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Lo sciovinismo patriottico di Mélenchon

Il candidato Presidente in divisa militare intervistato da L'Opinion

10 Dicembre 2020
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Jean-Luc Mélenchon, capo di La France Insoumise, ha impresso da tempo alla propria creatura un corso politico sovranista. Via la bandiera rossa dai cortei, via i vecchi riferimenti classisti, fosse pure di stampo riformista, e spazio invece al tricolore francese “del popolo”. Le posizioni ambigue sull'immigrazione e sulle residue colonie francesi d'oltremare ne sono un riflesso, al pari di una insistita campagna antitedesca che gode in Francia per ragioni storiche di una rendita di posizione assicurata.

Ora tuttavia siamo di fronte a un passo ulteriore. Mélenchon si è candidato a Presidente della Repubblica francese in vista delle elezioni del 2022. E l'ebbrezza della candidatura presidenziale lo porta a sconfinare nell'aperto militarismo.
Una nostra esagerazione polemica? La ricerca artificiosa di differenziazioni immaginarie? La risposta la offre Mélenchon con l'intervista rilasciata al giornale L'Opinion il 29 novembre.

«Immaginiamo che ler sia il Presidente della Repubblica nel 2022. Cosa farebbe a proposito della dissuasione nucleare?» chiede il giornalista.
Risponde Mélenchon: «La dissuasione nucleare è per la Francia un mezzo insostituibile, almeno fino a che non vi saranno delle alternative militari. Per ora io sono favorevole al Trattato di proibizione delle armi nucleari approvato dalla Assemblea delle Nazioni Unite. Ma non si può chiedere alla Francia di disarmare per prima. Bisogna che a cominciare siano quelli che possiedono il maggior numero di armi nucleari. Cioè gli Stati Uniti e la Russia.»

Un qualsiasi portabandiera del (proprio) imperialismo direbbe forse qualcosa di diverso? Anche i peggiori militaristi si dichiarano per il disarmo, basta sia quello... degli imperialismi concorrenti. Nel frattempo ognuno resta armato sino ai denti, a partire dalle armi nucleari.

«Ha evocato delle alternative militari alla dissuasione nucleare. A cosa pensa?» incalza il giornalista incuriosito.
«Bisogna sapere quali armi possono essere usate in caso di conflitto» risponde pensoso Mélenchon, «[...] La questione della militarizzazione dello spazio è essenziale. Le armi nucleari o convenzionali potrebbero essere usate se una potenza spaziale si oppone? È necessario procedere a una valutazione serena della situazione. Noi francesi siamo capaci di mettere in orbita i satelliti che vogliamo e di dotarli di un sistema di protezione del territorio nazionale. In questo caso la dissuasione nucleare non sarebbe più indispensabile. Ma io mantengo un punto interrogativo».

In ogni caso, aggiunge Mélenchon, «quando si tratta della protezione nazionale ai miei occhi non c'è limite. La sovranità francese è totale, piena, intera, non negoziabile. Se noi non avessimo tale capacità non saremmo più indipendenti, e il popolo non sarebbe più sovrano. Questa è la dottrina repubblicana».

In effetti è stata la dottrina che ha guidato per un secolo e mezzo l'imperialismo francese. Ogni guerra che ha combattuto è stata “per la difesa e la sovranità della Repubblica”. Persino l'occupazione della Ruhr, a ridosso della prima guerra mondiale. Oggi si può forse difendere la Republique con armi spaziali, nel dubbio teniamoci il nucleare, dichiara Jean-Luc. E non ha l'aria di scherzare.

Che non abbia voglia di scherzare si capisce del resto dal prosieguo dell'intervista. Il giornalista, forse sorpreso, incalza Mélenchon per ottenere, morettianamente, qualche risposta “di sinistra”. Prima chiede se la Francia deve restare nella NATO. E Mélenchon offre qui la risposta attesa: niente affatto. Ma la rassicurazione dura solo lo spazio di qualche secondo. Perché la principale ragione addotta per uscire dalla NATO è il fatto che alla NATO appartiene la Turchia. «La Turchia ha commesso due atti estremamente aggressivi contro l'esercito francese. Il primo in Siria bombardando una base dove noi tenevamo le nostre forze speciali. E il secondo contro una nave francese al largo della Libia».

L'intervistatore, nuovamente spiazzato, la butta allora in battuta: «Ecco almeno un punto su cui è d'accordo con Macron: una ostilità comune verso la Turchia». Ma Mélenchon non gli lascia scampo: «Io contesto assolutamente il fatto che Macron abbia una qualche attitudine energica nei confronti della Turchia! Si è fatto provocare due volte senza mai replicare».
«Vuole fare la guerra alla Turchia?» chiede incredulo il giornalista.
«Che domanda!» risponde stizzito Mélenchon «come se non vi fosse alternativa tra il fare la guerra e non fare niente. Io non sono per atti puramente simbolici, come si è fatto inviando semplicemente due fregate in Grecia e facendo dichiarazioni, col risultato di aver ottenuto in risposta dichiarazioni e atteggiamenti ancora più violenti. Che interesse abbiamo a gesti puramente formali privi di conseguenze?».

«Non bisognerebbe piuttosto cercare di far abbassare le tensioni?» obietta l'intervistatore col tono del buon liberale borghese. Ma niente da fare, con Mélenchon: «Io penso che non bisogna mai farsi provocare. Mai! [...] i mezzi di una rappresaglia contro i turchi sono più numerosi di quelli che sembrano, anche sul piano delle dimostrazioni militari».

A questo punto il giornalista capisce finalmente l'antifona, e l'asseconda: «bisogna perseguire l'aumento delle spese per la Difesa?»
«Deve corrispondere a quello che è ragionevolmente necessario» risponde Mélenchon, il quale spiega tuttavia che non bisogna farlo per la NATO americana. Altra cosa sarebbe per una Francia (imperialista) indipendente. Infatti Mélencon loda i vecchi gioielli dell'industria militare nazionale (inclusa la produzione di turbine per i sottomarini nucleari, sulle quali bisogna tornare ad avere il controllo) che governi irresponsabili hanno negli anni smantellato, consentendo «ai tedeschi di riarmarsi». Di certo De Gaulle sarebbe orgoglioso di Mélenchon.

«Intende ristabilire una forma di servizio militare obbligatorio?» chiede in conclusione il giornalista. «Sì, anche se non sono sicuro che tutta la LFI [La France Insoumise] sia d'accordo con me.» risponde Mélenchon con qualche comprensibile dubbio. Segue un elenco di funzioni civili «al servizio della patria» (sic) che il servizio militare obbligatorio potrebbe assolvere, sul fronte della protezione ambientale ad esempio. Tuttavia, essendosi forse accorto che per pulire il letto dei fiumi non è necessario l'esercito in armi, Mélenchon conclude l'argomentazione in termini maggiormente consoni al taglio complessivo dell'intervista: «Si può ugualmente immaginare che nella funzione di polizia, cioè nella protezione della pace civile, i coscritti potrebbero svolgere un ruolo molto positivo. Questo cambierebbe l'opinione della popolazione sulla polizia, e cambierebbe le pratiche interne ad essa. Il razzismo e la violenza arretrerebbero. Tutto cambia quando vi sono i figli del popolo».

Dunque negli stessi giorni in cui si moltiplicano le manifestazioni di piazza in tutta la Francia contro la polizia, e cresce l'odio sociale contro la sua funzione repressiva, Mélenchon si pone il problema di come cambiare... l'opinione della popolazione sulla polizia. Semplice, affiancandole un esercito borghese di giovani arruolati. Nel nome della pace civile tra le classi, e della gloria della Nazione.

Non c'è che dire. Il candidato alla Presidenza della Repubblica della borghesia francese ha superato brillantemente la prova. Ma il referente internazionale di tutta la sinistra radicale italiana che fine ha fatto?

Partito Comunista dei Lavoratori

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