Prima pagina
Il volo dei Draghi
La crisi della Repubblica
3 Febbraio 2021
L'incarico a Draghi è la misura della profondità della crisi. Nella più grande crisi capitalista del dopoguerra, la borghesia italiana non è riuscita a trovare per via ordinaria una soluzione alla propria impasse politica. Ma i padroni hanno trovato il proprio mandatario
La Borsa vola, precipita il differenziale di interesse tra BTP e Bund. Il capitale finanziario saluta stamane a modo suo l'annunciata investitura di Mario Draghi quale futuro Presidente del Consiglio. È insieme l'attesa di una sospirata stabilità politica e la smisurata fiducia nella persona. Colui che tutta la stampa borghese presenta come il salvatore della patria con un tocco di pagana idolatria.
L'INTERESSE SUPERIORE DEL CAPITALE FINANZIARIO
Come scriveva Marx, la borghesia presenta sempre come interesse generale il crudo interesse della propria classe. Mario Draghi è un caso emblematico. Quale servitore dello Stato borghese egli ha svolto con disciplina e onore le proprie funzioni per trent'anni. Prima come Direttore generale del Ministero del Tesoro negli anni cruciali dell'ingresso nell'Euro (1991-2001), poi come Governatore della Banca d'Italia (2005-2011), infine come Presidente della BCE durante la grande crisi capitalista del 2008-2012. La sua stella polare, nella diversità dei ruoli, è stata sempre una sola: l'interesse del grande capitale. Negli anni '90 sponsorizzando la distruzione della scala mobile, la precarizzazione del lavoro, l'onda lunga delle privatizzazioni, dentro il quadro delle politiche di concertazione. Negli anni 2000 con la famigerata lettera della BCE (2011) che prescriveva tagli drastici alle spese sociali per pagare il debito pubblico alle banche in cambio dell'ombrello protettivo sui titoli di stato italiani.
“È colui che ha svenduto l'Italia alla finanza tedesca” gridano i sovranisti di ogni colore un tanto al chilo. È vero l'opposto: Draghi ha coinvolto la Bundesbank obtorto collo nella protezione del capitalismo italiano sul mercato finanziario internazionale. Ciò che industriali e banchieri tricolori hanno capito benissimo, a differenza di tanti imbecilli.
Ora il mandato che Mattarella gli affida è più impegnativo dei precedenti. La crisi in corso è più profonda che dieci anni fa, la pandemia ne moltiplica durata ed effetti, il declassamento di ampi settori di piccola borghesia restringe la base sociale d'appoggio dei governi in carica, e non solo in Italia. Ma soprattutto è diverso lo scenario politico che fa da sfondo. Nei primi anni '90 la caduta della "prima repubblica", tra il crollo dell'URSS e Tangentopoli, spinse una ristrutturazione complessiva del sistema politico-istituzionale attorno all'alternanza di due poli di governo, centrosinistra e centrodestra. Un equilibrio che per più di vent'anni ha incardinato le stesse politiche borghesi. Ma proprio questo equilibrio politico è franato dieci anni fa, sotto la pressione della grande crisi capitalista. Il governo di salute pubblica di Mario Monti fu il notaio di questo decesso, e al tempo stesso il volano del ciclo populista, quando milioni di salariati allo sbando cercarono nel grillismo, poi nel renzismo, e infine nel salvinismo la soluzione (reazionaria) della propria crisi, in risposta all'abbandono e al tradimento della sinistra. Ma un equilibrio nuovo non è stato trovato. La vicenda rocambolesca della presente legislatura, con due governi di diverso segno ma con lo stesso Presidente del Consiglio ed entrambi franati, ne è una testimonianza impietosa.
È un fatto: nella più grande crisi capitalista del dopoguerra, la borghesia italiana non ha trovato per via ordinaria una soluzione della propria crisi politica. Una crisi che minaccia l'intera Unione Europea, perché investe la seconda potenza industriale del continente.
LE INCOGNITE DI UNO SCENARIO POLITICO INSTABILE
L'incarico a Mario Draghi è la misura della profondità della crisi. È un tentativo di commissariamento della politica borghese nell'interesse superiore della borghesia italiana e della UE. Sotto questo profilo assomiglia alla soluzione Monti del 2011. Verificata l'impraticabilità di una ricomposizione della maggioranza parlamentare uscente, la presidenza della Repubblica ricorre ad una soluzione straordinaria di emergenza nazionale, all'insegna della “salvezza del Paese”.
Vedremo nelle prossime ore se il Presidente incaricato troverà una maggioranza parlamentare sufficientemente ampia su cui appoggiarsi. Il quadro politico è assai più frantumato che ai tempi di Monti: la principale forza parlamentare, il M5S, è attraversata da movimenti tellurici potenzialmente deflagranti, il PD è percorso da convulsioni irrisolte, la stessa alleanza di centrodestra registra crepe profonde. Ma la forza di Draghi sta nel fatto di essere davvero l'ultima diga di sistema, oltre che l'ultima barriera rimasta contro elezioni anticipate che falcerebbero tutte le forze politiche con l'unica eccezione di Fratelli d'Italia. Che infatti è l'unico partito che le chiede davvero.
Di certo Draghi ha dalla sua la militanza delle organizzazioni padronali, a partire dalla Confindustria di Carlo Bonomi. La polemica di Draghi contro il “debito cattivo” a favore del “debito buono” sulle colonne del Financial Times è musica per le orecchie del capitale. Significa che i soldi a debito per assistere un operaio licenziato sono sprecati, mentre diventano produttivi se intascati dal padrone che lo licenzia. La povertà è una colpa, il profitto una virtù. I vertici di Confindustria hanno trovato il proprio mandatario.
Di certo affidare a Draghi la gestione dei duecentonove miliardi di fondi europei significa metterli in mani sicure: una nuova messe di miliardi freschi nelle tasche dei padroni in larga misura scaricati sul debito pubblico, quindi sulla schiena di quella Next generation nel cui nome sono versati.
Non solo. Trattandosi in larga misura di prestiti sul mercato finanziario continentale, richiederanno precise condizioni, a partire dal controllo del debito pubblico. La riforma degli ammortizzatori sociali e l'abolizione dell'elemosina di "quota 100" sono già sul conto dell'operazione. Chi meglio di Draghi può farsi garante in sede europea ? Lo stesso vale per lo sblocco dei licenziamenti. Confindustria chiede che il rinnovo del blocco riguardi tutt'al più e per breve tempo le aziende già assistite dalla cassa Covid, non le altre. Che è come dire che va data libertà di licenziare alle aziende che vanno bene e fanno profitti, essendo le altre assistite dallo Stato. Già il ministro Gualtieri, non a caso sponsorizzato da Bonomi, aveva predisposto tale soluzione. Chi meglio di Draghi può garantire la sua esecuzione?
L'ALLINEAMENTO DI LANDINI A DRAGHI
Tanto più in questo quadro è illuminante, ma non sorprendente, il comportamento della CGIL e del suo segretario. Maurizio Landini già in queste ore ha sentito il bisogno di allinearsi all'unità nazionale. Quando il capitale chiama, la burocrazia sindacale risponde. Più il capitale è in difficoltà, più la mano soccorritrice si allunga. Negli anni '90 si regalò ai padroni la scala mobile. Negli anni 2000 l'abbattimento delle tasse sui profitti, con l'IRES passata in un solo anno dal 34% al 27,5% (col voto, ahinoi, di Rifondazione Comunista). Nel 2012 si diede il lasciapassare alla riforma Fornero sulle pensioni. Ogni volta colpendo gli operai o abbandonandoli alla scure padronale. Ogni volta offrendo alle destre peggiori un terreno di pascolo tra i salariati. Perché oggi dovrebbe essere diverso? Landini ha già prostrato la CGIL ai piedi di Giuseppe Conte, e ha già offerto a Bonomi un'«intesa di sistema», come lui stesso l'ha definita. Potrebbe forse mostrarsi insensibile all'attuale richiamo patriottico? La burocrazia si sente un'istituzione della Repubblica. A modo suo lo è. Le offre la pace sociale in cambio di un riconoscimento di ruolo. Landini chiede semplicemente a Draghi di riconoscere questa funzione calmieratrice della CGIL. Gliel'ha riconosciuta Bonomi, la riconoscerà anche Draghi. Il quale già nella dichiarazione di investitura ha rivendicato non a caso la collaborazione tra le parti sociali e la loro coesione.
PER UN FRONTE UNICO DI CLASSE E DI MASSA
Di certo, nel caso che un nuovo governo di unità nazionale dovesse insediarsi – ipotesi al momento ancora virtuale – sarà necessario aggiornare il confronto in tutta l'opposizione di classe. La parola d'ordine del fronte unico della classe operaia contro il fronte unico padronale assumerà ancor di più in quel caso una valenza politica centrale. Sul terreno sindacale come sul terreno politico, tutte le organizzazioni di classe andranno chiamate a serrare le file attorno ad una piattaforma di mobilitazione unitaria. Ogni organizzazione andrà messa di fronte alle proprie responsabilità.
La piattaforma del Patto d'azione e della Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi acquista tanto più oggi una valenza centrale, e al tempo stesso dovrà misurarsi con un livello di scontro obiettivamente superiore, già peraltro annunciato dallo sblocco dei licenziamenti.
Costruire una risposta proporzionale all'attacco significa lavorare oggi più di ieri a un fronte unico di classe e di massa, fuori da ogni logica o tentazione di autorecinzione minoritaria. Unire l'azione dell'avanguardia per unire la massa dei lavoratori e delle lavoratrici è e sarà in ogni caso la bussola politica del nostro partito, dentro la prospettiva più generale di un'alternativa anticapitalista.