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La scissione di Livorno vista dalla Francia

Boris Souvarine racconta la nascita del PCd'I

21 Gennaio 2021

#Livorno21

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Pubblichiamo la traduzione, inedita in italiano, di un articolo apparso all'indomani del 21 gennaio 1921 in prima pagina sul settimanale comunista francese Bulletin Communiste (Bollettino Comunista), organo del Comité de la Troisième Internationale (Comitato della Terza Internazionale), gruppo di socialisti francesi che già durante la guerra si era espresso per la fondazione di una nuova Internazionale, e che confluiranno poi nel Partito Comunista Francese, nato poche settimane prima del Partito Comunista d'Italia.
L'articolo («La scissione in Italia»), firmato dal principale animatore del giornale, Boris Souvarine (che lo firma con lo pseudonimo Varine), è un resoconto per i militanti francesi dei motivi che furono alla base della scissione avvenuta nel congresso socialista di Livorno. L'articolo mette in evidenza i pericoli del carattere minoritario della scissione, diversamente da quanto accaduto in Francia, ma coglie con facile profezia che il centro massimalista avrebbe subito di lì a poco ulteriori scissioni in direzione dell'Internazionale Comunista, come infatti avvenne nel 1924 con la scissione dei "terzini", che entreranno nel PCd'I. Nello specifico della situazione italiana, grande importanza ebbe la linea seguita dal centro del partito, ossia dalla mozione maggioritaria dei "comunisti unitari". L'articolo esamina quindi le prese di posizione, italiane e internazionali, del principale esponente dei massimalisti e direttore del giornale del partito Giacinto Menotti Serrati. Souvarine descrive bene le contraddizioni, le oscillazioni e gli opportunismi di Serrati e dei massimalisti in rapporto alla questione dell'adesione all'Internazionale comunista e all'accoglimento non solo delle ventuno condizioni ma anche, di conseguenza, della strategia e della linea politica dell'Internazionale. Il rifiuto di sancire una rottura netta e formale con la destra riformista del partito socialista fu il segnale, in Italia più che altrove, della indisponibilità dei centristi a porsi inequivocabilmente sul terreno della rivoluzione, omaggiata a parole ma negata ad ogni atto pratico, prima, durante e dopo Livorno. Anche per questo, osserva giustamente Souvarine, la scissione italiana «deve essere considerata sotto l'angolazione internazionale».





La scissione in Italia (1)


Il Partito Socialista Italiano si è scisso, come tutti i partiti di composizione eterogenea messi alle strette dalla necessità di formulare delle definizioni nette. Ma la scissione in Italia lascia una situazione differente da quelle che risultano, in Germania e in Francia, dai congressi di Halle e Tours.

Possiamo paragonare le posizioni rispettive dei due partiti italiani oggi a quella del Partito Comunista [KPD] e del Partito Socialdemocratico Indipendente (USPD) tedeschi prima di Halle. Il congresso di Livorno ha separato i comunisti più risoluti dalla maggioranza del partito, che comprende i riformisti ma anche i comunisti esitanti. Una classificazione definitiva non è stata fatta.

Il partito comunista italiano risulterà privo per qualche tempo dell'apporto di elementi di valore, ma li ritroverà nelle ore decisive quando si giocherà il destino del proletariato d'Italia. D'altro canto, alleggerito dal peso morto riformista è inevitabile che guadagni delle forze nuove fra i sindacalisti rivoluzionari e gli operai anarchici, lontani fino a oggi dal partito politico di classe del proletariato molto meno per ostilità sistematica alla politica che per avversione alla politica elettorale.

La scissione comporterà questa prima conseguenza benefica di condurre all'organizzazione politica di numerosi proletari che se ne sono tenuti per molto tempo a distanza, e dei quali non si poteva sperare che aderissero a un partito che conserva nei propri ranghi Treves e Turati. Ciò comporta il secondo vantaggio di assicurare la coesione di elementi marxisti rivoluzionari rimuovendo tutta la ragione d'essere all'astensionismo elettorale della frazione di Bordiga, allineata oggi alla tesi dell'Internazionale comunista sul parlamentarismo.

La scissione comporta oltre tutto come risultato salutare la formazione di un partito di classe intransigente, atto a orientare il movimento rivoluzionario verso la conquista del potere politico e la dittatura del proletariato, grazie alla libertà d'azione assicurata dal tenere in disparte gli inattivi e gli esitanti. È in questo partito che potranno fondersi le forze militanti del proletariato attualmente disperse nella CGL, nell'Unione Sindacale Italiana e nel vecchio partito.

Il vecchio partito [il PSI] conserva i due terzi degli effettivi di prima di Livorno. Ma conserva anche la sua debolezza: uno stato maggiore pusillanime dal quale le masse si allontaneranno sempre più allorquando si avvicineranno le soluzioni rivoluzionarie.

Già l'opportunismo della direzione del PSI ha incitato un buon numero di lavoratori a raccogliersi sotto le bandiere nere dell'anarchismo. Lo spirito combattivo degli anarchici e il valore morale dei loro capi – i soli eredi spirituali di Bakunin – hanno attirato intorno a loro dei contingenti proletari come nessun altro centro anarchico in Europa. Questo rimarchevole fenomeno è dovuto per buona parte alle mancanze del PSI, alla sua passività nelle ore critiche, quando il proletariato attende delle parole d'ordine.

Nessuno dubita che, privato del contrappeso della sua sinistra, il PSI declini sempre più verso il riformismo sotto l'influenza degli spiriti conciliatori d'élite di Critica Sociale. I comunisti che sono rimasti si ricomporranno e sapranno fare il gesto che non hanno osato a Livorno. Il PSI è destinato a una nuova scissione, sia che si separi dopo un congresso come quello di Halle sia che si disgreghi sotto l'attrazione del partito comunista. La coabitazione dei comunisti e dei riformisti è impossibile in un'epoca di lotta di classe intensa come quella che attraversa l'Europa dei giorni nostri, e che l'Italia vive più di tutti gli altri paesi.

Ma la scissione di Livorno ha una portata che sconfina le frontiere d'Italia. Essa deve essere considerata sotto l'angolazione internazionale, che sfortunatamente Serrati pare aver perso di vista.

Al congresso di Mosca, Serrati si è trovato all'opposizione della maggioranza dell'Internazionale comunista, allineata alle tesi del Partito Bolscevico. Lui criticava "l'opportunismo" dei bolscevichi, del quale trovò traccia nelle concezioni sulla questione agraria, sulle questioni nazionali e coloniali, sull'ingresso del Partito Comunista Britannico nel Partito Laburista. Serrati ha rimproverato ulteriormente, in seguito, l'abbandono della ventiduesima condizione di ammissione all'Internazionale, quella che riguarda l'esclusione degli appartenenti alla massoneria. Su un solo punti accusava i bolscevichi di eccesso di intransigenza: a proposito dell'esclusione dei centristi italiani, e reclamava per il PSI la facoltà di disegnare esso stesso la linea di scissione fra i suoi ranghi.

L'opposizione di Serrati e del suo gruppo all'Internazionale comunista presenta dunque un carattere particolare: essa è un'opposizione "di sinistra" o sedicente tale quanto alle questioni di tattica, e può e deve esercitarsi "dentro" l'Internazionale; essa urta d'altra parte contro un principio rigoroso dell'Internazionale comunista rifiutando di espellere dal partito i dottrinari dell'opportunismo.

C'è qua una contraddizione sorprendente: come può Serrati biasimare l'opportunismo passeggero, ispirato dall'interesse della rivoluzione, dei bolscevichi, e che non concerne in niente la dottrina comunista, che non riguarda che certi aspetti della lotta rivoluzionaria, e allo stesso tempo mostrarsi solidale con opportunisti accertati, per quanto talentuosi o moralmente integri essi siano? Non può, se non al prezzo di una contraddizione che vizia l'azione del suo partito.

Con il pretesto dell'autonomia nella politica interna del partito, Serrati arriva al punto di rompere il contatto con l'Internazionale comunista, della quale continua a proclamarsi rappresentante, della quale approva le ventuno condizioni che lui rinforza con una ventiduesima. Egli non si rende conto che il suo atteggiamento di base lo trascina sempre più verso destra, con un denigrare sistematico dell'Internazionale comunista e della rivoluzione russa.

All'inizio si è intestardito a prendere posizione contro l'esclusione di Modigliani, pur riconoscendo la necessità di separare il partito dalla frazione Treves-Turati. A Livorno ha mantenuto l'unità con questa e rotto con quella di Bombacci-Terracini.

Al suo ritorno da Mosca, [Serrati] scriveva in una lettera alla Nouvelle Internationale di Ginevra il 19 ottobre: «Io sono PER la Terza Internazionale; PER la dittatura del proletariato; PER la rivoluzione VIOLENTA. Io non ho mai aderito al congresso di Reggio Emilia (congresso della destra). Io ho scritto contro i suoi risultati, sebbene le decisioni prese siano molto più a sinistra del pensiero di Graber e di Naine (2)». E non ha protestato contro la strumentalizzazione del suo atteggiamento da parte di controrivoluzionari dichiarati come Merrheim, come Longuet (3). Mentre criticava i bolscevichi da sinistra, ha lasciato che la stampa menscevica mondiale e anche che la stampa borghese approfittassero delle sue critiche da un punto di vista di destra. Trascurando il punto di vista internazionale, lui ha, per le logiche di polemica interna al suo partito, consegnato le armi ai peggiori nemici della rivoluzione e vanificato lo sforzo delle frazioni comuniste di diversi paesi.

Scriveva nella lettera già citata: «bisogna, secondo me, cacciare gli opportunisti di destra, ma con abilità, per poter tenere la massa». Non solo non ha «cacciato gli opportunisti di destra» dal partito italiano, ma favorisce la propaganda anticomunista degli opportunisti di destra francesi. Che l'abbia voluto o meno – e noi sappiamo che non se lo augurava – ma questo è il risultato.

Pretendere che in avvenire gli opportunisti italiani subiranno una disciplina più severa che in passato è un argomento inefficace. Le lezioni del passato sono lì a provare che il pensiero di Turati resta intatto dopo ogni congresso, che la sua azione contrasta quella del partito quali che siano le risoluzioni disciplinari adottate. Alla vigilia del congresso di Livorno, Turati patrocinò un libro di propaganda antibolscevico, contribuì alla sua diffusione. Non si può conciliare questa attitudine con il programma dottrinale della maggioranza.

Pretendere ancora, come fa Serrati, che l'esclusione di Modigliani non possa avvenire senza quella di Cachin (4) è un argomento superficiale indegno di un marxista e che non regge al confronto. Che Modigliani fosse a Zimmerwald e che invece Cachin fosse un socialpatriota nessuno lo contesta. Ma la partecipazione al movimento di Zimmerwald non conferisce un brevetto da rivoluzionario a vita, e la partecipazione alla corrente interventista, in un paese come la Francia dove si possono contare sulle dita gli oppositori rivoluzionari alla guerra, non implica l'impossibilità di riconoscere il suo errore e di servire con devozione la causa del proletariato. La severità nel giudicare le scelte dei militanti è possibile nei partiti dove l'errore è stato quello di alcuni, ma non in quelli dove è la quasi totalità ad essersi sbagliata. Non è dal passato che noi possiamo giudicare gli uomini, in un periodo storico nel quale il pensiero evolve e matura così rapidamente sotto la pressione degli avvenimenti, bensì dal presente. Non solo. Il partito italiano non può mettersi sullo stesso piano del partito francese. Quest'ultimo è di molto inferiore al primo, tanto dal punto di vista dello spirito della sua massa che della qualità dei suoi militanti che dell'influenza che esercita. Questo per un insieme di ragioni che non abbiamo il tempo di analizzare qui, ma è sufficiente constatare il fatto, innegabile del resto. L'uno e l'altro partito appartengono ad ambienti differenti ed evolvono nella stessa direzione con una rapidità più o meno grande. Il loro sviluppo non è parallelo, la loro maturità politica non segue un processo di identica velocità. Ciò che vale oggi per il partito italiano non varrà che domani per il partito francese. L'Internazionale comunista non può aspettarsi da l'uno ciò che ha il diritto d'ottenere dall'altro, e ciò che adesso esige dal primo lo esigerà successivamente dal secondo. È possibile che Cachin, e anche chi firma questo articolo, che non è sempre d'accordo con Cachin, siano fra uno o due anni sostenitori di posizioni superate per il movimento comunista, ed espulsi dai suoi ranghi se non sapranno avanzare collettivamente. Ma Serrati ha torto ad enunciare delle formule rigide che non si adattano alle situazioni di cui pretendono tener conto. Quando un partito si eleva al livello in cui si trova il partito italiano prima del congresso di Livorno non gli si possono adattare le stesse regole destinate a un partito come quello di Francia, che si è appena solo sbarazzato dei suoi Scheidemann (5) e dei suoi Kautsky.

Dopo aver invocato delle cattive ragioni, Serrati ha avvelenato la controversia ricorrendo contro i bolscevichi a meschinerie che non meritano il nome di argomenti. Per esempio rispondendo alla critica obiettiva di Lenin, pubblicata in questo Bollettino (n. 47-48), ricordava un veemente intervento di Lenin diretto a Zinoviev, pubblicato nel momento in cui questi abbandonò per qualche giorno il governo bolscevico del novembre 1917, insieme a vari altri commissari del popolo. Bisogna disconoscere scientemente le circostanze rivoluzionarie ove le parole "ignorante" e "codardo" sono state scritte da Lenin, l'atmosfera di lotta e di violenza dell'epoca, il carattere impervio della battaglia intrapresa, l'abitudine di Lenin di intimidire i suoi contraddittori, per menzionare queste due parole che la passione politica basterebbe d'altronde a spiegare. Come! Nella vita di Lenin e in quella di Zinoviev, interamente votate alla causa del proletariato, eroicamente consacrate alla rivoluzione, sacrificate a priori perché viva e trionfi l'idea comunista, Serrati rimarca il disaccordo di un momento e la vivacità delle affermazioni scambiate in quello stesso giorno? In verità, Serrati si avvia per una strada che lo porterà lontano, se non trova la forza di carattere di riprendersi: la strada che lui ha intrapreso è quella dove l'hanno preceduto Martov (6) e Kautsky.

Le arguzie di Serrati riprese e sviluppate nella stampa controrivoluzionaria mondiale, sfruttate dai pettegoli della politica e dai corsari del movimento sociale, senza che lo stesso Serrati protestasse contro l'uso che ne è stato fatto, ci hanno mostrato chi, tra i "comunisti unitari" e i "comunisti intransigenti", sono i veri comunisti, se ancora avessimo potuto dubitarne. Che i "ricostruttori" francesi del Populaire confusi ormai con Renaudel, Varenne e Albert Thomas (7), che hanno combattuto le ventuno condizioni di Mosca come delle condizioni criminali e assassine, abbiano potuto sostenere Serrati, partigiano dichiarato delle ventuno condizioni e persino di una ventiduesima, senza che Serrati li richiamasse duramente all'ordine, costituisce un fatto che dimostra di più di tutti i discorsi e gli articoli del direttore dell'Avanti.

Sebbene abbia dichiarato di rimanere più ostile che mai all'impresa controrivoluzionaria dei "ricostruttori" internazionali, Serrati scivolerà irresistibilmente sulla china reazionaria se non saprà fare a tempo debito strame del proprio orgoglio e ritornare, prima che sia troppo tardi, a prendere il suo posto fra i combattenti del comunismo.



(1) Bulletin Communiste. Organe du comité de la troisième internationale, anno II, n. 4.

(2) Ernest Paul Graber, Charles Naine, deputati socialisti svizzeri. Nell'agosto del 1914 si astennero, quando l'Assemblea federale elvetica conferì i pieni poteri al Consiglio federale, distanziandosi così dal loro partito, favorevole a tale misura. Parteciparono a incontri internazionali volti a far cessare le ostilità, in particolare alla conferenza di Zimmerwald del 1915.

(3) Alphonse Merrheim, dirigente sindacale francese, partecipò alla conferenza di Zimmerwald. Dal 1918 appoggerà la destra della CGT contro le tendenze rivoluzionarie. Jean Longuet, nipote di Karl Marx, figlio di Jenny Caroline Marx. Nonostante l'iniziale appoggio alla politica di difesa nazionale nel 1914 (Union sacrée), si porterà su posizioni pacifiste durante il protrarsi della Prima guerra mondiale, guidando la tendenza di minoranza nella SFIO che adottò delle posizioni di internazionalismo proletario, pur continuando a votare i crediti di guerra. Durante il Congresso di Tours svoltosi nel dicembre del 1920, che vide la creazione del Partito Comunista Francese (PCF), Longuet svolse un ruolo centrale. Dapprima favorevole all'adesione della SFIO alla Terza Internazionale creata sotto gli auspici del Partito Bolscevico, non accettò infine tutte le condizioni di Lenin, intendendo in particolare mantenere l'unità dei socialisti francesi. Rappresentava il "centro marxista" del Congresso.

(4) Marcel Cachin, deputato socialista, poi comunista, nel 1915 ebbe contatti con Mussolini per promuovere una campagna di stampa sull'Avanti! in favore dell'entrata in guerra dell'Italia contro gli Imperi centrali. Dopo aver provocato, il 20 dicembre 1920, la scissione tra i socialisti al Congresso di Tours, seguito dalla maggioranza creò il Partito Comunista Francese (PCF). Membro del comitato esecutivo dell'Internazionale comunista (1924).

(5) Philipp Scheidemann, dirigente socialdemocratico tedesco, fu il proclamatore della repubblica di Weimar, costruendo la via d'uscita borghese alla rivoluzione del 1918-'19.

(6) Julij Martov, uno dei principali esponenti dei menscevichi. Internazionalista, durante la prima guerra mondiale partecipò alle conferenze di Zimmerwald (1915) e Kienthal (1916). Rientrato in Russia nel maggio 1917, si schierò contro la politica del governo provvisorio, e dopo la rivoluzione d'ottobre propose la formazione di un governo di coalizione fra le forze socialiste. Criticò duramente l'azione del governo sovietico, ma nonostante la sua opposizione al bolscevismo mantenne una posizione di sostanziale solidarietà contro le armate controrivoluzionarie. Trasferitosi a Berlino nel 1920, collaborò alla fondazione dell'Unione dei partiti socialisti per l'azione internazionale (1921), detta anche "Internazionale due e mezzo".

(7) Esponenti del Partito Socialista Francese (SFIO), con responsabilità di governo durante la Prima guerra mondiale. In particolare Thomas fu ministro per gli armamenti.

Varine (Boris Souvarine)

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