendere il controllo dei consigli per bloccare la rivoluzione. Dove ha la maggioranza tra una classe operaia ancora confusa fa eleggere i consigli alla proporzionale; dove è in invece è in minoranza (come in primis a Belino) con manovre e ricatti pretende in nome dell’“unità” di avere una rappresentanza paritaria tra i due partiti nei consigli centrali locali; inoltre visto che, salvo tra i marinai della flotta, ha quasi ovunque una maggioranza tra i soldati, chiede anche tramite essi la parità tra rappresentati di operai e soldati. In questo modo riesce ad avere la maggioranza sia a Berlino che in Germania in quanto tale al congresso nazionale dei consigli di metà dicembre.

Questo quindi si suicida decidendo di affidare il potere politico alla prossima Assemblea costituente e di limitarsi (ovviamente nei fatti nemmeno questo avverrà) ad un ruolo consultivo e di controllo. Qui si vede quanto sia costato agli spartachisti non essersi mossi sulla linea politico organizzativa, proposta da Lenin, di costruire una struttura clandestina e cercare di svilupparla e inserirla nelle fabbriche e tra i soldati: certo ci sono situazioni in cui spartachisti o altri oppositori (i socialisti internazionalisti, tendenzialmente ultrasinistri e già fuori dal USPD) hanno una base di massa tra operai e anche soldati (marinai), ma si tratta di poche località, dove fin dal 1914-‘15 una maggioranza o larga minoranza di dirigenti politici o sindacali del SPD si sono pronunciati radicalmente contro la guerra. Altrove la Lega di Spartaco è costituita da pochi intellettuali e ancora meno operai che svolgono principalmente un lavoro propagandistico non centralizzato (basta pensare che al momento della rivoluzione di novembre a Berlino, dove l’USPD ha dietro di sé la maggioranza degli operai, gli spartachisti, al suo interno sono in tutto e per tutto circa… 50). Certo Liebknecht è popolarissimo, tanto che i delegati operai (quelli eletti democraticamente nelle fabbriche) chiedono che egli sia uno dei tre ministri dell’USPD nel governo centrale (cosa che lui rifiuta, data il carattere ambiguo di questo governo). Ma la sua popolarità è più come individuo della sinistra USPD che come rappresentante della Lega Spartaco.

È vero che Rosa aveva passato la maggior parte del periodo di guerra in carcere; tuttavia, né nel periodo di libertà per alcuni mesi del 1916, né nelle comunicazioni dal carcere aveva spinto nel senso suggerito da Lenin. Un errore, anche se non si tratta di farsi illusioni. Gli spartachisti sarebbero stati più forti, ma non avrebbero potuto cambiare il corso della storia. Troppo forte la tradizione del SPD e il livello di capacità di falsità, criminalità e manovre dei burocrati dirigenti socialdemocratici. Inoltre, troppo incerto oscillante e diviso l’USPD centrista, la cui maggioranza moderata non voleva certo la dura sconfitta del proletariato, ma neanche una rivoluzione di tipo bolscevico.

In questo quadro alla luce dello sviluppo concreto della rivoluzione, Rosa affina, come già detto, le sue posizioni. L’asse diventa la parola d’ordine del potere dei consigli, però rieletti su basi democratiche, e l’opposizione alla elezione della Assemblea costituente, ormai chiaramente agli occhi di Rosa lo strumento della controrivoluzione “democratica”, voluto dal SPD nel momento in cui sapeva che col tempo il proletariato si sarebbe inevitabilmente, nel quadro di un processo rivoluzionario, spostato a sinistra, come era successo in Russia nel 1917.

Tuttavia, in linea con i concetti dei bolscevichi e d’accordo col suo vecchio avversario nella lotta di frazione in Polonia Radek, Rosa chiarisce che la presa di potere da parte dei marxisti rivoluzionari potrà avvenire solo quando essi avranno il sostegno della maggioranza del proletariato (lei scrive larga maggioranza, che è forse troppo). Farà votare senza opposizione questo concetto al congresso costitutivo del Partito comunista tedesco.


LA FORMAZIONE DEL KPD E LA FALLITA INSURREZIONE DI GENNAIO

Infatti, la Lega di Spartaco decide a dicembre di rompere con l’USPD e di costituirsi in Partito comunista indipendente. Era praticamente inteso tra tutti nella Lega che nel primo congresso dell’USPD essi avrebbero sviluppato una battaglia frontale contro i dirigenti centristi, cercando di raggruppare un’ampia sinistra e con questa avrebbero scisso dal partito e costituito un nuovo partito comunista. Ma lo sviluppo degli avvenimenti spinge gli spartachisti a chiedere il congresso in tempi brevissimi, entro la fine di dicembre. Il segretario Haase e la direzione rispondono che non è possibile perché ciò avrebbe indebolito la campagna elettorale per la costituente. In questo quadro, con una scelta certo opinabile, la Lega decide di organizzare subito la scissione e la proclamazione del nuovo partito. Rosa è incerta, ma alla fine si lascia convincere da Radek. Alla conferenza spartachista il 29 dicembre ci sono 80 voti a favore e tre contrari, tra cui però Jogiches. Klara Zetkin, che non era a Berlino, si dichiara nettamente contro la scelta. Certo gli spartachisti pensavano che il loro gruppo si sarebbe allargato sia a sinistra con gli ISD, diventati IKD, sia a destra, ed era la cosa più importante, con i “delegati rivoluzionari” di Berlino e il loro referente politico nell’USPD, Ledebour. I delegati rivoluzionari erano gli ex “capifabbrica” del SPD quasi tutti su posizioni contro la guerra e rivoluzionarie, che avevano organizzato gli scioperi e le manifestazioni degli anni di guerra e costituivano ora il settore più a sinistra dell’USPD, a parte gli spartachisti. Erano la vera direzione della classe operaia di Berlino. Ma se i delegati dell’IKD si unirono subito, in numero di 29 al congresso, questo non avvenne con i “delegati rivoluzionari”.

Nel congresso, con sorpresa di Rosa, ci fu una maggioranza ultrasinistra. La posizione della “centrale” (l’Esecutivo spartachista) fu ben espressa dal relatore Levi con queste due frasi, certo non contraddittorie per un bolscevico: “La via della vittoria del proletariato non può che passare sul cadavere dell’Assemblea costituente” e “Ciò nonostante noi proponiamo di non tenerci in disparte nelle elezioni della Assemblea costituente”.

Nel congresso c’è la ribellione, in nome del boicottaggio delle elezioni. La risoluzione della “centrale”, nonostante l’impegno di Rosa e con più incertezza di Liebknecht, viene respinta con 62 voti contrari di fronte a soli 23 favorevoli.

Nel contempo fallisce il tentativo di far entrare nel partito i “delegati rivoluzionari” di Berlino. La discussione con loro si svolge da parte di Liebknecht parallelamente al congresso del 30/31 dicembre. Ledebour è contrario per vecchie ruggini con gli spartachisti. I delegati operai, sapendo che si stanno affermando nel congresso gli estremisti, pongono come condizione il rovesciamento delle decisioni appena prese, in particolare sull’astensione all’elezione della Costituente. Come prevedibile il congresso rifiuta e Ledebour e i “delegati rivoluzionari” restano nell’USPD.

Nel contempo la rivoluzione a Berlino va verso la sua conclusione tragica. Già a dicembre ci sono stati vari scontri tra la milizia “repubblicana” organizzati dal SPD e l’esercito da un lato e i sostenitori degli spartachisti, sia operai che i pochi soldati della neonata Lega dei soldati rossi dall’altro. In particolare, ciò avviene intorno a Natale rispetto alla piccola “divisione di marina popolare” giunta da Kiel e per l’occupazione spontanea della sede del Vorwarts (Avanti), il quotidiano del SPD, in mano all’inizio della guerra a centristi e radicali e occupato dall’esercito e dato ai maggioritari dall’esercito nel 1916. Questa occupazione è avvenuta senza alcun coinvolgimento dell’Esecutivo spartachista che a partire da Rosa, e escluso Liebknecht, lo condanna come un errore.

In ogni modo dopo il “Natale di sangue” i ministri centristi dichiarano che non possono restare al governo con “chi ha la mani sporche del sangue proletario” e si dimettono lasciando soli i tre maggioritari, che del resto, con Ebert a capo, erano già i veri governanti.

All’inizio di gennaio essi organizzano una vera e propria provocazione. Il 4 dichiarano decaduto dalla carica di prefetto di polizia (cioè questore) di Berlino (prefetto posto dalla rivoluzione ovviamente) Emil Eichorn, della sinistra USPD e lo sostituiscono con un esponente socialdemocratico. Eichorn rifiuta e si trincera in prefettura con la guardia operaia che aveva costituito nei due mesi precedenti. Il giorno 5 una massa di almeno duecentomila operai/e invade il centro di Berlino in sostegno ad Eichorn. Già in dicembre c’erano state grandi manifestazioni di massa, di anche più di centomila persone in cui avevano parlato, tra gli applausi, sia Rosa che Liebknecht. Ma mai una così grande, determinata e con molti operai in armi. In questo quadro si ha uno strano cambio di posizioni.

L’Esecutivo del KPD invita a limitarsi ad uno sciopero generale di protesta, evitando una insurrezione che ritiene destinata all’insuccesso. Ma Liebknecht, che agisce sempre più da solo rispetto agli altri dirigenti, non la pensa così. Trova adesso come alleati Ledebour, Eichorn e i “delegati rivoluzionari”, che impressionati dalla manifestazione del 5 pensano che una insurrezione possa riuscire. Un esempio storico che i rivoluzionari devono sempre ricordare. Elementi rivoluzionari confusi e anche centristi di sinistra impressionati dal movimento di massa, senza considerarne i limiti, possono passare improvvisamente da una posizione moderata ad una avventurista. Il 6 c’è un’altra manifestazione, sempre massiccia, ma valutata in circa 100.000 partecipanti, la metà del giorno prima. Poi, mentre la folla si disperde progressivamente, i dirigenti di cui sopra discutono a lungo. Finalmente decidono di costituire un consiglio rivoluzionario di 52 persone e preparano un breve ordine del giorno di destituzione del governo Ebert e di presa del potere firmato Liebknecht, Ledebour, Sholtze (dei delegati) come presidenti del consiglio stesso. In realtà le forze organizzate di cui dispongono i rivoluzionari constano in tutto di circa 10.000 persone (la guardia rossa costituita da militanti di avanguardia nelle fabbriche, la guardia proletaria di Eichorn, la Lega dei soldati rossi e pochi altri reparti militari). Al contrario il neoministro della difesa Noske, della estrema destra del SPD ed Ebert avevano raggruppati appena fuori Berlino 80.000 soldati. La maggioranza non era sicura per una azione repressiva, ma tra essi il governo poté costituire dei reparti scelti (i “corpi franchi”) di elementi reazionari, motivati, reduci da anni di esperienza di guerra e estremamente bene armati.

Di fronte ad una insurrezione senza direzione militare precisa, che occupava a casaccio i palazzi del potere già dall’8, mentre Ledebour e gli altri invece di agire intavolano negoziati, i corpi franchi cominciano a riconquistare a una a una le posizioni degli insorti, a volte fucilando chi si arrende e, in ogni caso, i loro capi. Radek, Jogiches e Levi vorrebbero chiamare subito alla ritirata e anche condannare l’azione di Liebknecht, perché contraria alle indicazioni del partito. La Luxemburg è sostanzialmente d’accordo con la posizione, ma non vuole che il partito appaia tradire una lotta in corso. Quando rivedrà Liebknecht lo criticherà duramente.

La maggioranza dei reparti militari di Berlino città si proclamano neutrali. Nelle fabbriche, che i dirigenti dalla insurrezione credevano pronti a sostenerli, passano risoluzioni che sì condannano il governo, chiedendo la rielezione democratica dei consigli, ma fanno appello alla fine degli scontri e alla costituzione di un governo a tre con pari rappresentanza di SPD, USPD e KPD (qualche assemblea propone a quattro, contando separatamente i delegati rivoluzionari). Pura illusione, mentre i dirigenti socialdemocratici stanno usando la reazione per massacrare l’avanguardia rivoluzionaria. Ma quante volte le illusioni “unitariste” delle masse le hanno portate alla sconfitta. Non dispiaccia ai vari spontaneisti, è anche su questo terreno che la coscienza rivoluzionaria deve essere portata dall’esterno dal partito, naturalmente anche con una politica di fronte unico, ma non quando c’è lo scontro frontale.

Anche per questo, mentre gli scontri sono ancora in corso, Rosa nel suo editoriale del 11 gennaio sul quotidiano del KPD Die Rothe Fahne (La Bandiera Rossa) attacca frontalmente i centristi, dimostrando così la sua coerenza rivoluzionaria: “Una volta di più l’USP ha svolto il ruolo dell’angelo salvatore della controrivoluzione. Haase-Dittemann hanno sì dato le dimissioni dal governo Ebert ma, nella strada essi continuano la stessa politica di quando erano al governo. Essi servono da paravento agli Scheidemann [..]. Prima di ogni cosa le prossime settimane devono essere dedicate alla liquidazione dell’USP, questo cadavere putrescente la cui decomposizione avvelena la rivoluzione”.


LA MORTE DI ROSA

Il 12 Rosa scrive il suo ultimo editoriale dal titolo L’ordine regna a Berlino che si conclude così: “Stupidi sbirri! Il vostro ordine è costruito sulla sabbia. Già domani la rivoluzione si ergerà nuovamente ed annuncerà con un suono di squilla: io ero, io sono, io sarò!”.

Ma ora i corpi franchi cercano i dirigenti rivoluzionari per liquidarli. Rosa e Liebknecht accettano a fatica di nascondersi, ma rifiutano di lasciare Berlino. Si nascondono nella casa di compagni. Ma, probabilmente seguendo un altro dirigente comunista, vengono scoperti e arrestati la sera del 15 e portati al comando dei corpi franchi. Da lì, divisi, vengono fatti uscire “per andare in carcere”. In realtà vengono subito colpiti con i calci dei fucili e poi, in macchina, uccisi. Liebknecht è abbandonato davanti a un posto di polizia senza documenti. Rosa è buttata con delle pietre in uno dei canali di Berlino. Il suo corpo fu recuperato solo a maggio. Centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici parteciparono commossi ai suoi funerali.

Non si sa se l’ordine di ucciderli venisse direttamente da Noske ed Ebert, o se si siano “limitati” a coprire l’assassinio. In ogni caso la loro responsabilità nella morte dei due dirigenti, come in quella di centinaia di proletari rivoluzionari è palese. Il giovane poeta comunista Bertolt Brecht, nei mesi in cui il corpo di Rosa non è ancora stato ritrovato, scrive una struggente dedica poetica: “Ora è sparita anche la Rosa rossa, / non si sa dove è sepolta. / Siccome ai poveri ha detto la verità / i ricchi l’hanno spedita nell’aldilà.


ROSA, LA TERZA E LA QUARTA INTERNAZIONALE

Come abbiamo detto, storici e politici ignoranti o imbroglioni cercano di contrapporre Rosa Luxemburg a Lenin e anche a Trotsky, insomma ai bolscevichi, distorcendo il suo pensiero e i fatti storici. Speriamo che questo articolo abbia contribuito, ristabilendo la verità dei fatti e ricordando che Rosa affermava che il futuro nel mondo appartenesse al bolscevismo.

Ma, allora, la divergenza che si sono espresse tra Rosa e Lenin nel corso degli anni? Solo chi non capisce cosa è il dibattito tra marxisti rivoluzionari può ritenere che queste divergenze costituissero un elemento di divisioni di principio. Il marxismo vivente è una costante ricerca per trovare le migliori posizioni per lo sviluppo della rivoluzione.

Ma su questo lasciamo la parola a Lenin che così rispose in un suo articolo dopo che Levi aveva pubblicato, dopo la rottura col KPD e la terza internazionale, lo scritto di Rosa sulla Rivoluzione russa e altro contrario ai bolscevichi: “Paul Levi vuole aggraziarsi la borghesia – e, conseguentemente, i suoi agenti, la II Internazionale e l’Internazionale due e mezzo – ripubblicando precisamente quegli scritti di Rosa Luxemburg in cui lei era in torto. Noi risponderemo a ciò citando due righe di un buon vecchio scrittore di favole russo: “le aquile possono saltuariamente volare più in basso delle galline, ma le galline non potranno mai salire alle altitudini delle aquile”. Rosa Luxemburg sbagliò sulla questione dell’indipendenza della Polonia; sbagliò nel 1903 nella sua valutazione del menscevismo; sbagliò nella sua teoria dell’accumulazione del capitale; sbagliò nel luglio 1914, quando sostenne la causa dell’unità tra bolscevichi e menscevichi; sbagliò in ciò che scrisse dal carcere nel 1918 (corresse poi la maggior parte di questi errori tra la fine del 1918 e l’inizio del 1919, dopo esser stata rilasciata). Ma a dispetto dei suoi errori lei era – e per noi resta – un’aquila. E i comunisti di tutto il mondo si nutriranno non solo del suo ricordo, ma della sua biografia e di tutti i suoi scritti, che serviranno da utili manuali nella formazione delle future generazioni di comunisti di tutto il mondo”.

Successivamente toccò a Trotsky difendere la memoria rivoluzionaria di Rosa.

In un primo momento ciò, come abbiamo già visto, fu contro lo stalinismo. Ciò avvenne in particolare nel 1932. Uno storico comunista russo aveva scritto un articolo sulle origini del bolscevismo, ricordando che Rosa Luxemburg aveva compreso prima dei bolscevichi che Kautsky era un opportunista. Stalin intervenne con un suo articolo aspramente critico in cui, contro la realtà e le affermazioni di Lenin, scriveva che i bolscevichi avevano rotto col centrismo anche a livello internazionale nel 1903 e che invece la Luxemburg, essendo “semimenscevica” (sic!) come Trotsky, aveva rotto col centrismo e per di più confusamente, solo nel 1918. Trotsky scrisse allora un testo dal titolo Giù le mani da Rosa Luxemburg, in cui, riferendosi a quanto scritto da Lenin, rivendicava il marxismo rivoluzionario conseguente di Rosa e i suoi meriti, dimostrando che revisionista non era la Luxemburg, ma Stalin.

Più tardi la sua polemica fu verso quelle forze centriste e spontaneiste che cercavano di coprire il loro opportunistico rifiuto di costruire partiti leninisti ed una Internazionale bolscevica (la Quarta) con il richiamo alla Luxemburg, ripetendo le distorsioni di un Levi o di altri centristi dopo di lui, e contrapponendo la grande rivoluzionaria tedesca a Lenin e Trotsky. Anche qui il senso delle posizioni di Trotsky si può desumere da alcune citazioni dalle conclusioni che scrisse nel testo al riguardo dal titolo Rosa Luxemburg e la Quarta Internazionale: “Rosa stessa non si è mai auto-confinata alla mera teoria della spontaneità [..]. Rosa Luxemburg si è sforzata anticipatamente di educare l’ala rivoluzionaria del proletariato e ad unirla organizzativamente il più possibile. In Polonia ha costruito un’organizzazione indipendente molto rigida. Il massimo che si possa dire è che la sua valutazione storico-filosofica del movimento operaio, la preselezione della sua avanguardia, comparata all’azione di massa che era attesa, fu troppo poco accentuata in Rosa; laddove, invece, Lenin – senza consolare sé stesso con i miracoli delle azioni future – prese gli operai più avanzati per saldarli costantemente e instancabilmente in fermi nuclei, illegalmente o legalmente, in organizzazioni di massa o sotterranee, per mezzo di un programma finemente definito. La teoria della spontaneità di Rosa fu una salubre arma contro l’ossificato apparato del riformismo [..]. Lei era troppo realista, in senso rivoluzionario, per sviluppare gli elementi della teoria della spontaneità in una consumata metafisica. In pratica, lei stessa, come si è già detto, insidiava questa teoria ad ogni passo. Dopo la rivoluzione del novembre 1918, lei iniziò l’ardente lavoro di assemblaggio dell’avanguardia proletaria. Malgrado il suo manoscritto teoricamente debole sulla Rivoluzione sovietica, scritto in prigione ma mai pubblicato personalmente da lei, il seguente lavoro di Rosa permette di trarre con sicurezza la conclusione che, giorno per giorno, ella si stava avvicinando alla concezione teoricamente ben delineata di Lenin riguardo leadership cosciente e spontaneità. [..] Gli ultimi confusionisti spontaneisti hanno tanto poco il diritto di riferirsi a Rosa quanto i miserabili burocrati del Komintern ne hanno di far riferimento a Lenin. [Noi] possiamo, con piena giustificazione, portare avanti il lavoro della Quarta Internazionale sotto il segno delle "tre L", cioè, non solo sotto il segno di Lenin, ma anche sotto quello della Luxemburg e di Liebknecht.

Non crediamo che ci sia per noi, oggi, nulla da aggiungere a queste parole.

Franco Grisolia

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