Dalle sezioni del PCL

Caporalato e botte per operai dell’indotto Fincantieri a Panzano

18 Febbraio 2021

Si ripete il fenomeno presso lo stabilimento monfalconese. I responsabili sono i padroni di Pad Carpenterie di Falconara. Le indagini vanno da Monfalcone ad Ancona e Genova

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Fino a 700 euro per essere assunti. Accettare la decurtazione del salario sino al 15% (dai 200 ai 300 euro). Pagare un dazio di 50 euro per poter utilizzare gli appositi armadietti per il cambio d’abito fra i turni. Subire la requisizione di quasi la totalità degli emolumenti percepiti con la cassa Covid durante il lockdown generale della scorsa primavera. Questa la situazione denunciata dagli operai. Le vittime (per ora accertate) sono 16, di cittadinanza bengalese, anche se la Pad impiega pure lavoratori rumeni. Parte delle somme raccolte dalla proprietà attraverso questa attività di estorsione ammonta a quei 31.500 euro sequestrati dagli inquirenti nei conti bancari intestati alla società.

Se gli operai non sottostavano alle richieste estorsive della proprietà la conseguenza era la perdita del posto di lavoro o anche l’aggressione fisica.
Gli esecutori dell’attività di vessazione erano tre capicantiere, residenti a Monfalcone, raggiunti ora da altrettanti mandati di custodia cautelare emessi dal GIP di Gorizia. E come ogni sistema di sfruttamento coloniale l’impresa utilizzava due capisquadra della stessa nazionalità bengalese incaricati di raccogliere le somme e di richiedere, eventualmente, l’intervento esecutivo dei tre capicantiere in caso di resistenze.

Il proprietario, originario della Campania, risulta però soltanto indagato a piede libero per intermediazione fraudolenta di manodopera. Anche due impiegate sono state inserite nel registro degli indagati. I reati contestati agli arrestati sono di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, estorsione e somministrazione fraudolenta di manodopera. Reati che sarebbero stati commessi a Monfalcone e a Falconara Marittima a partire dal 2018.
Indagati anche i titolari di società che fornivano i lavoratori in somministrazione. Infatti la Pad Carpenterie impiegava oltre il 30% dei propri assunti in somministrazione, in eccesso quindi al contingente di sfruttamento legalizzato dalla Legge n.96/2018 che ha convertito il cosiddetto “Decreto Dignità”. I tre capicantieri agivano da autentici caporali selezionando chi doveva essere assunto (le buste paga figuravano regolari) accettando le condizioni di lavoro estorsive e garantendo il silenzio. Ma alla fine qualcuno ha denunciato.

La Pad Carpenterie, che ha sede legale a Falconara Marittima, fa parte da tempo dell’indotto diretto del gruppo Fincantieri che, ovviamente, ha ribadito la propria estraneità ai fatti. Ma il fatto smentisce coloro che individuavano i fenomeni deteriori soltanto nella filiera del sub-appalto e rilancia con forza la rimessa in discussione dell’intero sistema della terziarizzazione. L’impresa movimenta complessivamente 170 lavoratori distribuiti nei tre stabilimenti di Panzano, Falconara e Genova.


OLTRE LE RSU?

L’ennesima vicenda di ipersfruttamento nell’indotto Fincantieri, dell’estrema ricattabilità della sua popolazione operaia migrante, della diversificazione di condizioni (con annesso incudine di dumping) tra “diretti” e “dipendenti delle ditte” pone, più in generale, anche la questione riguardo l’insufficienza dell’attuale sistema di rappresentanza dei lavoratori nei siti produttivi.

Oltre all’abolizione totale della Legge Biagi, del Jobs Act e di tutte le normative che nei decenni hanno introdotto e allargato la precarizzazione del rapporto di lavoro, la liberalizzazione dell’outsourcing, ci si deve chiedere (anche al fine di costruire le lotte per queste abolizioni) se l’attuale sistema di rappresentanza dei lavoratori fondato sulle RSU sia oggettivamente all’altezza delle criticità delle attuali situazioni di sfruttamento e se sia funzionale alla ricostruzione della necessaria conflittualità di classe, oppure sia giunto sulla soglia di decadenza strutturale che già fu propria delle vecchie commissioni interne a fine anni ‘60.
Si rivendica, da parte dei settori più avanzati del sindacalismo conflittuale, e giustamente, la ricomposizione della filiera produttiva parificando le condizioni giuridiche (inclusa l’internizzazione) tra i diretti e i lavoratori soggetti alla sub-fornitura. Ma tale ricomposizione non può passare se non è preceduta dalla ricomposizione della stessa classe e della sua capacità vertenziale. E ciò è difficilmente attuabile senza la centralizzazione paritaria della rappresentanza di tutti gli operai presenti nel sito produttivo.

Il discorso richiama la necessità di trasformare i vari luoghi parcellizzati della produzione in circoscrizioni elettorali per eleggere delegati di postazioni omogenee o di reparto, al fine di costituire un comitato aziendale elettivo e revocabile di tutta la forza-lavoro operante nello stabilimento, un comitato di fabbrica che rivendica il controllo sulla produzione e che, come tale, sviluppi un potere politico della classe operaia in fabbrica da contrapporre a quello della proprietà. E da questo avviare processi di centralizzazione di tali strutture rappresentative per gruppo aziendale, per comparto, per territorio.

Se il sindacato di classe, comunque organizzato, non inserisce nel suo programma un tale orientamento prospettico, verso il quale, cioè, indirizzare i propri sforzi di conflittualità contingente, rimarrà inevitabilmente costretto a muoversi, sgomitando per la propria agibilità, dentro il recinto di regole imposte dall’unità nazionale tripartitica di padroni-governo-sindacati complici.
L’esistenza nella riserva indiana reca con se tutti i rischi di consunzione che possono manifestarsi con vari fenomeni, spesso con quello della scissione e quindi, dello stesso indebolimento negoziale o progettuale. Il sindacato conflittuale ha bisogno di forme di rappresentanza di conflittualità, di unità generale e di radicalità (l’alternativa è la firma “critica” ad un CCNL capestro, come già accaduto a certi sindacati di base pur di restare nel “gioco”, o derive di apparato come le ambiguità dell’area “Riconquistiamo tutto” nei confronti del collocamento di Landini).
Tanto più che c’è un altro dato obiettivo inconfutabile: l’esaurirsi strutturale della forma RSU. Questa forma venne alla luce e fu perfezionata negli accordi dei due “luglio”: 1992 e 1993. Quegli accordi introdussero un modello di costruzione del salario fondato sul recupero parziale di un’inflazione programmata. Oggi, con la crisi in atto, l’inflazione reale è estremamente bassa, anche più bassa di quella programmata! Il modello dell’inflazione programmata è fattualmente saltato. Le RSU, nate per quella concertazione, sono desuete. La loro neutralizzazione sancita dal Testo Unico sulla Rappresentanza Sindacale del 2014 non è solo un fatto politico attuato dal padronato, rappresenta la ricerca di una modifica istituzionale dei meccanismi dell’accumulazione capitalistica per una nuova fase.

L’inevitabile superamento di questa forma di rappresentanza dal versante del capitale non potrà che deteriorare ulteriormente lo stato di cose presenti. Il suo superamento dal versante dei lavoratori non potrà avvenire attraverso udienze concesse dalla borghesia. La costruzione e lo sviluppo di un partito coerentemente di classe, ovvero anticapitalista e rivoluzionario, è imprescindibile anche per unificare ed espandere la consapevolezza del proprio intervento sindacale, ovunque praticato, su questo terreno.

Partito Comunista dei Lavoratori - nucleo isontino

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