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Metalmeccanici, 124 euro di aumento in quattro anni e mezzo

Note sul rinnovo del contratto nazionale

13 Febbraio 2021
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È questa la cifra firmata al quinto livello. Cioè circa 115 al quarto livello e 112 al terzo. Cifra che dovrà essere sottoposta al voto dei lavoratori e delle lavoratrici, e approvata o bocciata in assemblea da un referendum senza condizioni minime di democrazia: parlerà solo chi è favorevole, mentre chi è contro dovrà arrangiarsi. La cifra è tutta sui minimi, non vale solo per i metalmeccanici di FCA-Stellantis, ormai abbandonati a sé stessi come se non ci fossero più.

25 euro arriveranno a giugno 2021. Altre 25 euro a giugno 2022. Poi 27 a giugno 2023. Infine 35 euro a giugno 2024. Più 12 euro già presi a giugno 2019 per la vacanza contrattuale, ufficialmente infatti il contratto dura tre anni e mezzo, dal 2021 al giugno 2024. I buoni spesa (flexible benefits) vengono portati a 200 euro (50 in più rispetto alla media dei 150 del contratto scorso).

Più abbozzata che pienamente riuscita la controriforma al ribasso dell’inquadramento professionale. Viene eliminata la prima categoria (per 7000 metalmeccanici su un milione e mezzo), mentre le altre vengono rinominate e divise per settori “A, B, C, D” (quindi un terzo livello diventa C1, un quarto C2, eccetera). Al posto di vecchie declaratorie molto fumose e indefinite, vengono messe nuove declaratorie altrettanto fumose ma apparentemente più moderne e scientifiche. L’introduzione di parametri più stringenti, come la conoscenza della lingua straniera all’ex quinto livello (quello del vero e proprio salto professionale, ora ribattezzato C3) sono i presupposti per rendere sempre più difficile e sempre meno legato all’esperienza il passaggio di livello. Il fatto però che le lettere e i sottogruppi ricordino la classificazione proposta dal CCSL di Marchionne mostra bene dove voglia andare a parare Federmeccanica. Oggi si è accontentata di delinearne i primi contorni, domani sconteremo sempre più sulla nostra pelle il disegno.

La vera differenza tra il vecchio e il nuovo inquadramento sta nel fatto che il primo fu ottenuto con le lotte del 1973, quello di oggi stoppandole. Il primo era voluto dagli operai, quello di oggi dalla controparte. Basterebbe questo per comprendere quanto sia insidioso. Solo la finta ingenuità dei burocrati sindacali può credere di aver migliorato un inquadramento professionale senza lotte e a tavolino.

Cassata la richiesta di 700 euro di elemento perequativo, che viene portato a 500, 15 euro in più. Nulla sulla stabilizzazione dei precari. Anche sugli appalti appare alquanto aleatoria la modifica ottenuta. Si chiedeva in caso di cambio di appalto la garanzia del posto di lavoro, si ottiene una scappatoia con cui le nuove imprese in appalto potranno sempre dire di fare un altro servizio, e fare come vogliono.

Il resto è alquanto decorativo, dall’abbassamento del numero di dipendenti per la possibilità delle RSU di coordinarsi tra stabilimenti, al tanto strombazzato contrasto alla violenza contro le donne, che altro non è che il raddoppio da 3 a 6 dei mesi retribuiti previsti dal Jobs Act per le donne che si assentano per motivi legati alla violenza di genere. È sicuramente una cosa buona, come la possibilità di chiedere il trasferimento in altra sede, ma non compensa minimamente tutte le altre perdite del contratto, che hanno già colpito con il precedente rinnovo e colpiranno anche le lavoratrici e le loro condizioni di vita.

Infine fa un ulteriore passo in avanti lo stuolo di enti bilaterali, che già era la vera cifra, in mancanza di quella salariale, del vecchio contratto. Viene aumentata la quota di Cometa (la previdenza complementare) per i nuovi iscritti con meno di 35 anni; si invitano ad iscriversi anche i pensionati alla truffa di Metasalute, che cura in pieno il portafogli degli assicuratori e poco e niente la salute degli iscritti; viene potenziata la commissione su salute e sicurezza, che potrà aumentare le statistiche sulle chiacchiere in attesa di stanziamenti non previsti per metterle in pratica; viene promossa l’alternanza scuola-lavoro, per inserire quanti più apprendisti a basso costo al posto di lavoratori ben inquadrati. Non poteva mancare la commissione paritetica per monitorare il nuovo inquadramento professionale. Viene infine avviata la sperimentazione di un improbabile modello partecipativo: un volontario delle RSU potrà essere inserito in un team e partecipare alla spartizione degli utili degli azionisti senza ricevere un obolo né per lui né per la partecipazione di chi rappresenta.

FIM-FIOM-UILM avevano chiesto circa 150 euro per tre anni. In proporzione, 124 euro in 4 anni e mezzo equivalgono a 82,6 in tre (al quinto livello, cioè 73/75 al terzo o al quarto). Ampiamente sotto la sufficienza in media, e gravemente insufficiente rispetto alla scadenza prevista dalla piattaforma: al termine del 2022, infatti, i metalmeccanici avranno in tasca solo 62 euro dei 150 richiesti.

Certo, rispetto al contratto scorso, pressoché nullo in materia di aumenti, questo rinnovo può apparire buono. I metalmeccanici, che per quattro anni sono stati il fanalino di coda rispetto agli altri settori, oggi ritornano nel gruppo di testa con un aumento appena un po’ al di sotto del contratto degli alimentaristi, che al momento è il migliore dei rinnovi.

Proprio per questo i vertici sindacali, sempre remissivi, hanno brindato a champagne. Per Re David, segretaria generale della FIOM, è addirittura un “risultato straordinario”. È così soddisfatta che non si chiede per quale motivo non si sia visto un solo padrone in lacrime.

La scusa per firmare ancora in deficit, infatti, questa volta è il Covid. Ma il Covid, in realtà, ha spinto leggermente al rialzo la trattativa. Evidentemente, in vista dello sblocco dei licenziamenti previsto per la fine di marzo e già annunciato da Draghi, Federmeccanica non vuole avere troppe grane nel settore più importante, quello dei metalmeccanici. Per questo non ha fatto troppe storie per aggiungere 10-15 euro di briciole ai 100-110 che si preannunciavano nei corridoi dei nostri sindacati (peraltro ottenendo in cambio il nuovo inquadramento professionale e smorzandole, riducendo a 200 euro l’offerta di welfare in buoni spesa che a novembre era di 250. Quei 10-15 euro in più sono quindi tutt’altro che regalate).

La verità è che se la preoccupazione per marzo ha spinto Federmeccanica a offrire qualche spicciolo in più pur di chiudere la trattativa in tempo, il compito nostro è opposto: tenerla aperta. Perché se la preoccupazione per marzo unita a uno sciopero finto e "telefonato" di quattro ore a novembre (con l’esclusione oltretutto di FCA, segno evidente che per FCA si è ormai accettato sottobanco il suo modello contrattuale) hanno prodotto 124 euro in quattro anni e mezzo, una mobilitazione vera, con scioperi veri, imprevisti e di otto ore, porterebbe non diciamo tanto, ma almeno a 130-140 euro in tre anni. In linea con la richiesta della piattaforma.

La burocrazia sindacale punterà sulla rassegnazione, forte di un realismo – è proprio il caso di dire – da quattro soldi, che possono apparire un’enormità rispetto al fiasco totale di cinque anni fa. Noi dobbiamo organizzare il dissenso per bocciare l’accordo nel referendum, denunciando innanzitutto la truffa del medesimo. La lotta parte in salita, perché l'area di l’opposizione CGIL "Riconquistiamo Tutto" arriva a questo ennesimo accordo al ribasso dopo una serie interminabile di astensioni, che hanno accompagnato nei fatti la linea della FIOM, senza denunciare mai i segnali, evidenti anche stavolta, di resa e capitolazione. Il voto contrario al Comitato Centrale FIOM e l’attuale campagna per il no sono i punti da cui ripartire. Il Partito Comunista dei Lavoratori si impegnerà a fondo nella battaglia per il no.

Lo farà non solo con "Riconquistiamo Tutto", ma anche con tutto quell’arcipelago di delegati sparsi nella galassia del sindacalismo di base e oggi raggruppati in parte nell’assemblea dei lavoratori e delle lavoratrici combattivi. È con loro che dobbiamo provare a organizzare il dissenso al nuovo contratto dei metalmeccanici. Con loro e con l'area “Giornate di marzo”, l’altro pezzo di opposizione in CGIL che nel Comitato Centrale FIOM ha bocciato l’accordo. Nessun altro l’ha fatto. Solo i cinque più uno delle due opposizioni, in mezzo a ottantadue favorevoli e ai più rivoluzionari di tutti, i “leninisti” di Lotta Comunista, che da veri landiniani si sono astenuti in tre.

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione sindacale

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