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In memoria di Pina Verdoja

13 Gennaio 2021
PinaVerdoja


Pochi giorni fa, il 2 gennaio, è venuta a mancare all’età di 97 anni Pina Verdoja, una compagna di Torino che fu per molti anni, dal 1948 al 1974, militante trotskista. Ciò dopo essere stata partecipante alla resistenza nel 1943-'45 e dirigente nazionale nel 1945-'47 della gioventù socialista, schierata allora in maggioranza su posizioni rivoluzionarie, che appunto porteranno molti dei suoi dirigenti ad aderire alla Quarta Internazionale.
Pochi di noi, tra i più vecchi, hanno conosciuto Pina. In particolare chi scrive queste righe introduttive, che ne ricorda la simpatia, cultura e gentilezza.
Per ricordarla più compiutamente abbiamo scelto di pubblicare l'ampia nota di ricordo scritta dal compagno Diego Giachetti, militante di Sinistra Anticapitalista e storico del trotskismo italiano, già apparsa sul sito di Sinistra Anticapitalista. Ciò perché, vivendo a Torino e anche come storico, ha avuto occasione di incontrarla più spesso e in tempi più recenti rispetto a chi scrive.
Il PCL come tale saluta la memoria di questa compagna marxista rivoluzionaria, che seppe, in tempi difficili per il dominio dello stalinismo, andare controcorrente combattendo per il marxismo rivoluzionario e la rivoluzione socialista.




Ciao Pina, trotskista nel dopoguerra

La vita di Giuseppina (Pina) Verdoja Gambino, mancata il 2 gennaio di quest’anno, sta nel lungo percorso di una partecipazione attiva in varie forme alla storia della sinistra italiana durante e dopo la Seconda guerra mondiale, e l’adesione al processo di costruzione della sezione italiana della Quarta Internazionale.

Nata a Torino il 16 settembre 1923, diplomata alla scuola magistrale, poi laureatasi presso la facoltà di Magistero con una tesi su Filippo Turati, si iscrive alla Federazione giovanile socialista del Partito socialista, ricostituito dopo l’8 settembre del 1943. È il padre, operaio e socialista, ad aiutarla ad intraprendere quel percorso. «Quando ho cominciato a capire – mi aveva raccontato in un’intervista, poi pubblicata dal Centro Studi Pietro Tresso nel 1992 [1] – mio padre mi diede da leggere un vecchio libro che aveva nascosto: il Manifesto del partito comunista, poi mi mise in contatto con esponenti del partito, che lui conosceva». Partecipa all’attività antifascista con i Gruppi di difesa della donna, diffonde materiale di propaganda e giornali come La Voce dell’officina, La compagna e altre testate. Terminata la guerra è eletta nel 1946 al consiglio comunale di Torino. Nel 1945 conosce Renzo Gambino (1922-1972), che diventerà suo marito. Entrambi aderiscono al Partito socialista dei lavoratori italiani sorto nel 1947 nella convinzione, rapidamente smentita, di entrare a far parte di un’organizzazione classista e rivoluzionaria. Abbandona il partito in occasione del congresso nazionale del 1948 assieme ad altri esponenti della corrente di sinistra. Dal palco dove sedevano i rappresentati della Federazione giovanile, ricordava Pina, cantammo «Bandiera rosa la trionferà», per sottolineare con ironia la perdita repentina del colore “classista” del partito.

Nel frattempo comincia a recepire analisi e progetti politici provenienti dalla Quarta Internazionale, grazie ai contatti presi da alcuni giovani esponenti della Federazione giovanile socialista. Prende parte al lavoro di costruzione dell’organizzazione italiana e col marito e altri compagni costituiscono a Torino la locale sezione dei Gruppi Comunisti Rivoluzionari (GCR), redigono insieme lo statuto adottato dalla Seconda conferenza nazionale nel 1950. In qualità di consigliere comunale ha la tessera gratuita per andare allo stadio. Per nulla interessata, la cede a un compagno in cambio di un libro di Trotsky da lui posseduto, probabilmente La rivoluzione tradita in edizione francese, inedito allora in Italia.

È una militante politica a tempo pieno, svolge il lavoro minuto di organizzazione, cerca nuovi contatti, mantiene quelli stabiliti, tiene la contabilità del gruppo, prepara le riunioni. Una vita piena che deve tener conto del lavoro, della casa e del figlio che nasce nel 1955. Si rende conto che c’è una discrepanza tra la volontà di costruire il partito rivoluzionario e il fatto che la base operaia e popolare continua a militare nel Partito comunista. Pertanto riconosce che è impossibile rivolgersi direttamente a quei lavoratori intervenendo dall’esterno delle loro organizzazioni e associazioni. Quindi accetta come necessaria quella chiamata svolta entrista. Bisogna entrare nelle organizzazioni di massa del movimento operaio, in Italia vuole dire Partito comunista in primo luogo e CGIL, pur continuando a mantenere i legami con la Quarta Internazionale. Opta per questa scelta in occasione della campagna elettorale contro la “legge truffa” del 1953.

Essere del Partito comunista in quegli anni non è facile. Sono anni di repressione, il partito è accerchiato dalle forze cattoliche e conservatrici. Il dibattito interno si svolge entro limiti molto ristretti. Le rivelazioni fatte da Kruscev al XX congresso del PCUS nel 1956 e la destalinizzazione aprono spiragli. Nelle sezioni si discute, si possono avanzare posizioni critiche e soprattutto cominciare a proporre cose da fare, per esempio organizzare meglio le scuole di partito. Il lavoro d’inserimento nel partito si rivela arduo, e solo all’inizio degli anni Sessanta comincia a dare dei frutti e a raccogliere adesioni ai GCR. È un lavoro minuto, tedioso, faticoso, a tratti inutile. Raccontava che suo marito per un certo periodo di notte sognava di dover spostare mucchi di sabbia per avanzare, mucchi di sabbia che si riformavano continuamente.

Nel Bienno 1968-69 Pina resiste alla diaspora che azzera quasi del tutto la presenza politica dei GCR. Vi rimane perché, nonostante la demoralizzazione, sente un legame di affetto, di solidarietà, di comprensione verso i compagni. Resta nell’organizzazione perché dopo vent’anni e più di politica si va avanti e si sente il bisogno di dire, di discutere, di agire. La situazione, non facile, si aggrava dal punto di vista personale, quando suo marito si ammala gravemente per poi morire dopo un anno. Per due o tre anni riprende a far politica. Nel 1972 si dimette dal Partito comunista, prosegue la militanza nel sindacato CGIL, torna a frequentare la locale sezione dei GCR. Ma si trova in un ambiente cambiato troppo in fretta, in difficoltà si dimette dal gruppo nel 1974.

Anche se non più iscritta Pina non ci ha mai dimenticati. Immancabilmente il primo maggio di ogni anno passava al nostro banchetto in Piazza San Carlo a salutare vecchie e nuove conoscenze, con spirito aperto e incoraggiante. Chi scrive deve a lei molto sul piano personale, coronato da un’amicizia che si è mantenuta nel tempo, e per la disponibilità e l’aiuto datomi per la stesura della storia dei GCR, lasciandomi attingere a piene mani fra le carte del suo archivio [2] e aiutandomi con i suoi racconti, aneddoti, testimonianze che danno sapore e colore alle grigie carte polverose.


[1] Giuseppina (Pina) Verdoja, Una trotskista nel dopoguerra, Quaderni del Centro Studi Pietro Tresso, serie Studi e ricerche, n. 24, settembre 1992

[2] Vedi Archivio Gambino-Verdoja, Catalogo. Materiali per una storia dei Gruppi Comunisti Rivoluzionari 1949-1975, Quaderni del centro Studi Pietro Tresso, serie Studi e ricerche, n. 13, marzo 1989

Diego Giachetti

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