Interventi

Prodi contro La Russa, il marxismo contro tutti e due

28 Febbraio 2021
prodilarussa


Su La7, l’altro giorno, è andata in scena la polemica che accompagna l’euro dalla sua entrata in vigore, vale a dire quella sul cambio svantaggioso con la lira, un classico dello scontro interborghese. Da un lato c’era l'ex fascista La Russa, dall’altro l'ex democristiano Prodi, due facce, destra post-fascista e “sinistra” post-democristiana, a sostegno come prima dello stesso imperialismo italiano.

Per La Russa, la lira è stata svenduta a metà prezzo. Prodi si è piegato alla Germania, l’unica che ci ha guadagnato. Ciò che costava 1000 Lire, col cambio è costato 1 euro. Il caffè insomma è raddoppiato per colpa di Prodi che ha gestito la trattativa. La verità da bar è servita.

Prodi a questo punto si è inalberato: «L’obiettivo mio e di Ciampi era quello di andare nell’euro con la lira più svalutata possibile in modo da aiutare le nostre esportazioni».
L’80% degli italiani, vivendo di salario, non ha nulla da esportare, ma importa tutto, dal salame dell’imprenditor Citterio comprato dal droghiere a "chilometri zero", fino all’I-Pad “cinese” acquistato dall’altra parte del mondo sulla piattaforma telematica di wish, ma a parte questo piccolo dettaglio di massa, Prodi spiega che l’ultimo round in vista del cambio definitivo con l’euro, è stato affrontato dalla borghesia italiana riesumando, per la nuova occasione, la vecchia politica economica degli anni ’80: la svalutazione competitiva, come se la svalutazione competitiva potesse davvero fare il miracolo di invertire il declino del capitalismo italiano. Dietro ogni svalutazione competitiva delle esportazioni, infatti, ci sta una rivalutazione svantaggiosa delle importazioni che costano di più. La speranza di poter rifilare all’Europa le proprie cianfrusaglie, senza aver bisogno di comprare nulla all’estero, né gas, né petrolio, né materie prime né altro, si è infranta come tutte le strampalate teorie borghesi contro la dura realtà.

Siccome per “l’economista” Prodi esistono solo le esportazioni, mentre per “l’economista” La Russa non esistono manco le importazioni, non potendo chiarire, né da una parte né dall’altra, l’oscuro mistero di un’analisi economica monca, la discussione è proseguita per forza di cose su due binari morti.

Prodi ha detto che il tiramolla coi tedeschi si è chiuso a 990 lire per ogni marco, cioè 10 lire in meno di quelle volute dall’Italia e 40 in più di quelle volute dai tedeschi. Una marchetta in diretta, quindi, per celebrare un suo personale successo, vanificato dall’aumento dei prezzi «perché non è stata fatta la sorveglianza. Avevamo deciso che, quando si sarebbe entrati nell’euro, ci sarebbero dovute essere le commissioni provinciali per il controllo dei prezzi, che non sono state fatte perché Berlusconi non volle».

La Russa ha rimpallato a Prodi il barile che lui ha scaricato su Berlusconi, precisando che i prezzi non sono proprio raddoppiati, ma ciò che costava 1000 lire, è passato per il «cittadino comune» a 1490, una volta e mezza insomma: «è stato un problema di cambio internazionale, non diciamo sciocchezze… c’era una dinamica che era sbagliata a monte».

L’unica cosa sicura in questo stillicidio di non sensi è che allora Prodi fece un «salto di gioia e Ciampi ne fu felicissimo. Tutti i giornali scrissero che andava bene». I giornali di cui si parla, sono ovviamente i giornali borghesi che saltarono di gioia perché ammesso e non concesso che i prezzi raddoppiarono per il cambio Lira-Euro, raddoppiarono grosso modo anche i profitti. Il gabbato “cittadino comune”, per il quale piagnucola La Russa, è il cittadino salariato. Ma per milioni di salariati gabbati, esiste un pugno di ricchi borghesi che si godono la "truffa" alle loro spalle. Prodi e La Russa sono tra i più fedeli dei loro rappresentanti. E se ora fan finta di piangere come due coccodrilli per i poveri proletari gabbati, è solo per fotterli meglio e un’altra volta domani. La riprova sono le fantomatiche “commissioni provinciali”, previste come paravento da Prodi, dimenticate successivamente da Berlusconi e La Russa, ma non ricordate dal provvidenziale vuoto di memoria dello stesso Prodi quando ritornò al governo. In effetti, non servivano più. Borghesia e suoi camerieri di destra e di sinistra avevano controllato benissimo senza quegli inutili orpelli burocratici: coi profitti alle stelle, le pensioni scippate, sanità e scuola pubbliche distrutte, la missione poteva ben dirsi compiuta da ambo le parti.

Nel rialzo dei profitti e conseguente calo dei salari, sta la chiave del problema. Il cambio Lira-Euro di per sé non spiega nulla perché non c’entra niente. Il denaro, infatti, è l’equivalente universale di tutte le merci e «in quanto misura di valore, è la forma fenomenica necessaria della immanente misura di valore delle merci, del tempo di lavoro» [1].

È tipico dei borghesi, e Prodi e La Russa sono due borghesi assolutamente tipici, scambiare la causa con l’effetto, il fenomeno superficiale con la sua intrinseca essenza. Al pari degli economisti borghesi di quasi duecento anni fa, Prodi e La Russa ancora due secoli dopo ignorano quel che Marx segnalava nel suo Discorso sul libero scambio: «gli economisti borghesi, considerano sempre il prezzo del lavoro (della forza-lavoro, nda) nel momento in cui esso si scambia con altre merci. Ma trascurano il momento in cui il lavoro (la forza-lavoro, idem) si scambia col capitale (con quella quota di capitale investita in “capitale variabile”, investita cioè in salari, nda)» [2].

Il salario è il prezzo della merce forza-lavoro perché i salariati sono un merce come tutte le altre. Se come pensa La Russa, con quella nuova unità di misura degli equivalenti chiamata euro, i prezzi sono raddoppiati, non si capisce per quale motivo non debba essere raddoppiato anche il prezzo di quella merce particolare che è la merce forza-lavoro. I casi son due: o è esistito fin dall’inizio un euro a due velocità, cioè due monete diverse, una per pagare le generiche merci e una per pagare i salariati, oppure ne è esistita una uguale per tutte le cose, e allora non è l’euro ad aver fregato i lavoratori. Le merci infatti, si scambiano al loro valore. L’euro, al pari della lira, le trasforma semplicemente nel loro equivalente in denaro. Se l’equivalenza in denaro della merce forza-lavoro è andata al ribasso, lo si deve al mercato. Mercato inteso, si badi, non come semplice legge della domanda dell’offerta, perché nessun “libero scambio” si affida unicamente a tale legge immaginaria che esiste solo nella testa idealistica dei borghesi e dei loro economisti. Per mercato intendiamo quello capitalistico reale, cioè quel “libero scambio” retorico in cui la legge della domanda e dell’offerta è imbrigliata ogni giorno da mille altre leggi e cavilli e bombe imperialistiche che lo stato borghese inventa per favorire la classe capitalistica. E mentre tutte le generiche merci devono passare al vaglio dei vari trattati internazionali, dal TTPI alla “via della seta” eccetera, la merce forza-lavoro, oltre a subire tutti questi accordi capestro, ha ancora centinaia di speciali “guardie del corpo” in tutti i governi e in tutti gli stati borghesi che legiferano dalla sera alla mattina sulla sua pelle per proteggere il corpo del reato capitalistico: il plusvalore, alias profitto. Perciò, mentre la borghesia si appoggia al suo stato, al suo esercito e alle sue leggi per forzare la semplice legge della domanda e dell’offerta, o il proletariato interviene con la forza contraria della lotta di classe, o il prezzo della merce forza-lavoro è destinato a scendere, sia con l’euro sia con la lira, se ancora ci fosse.

L’euro quindi non ha raddoppiato niente che non sarebbe raddoppiato anche con la lira. Se i salari sono rimasti al palo non lo devono all’euro, ma a ciò che lo precede, a ciò che lo accompagna al momento del varo e a ciò che ne segue ancora oggi. Tacendo delle varie controriforme delle pensioni e delle tante altre infinite nefandezze, andando per sommi capi, prima di scambiare la lira con l’euro, la borghesia italiana ha scambiato nel 1992 la “scala mobile” con “l’inflazione programmata”. Da allora i salariati invece di avere il 100% di rivalutazione salariale, ne hanno avuto in pratica solo il 50% o anche meno. Nel 1997, Treu ha precarizzato di colpo il 15% di forza-lavoro indebolendola contrattualmente. Nel 2003 la Legge Biagi ha balcanizzato anche il resto dei lavoratori. Nel 2009 l’introduzione dell’indice Ipca, ha tolto di mezzo anche quel poco che restava della rivalutazione inflazionistica. Da allora, anche con la complicità sindacale e della sinistra riformista di governo, i contratti nazionali (cioè la vendita della merce forza-lavoro dei vari comparti industriali), hanno avuto durata sempre più lunga e un prezzo sempre più basso. Il processo è stato rapidissimo, ma ha avuto un’accelerazione dai primi anni duemila e si è approfondito con la crisi finanziaria del 2008. Ecco perché viene facile per i rappresentanti borghesi scagionarsi incolpando l’euro, ma la colpa sta nelle loro politiche padronali di destra e di sinistra e ormai trentennali. Togliete l’Ipca, le Leggi Biagi e Treu, ridategli le pensioni e la scala mobile, e i lavoratori con l’euro saranno più ricchi di prima, con buona pace delle diatribe sciocche tra Prodi e La Russa.

Naturalmente non si tratta di tornare semplicemente indietro, questo lo lasciamo ai riformisti. Noi lottiamo perché dopo la lira, vengano aboliti definitivamente anche l’euro, il capitale, il salario e i loro rapporti reciproci. In altre parole: il loro sistema di sfruttamento. È questa la direzione giusta, e questa noi seguiamo [3].



Note:

1 – Karl Marx, Il Capitale (1867), Libro I, capitolo terzo “il denaro, ossia la circolazione delle merci”, paragrafo 1: misura dei valori, pag. 90, Newton Compton editori, 1996.

2 – Karl Marx, Discorso sul libero scambio, 1848, edizioni DeriveApprodi, 2002.

3 – La distinzione tra “lavoro” e “forza-lavoro”, può sembrare questione di lana caprina, ma è una precisazione fondamentale nel discorso marxiano. Pur essendo già ampiamente comprensibile nei suoi scritti giovanili, Marx non l’aveva ancora delineata nel "Discorso sul libero scambio" del 1848. Per questo ci è sembrato giusto aggiungere tra parentesi la correzione dei suoi studi più maturi.

Lorenzo Mortara

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