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Giorno della memoria: perché tante amnesie?

27 Gennaio 2021
giorno memoria


Nel 2000 una legge dello Stato italiano istituiva la “Giornata Della Memoria” da celebrarsi il 27 gennaio, ricorrenza della liberazione dei prigionieri sopravvissuti nel campo di sterminio di Auschwitz.
In questa ricorrenza i mezzi di comunicazione di massa hanno usato, negli scorsi anni, espressioni del tipo: “27 gennaio 1945: cadono i cancelli di Auschwitz” oppure: “I cancelli di Auschwitz sono stati aperti dagli alleati", cioè dagli inglesi, statunitensi e francesi. E ancora, americano è il carro armato del tanto osannato film "La vita è bella" di Benigni, premio Oscar 1999.

Al contrario la testimonianza di Primo Levi, sopravvissuto di quel campo, che descrive così l’arrivo dei liberatori:
«… La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio del 1945. […]. Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. […] Quattro uomini armati, ma non armati contro di noi, quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili sotto i pesanti caschi di pelo. Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota […]: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono…».

Recuperata così la memoria, in seguito si è ammesso che, sì, ad Auschwitz erano arrivati i russi.
Ma perché tante amnesie? Perché, proprio nel giorno della memoria, fare torto a quei giovani soldati?
Perché altrimenti si sarebbe dovuto riconoscere nel loro sgomento, nel loro incolpevole senso di vergogna, il simbolo che Auschwitz assumeva davanti al loro sguardo attonito: il crinale, l’invalicabile confine tra due opposte concezioni del mondo che venivano a contatto. Da una parte la concezione del mondo basata sull’ideologia fascista dell’odio e del razzismo, sulla perversa ideologia revanscista della conquista delle terre altrui, attraverso l’eliminazione o la riduzione in schiavitù delle popolazioni considerate inferiori, in nome di un osceno culto della superiorità di una razza eletta. Dall’altra la concezione del mondo basata sugli ideali del comunismo, sulla fratellanza tra gli uomini, sull’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sulla sostituzione della schiavitù del lavoro salariato con la libera associazione dei produttori.

Di quei giovani soldati dell’Armata rossa, lanciati nell’offensiva vittoriosa attraverso l’Europa dell’est, che li avrebbe portati fino a Berlino ad issare la rossa bandiera non si vuole parlare, perché altrimenti bisognerebbe ricordare il prezzo di quella vittoria: oltre 20 milioni di morti, circa la metà dei quali civili e prigionieri di guerra uccisi e torturati dai nazisti nei territori sovietici occupati e più di 40 milioni di feriti e mutilati. I nazisti distrussero 1710 città e cittadine, oltre 70.000 paesi e villaggi, 32 mila imprese industriali, 98 mila kolchoz, 1876 sovchoz. Fecero saltare 65 mila chilometri di linee ferroviarie, danneggiarono o portarono via 16 mila locomotive e 428 mila vagoni.

Di questo non si vuole parlare, altrimenti si darebbe la misura dell’ammirazione nei confronti dell’epica resistenza delle città assediate e della controffensiva dell’Armata Rossa che prese le mosse dalla liberazione di Stalingrado (2 febbraio 1943), ammirazione espressa anche dai nemici storici della società socialista: dallo stesso Churchill (che a suo tempo aveva esortato a “soffocare il comunismo ancora nella culla”), dal re Giorgio di Gran Bretagna che donò a Stalingrado una “Spada d’Onore” e dal presidente degli Stati Uniti, Roosevelt, che consegnò un “diploma d’onore” agli eroici difensori della città, divenuta simbolo della riscossa contro il nazismo.

Di questo non si vuole parlare perché bisognerebbe soprattutto ricordare che la sconfitta dei nazisti a Stalingrado incoraggiò la resistenza dei partigiani nei territori europei occupati e ridiede speranza ai popoli oppressi dal nazismo.

Di tutto questo non si vuole parlare. Perché altrimenti bisognerebbe ricordare che le attuali correnti revisioniste e reazionarie che vanno dalla critica alla “retorica” della Resistenza alla sua denigrazione, dalla comprensione per i “ragazzi di Salò” alla condanna per l’esposizione del cadavere di Mussolini e dei suoi gerarchi a piazzale Loreto, non sono nuove, che la denigrazione e la criminalizzazione della Resistenza sono cominciate molto tempo addietro, dallo scioglimento delle formazioni partigiane, dall’esautorazione del CLN, dalla restaurazione del potere dei monopoli capitalisti e delle forze politiche che li rappresentano.

Per tutto questo, se è giusto ribadire la parola d’ordine: “Ora e sempre Resistenza”, se da un lato dobbiamo stroncare i rigurgiti nazi-fascisti, occorre essere coscienti che il nazismo e il fascismo non sono che la forma più estrema dell’ordinamento degli Stati capitalisti; occorre essere coscienti che resistenza oggi significa lotta antimperialista.

Nel nostro paese e in Europa significa lottare contro le forme dell’oppressione e dello sfruttamento capitalista, per il diritto al lavoro, alla casa, all’istruzione, alla salute, per la difesa delle libertà fondamentali.

Significa lottare contro tutte le guerre imperialiste, significa schierarsi con determinazione a fianco di tutti i popoli che lottano per la loro indipendenza e la loro liberazione. E significa naturalmente non dimenticare che molti eroi dell'armata rossa, tornarono nella "patria del socialismo" solo per finire da vincitori nei gulag di Stalin. Ma questa storia della degenerazione burocratica dello stato sovietico che si intreccia con la sconfitta del nazi-fascismo, nulla toglie ai meriti di un popolo e alla sua eroica lotta contro l'invasore.

Vincenzo Sardiello

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