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Maradona o l'arte di dribblare l'oblio

26 Novembre 2020
maradona belgio


Pensare alla cultura popolare argentina senza il calcio è impossibile. Pensare al calcio argentino senza Maradona è un esercizio altrettanto impossibile. Il miglior giocatore di calcio della storia del mondo si è distinto per il suo incomparabile talento e le sue capacità di leadership, raramente conosciute. Con un pallone tra i piedi, Maradona ha dimostrato che il calcio non è solo un business, che le piccole squadre possono alzarsi in piedi e sfidare le grandi star.

Quando non era con la palla tra i piedi, però, si è ritrovato molte volte sotto i parametri del discutibile, facendo parte di una classe operaia che è cresciuta rapidamente in termini monetari, le cui contraddizioni appaiono frontalmente. E Diego, come tanti, non ha potuto superarle. Hanno gestito la sua vita. Ciò non giustifica e non giustificherà molte cattive abitudini e comportamenti, così come affermazioni misogine e irresponsabilità totali che devono essere respinte, ma che implicano l'analizzare in modo ineccepibile il contesto della realtà, perché altrimenti si cadrebbe in una critica astratta. Diego è, prima di ogni altra cosa, semplicemente, una contraddizione.


EL BARRILETE COSMICO (1)

Nato a Villa Fiorito nel 1960, Maradona ha iniziato ad incantare i paddock del Conurbano fin da piccolo. Così giovane che all'età di 15 anni ha debuttato nella prima di “Argentinos Juniors”, il “seme del mondo", dopo una sublime performance in "Cebollitas". Con il club di La Paternal ha iniziato a mostrarsi come un giocatore diverso, che di solito si dice "un crack”: uno di quelli che spacca il campo. Ha segnato cinque gol tra il 1978 e il 1980 (due nel Nacional, tre nel Metropolitano). Nel corso della sua carriera ha combinato una deliziosa padronanza del pallone con un dribbling sagace e velocissimo, che si è mescolato a una indiscutibile capacità di guida e personalità individuale. Un giornalista sportivo una volta ha affermato che Maradona era l'equivalente della fusione tra Lionel Messi e Juan Román Riquelme. Per quanto la metafora non sia molto precisa, raffigura Diego come la tempesta perfetta di fronte all'obiettivo rivale: abilità individuale e capacità di assistere e migliorare il collettivo.

Era un'apparizione stellare con lampi luminosi. Una volta, ad esempio, il grande portiere del Boca Hugo Gatti disse che vedeva il giovane Maradona "gordito", cioè paffuto, cicciottello. Come a dire «Sei grasso, caro Maradona, dove credi di andare?». Diego gli ha risposto con quattro reti sul campo del Vélez. Maradona è stato escluso dalla lista finale di giocatori che César Luis Menotti ha portato ai mondiali del 1978, quando Diego aveva 17 anni. Ha avuto la sua vendetta poco dopo nel Mondiale giovanile, il primo vinto dall'Argentina.

Maradona ha portato il suo talento nel barrio del Boca nel 1981, in cui è emerso come campione del Metropolitano con prestazioni lucide e indimenticabili, come quella in cui ha battuto il River Plate ad aprile, con la Bombonera piena e Tarantini disteso a terra. La sua importanza lo ha portato alla sua prima esperienza di Coppa del Mondo della prima squadra nell’edizione del 1982 in Spagna, dove non solo non è riuscito a brillare, ma è stato addirittura espulso.

Diego successivamente è andato in Europa: ha vissuto una brutta prima esperienza a Barcellona per arrivare nel 1984 a una delle migliori esperienze calcistiche che gli occhi di chiunque abbiano visto. Il Napoli di Diego, a tutt'oggi unico campione nell’Italia di allora, trova in Maradona un San Gennaro terreno, capace di realizzare i sogni che i napoletani non sapevano nemmeno di avere. Ha vinto due campionati di Serie A, una Coppa Italia, una Supercoppe e una Coppa Uefa (ora “Europa League”). Il suo brillante passaggio in Italia ha accompagnato le sue memorabili prestazioni con la nazionale. In primo luogo, il suo elisir di calcio all’edizione dei mondiali Messico ’86, forse la migliore prestazione di qualsiasi giocatore in una Coppa del Mondo (inclusa la “Mano di Dio" e il miglior gol di tutti i tempi). Poi Italia ’90, dove ha condotto l'Argentina di Bilardo alla finale di Coppa del Mondo e al secondo posto con una caviglia grande come una pallina da tennis.

La sua carriera negli anni '90 è andata sostanzialmente deperendosi, tra squalifiche per doping e un ritmo calcistico diverso dal suo. Diego ha giocato a Siviglia e al Newell's prima di tornare in Nazionale, su richiesta di Alfio Basile e del popolo argentino, per salvarla e portarla a USA '94, a seguito di un sofferto playoff con l'Australia. La sospensione contro la Nigeria è stata un colpo letale. Maradona si ritirerà anni dopo al suo amato Boca nel 1997, con più affetto sugli spalti che per le buone prestazioni dimostrate.

Come allenatore, dopo un'esperienza frustrante a Mandiyú de Corrientes e Racing tra il 1994 e il 1995 (quando non ha potuto giocare a causa della sanzione), Diego ha contribuito a guidare la squadra nazionale nella fase preliminare di Coppa del Mondo 2010 in Sud Africa, al-Wasl e al-Fujairah negli Emirati Arabi Uniti; i Dorados del messicano Sinaloa, ed è stato fino ad oggi responsabile del Gimnasia y Esgrima La Plata. Nonostante non sia mai stato considerato un allenatore brillante, in tutti i campi di calcio argentini dove è andato, il “Lupo” Diego ha ricevuto l'apprezzamento di migliaia di persone. Come se la frase di Victor Hugo venisse rievocata per sempre e si ripetesse nel bel mezzo della coppa del Mondo del 1986: «Barrilete cosmico, da che pianeta vieni?»


LE TRUPPE DI SUA MAESTÀ CADONO

La sua prestazione calcistica non basterebbe a spiegare il fenomeno Maradona in termini socio-culturali. Diego non solo ha giocato a calcio in modo decisivo, ma ha anche rappresentato lo standard della classe operaia che, in un campo di calcio, si stagliava di fronte ai padroni. Maradona è stato quello che non ha potuto dimostrare molto a Barcellona, perché era una squadra con molti altri buoni giocatori. Fu lui a dimostrare, però, che il Sud Italia valeva la pena, come se i napoletani, che non pregavano più San Gennaro, non dovessero più chiedere il permesso all'alta borghesia milanese e torinese di sognare il grande calcio. Il Sud e i poveri esistono, ed è in parte grazie a Diego, in onore di quel gruppo rock argentino che un giorno ha gridato: «Le truppe di Sua Maestà stanno cadendo / e il nord dell'Italia ricca sta cadendo». Diego è poesia.

Lo stesso vale per la nazionale. L’undici di Bilardo ha ribadito il motto "Maradona e altri dieci", a far capire che non esiste e non esisterà più qualcuno di così importante all'interno di un campo da “far gravitare” e attrarre attorno a sé tutta la squadra. Maradona ha reso notevole una squadra opaca, con poche figure, ma la cui prestazione ha trovato non solo nobiltà ma anche brillantezza. Il modello ’86 dell'Argentina ha l'impronta di una squadra gigante cresciuta davanti a Diego, che ha fatto molto più di un gol con la mano: sei dribbling in una giocata contro gli inglesi, due gol al Belgio e un assist a Burruchaga per siglare l’obiettivo più importante della storia (fece anche un gol tecnicamente meraviglioso contro l'Italia, NdT). Maradona divenne leggenda.
E lo dimostrò, se fosse ancora necessario, anche quattro anni dopo. Diego ha subìto un infortunio a causa del quale la maggior parte dei mortali, degli esseri umani, non avrebbe neanche potuto camminare; ma portò l'Argentina in finale. In semifinale c'è stata la memorabile situazione in cui l'Argentina ha giocato una partita d’azzardo (fortuna o verità) con l'Italia proprio a Napoli, terra promessa di Maradona. Diego ha chiesto alla sua gente di incoraggiarlo, e l'Argentina è passata ai rigori. In finale, la maestria italiana si è dovuta mettere in panchina a guardare Maradona e l'Argentina giocare una finale della Coppa del Mondo. Hanno fischiato l'inno, hanno fatto il tifo per la Germania Ovest, ma loro non c'erano. Maradona finì per piangere con una medaglia d'argento, ma lui era lì.

Diego ha sfidato il potere, non solo per aver messo in discussione il fatto che il Vaticano di Giovanni Paolo II avesse «tanto oro» mentre il mondo moriva di fame, ma anche per aver messo in discussione la gestione della FIFA, comandata da Joao Havelange e Julio Grondona. Non costò poco: quando l'Argentina stava preparandosi al mondiale del 1994, la FIFA è letteralmente scesa in campo per cercare un caso di doping. Diego se n'è andato a causa della decisione politica di Havelange, forse più preoccupato di vedere il Brasile come campione durante il suo mandato. Quella con la Nigeria è stata l'ultima partita di Diego con la nazionale.

Negli anni Novanta, Diego ha cercato senza molto successo di riunire i giocatori preoccupati per le ingiustizie del mondo al fine di formare un "sindacato dei giocatori". Non ha avuto successo. È apparso in TV a dichiarare che stava dalla parte dei pensionati.

Maradona, tuttavia, non è stato esente da situazioni semplicemente indifendibili. I suoi “ludici” legami con la mafia napoletana, ad esempio, evidenziano una complessa relazione con il potere, incluso il famoso «voglio essere il vicepresidente di Carlos Menem», quando Diego fu sedotto dalla politica “pizza e champagne” anni '90. A ciò si aggiungono segnali di degrado che trovavano l'espressione più evidente nella misoginia, presente in frasi come «Pelé debutó con un pibe» (Pelé ha perso la verginità con un uomo) ma che sono ben altra cosa dalle cause della violenza di genere e delle molestie sessuali.

Diego ha attraversato nella sua vita le contraddizioni e i vizi di una classe operaia oppressa fino allo sfinimento da un sistema il cui motore è il profitto e lo sfruttamento da parte di una minoranza. Questo tuttavia non può metterlo nella posizione di vittima, anzi, al contrario. Ma hanno e avranno la giusta condanna coloro che, come il capo della commissione femminile del Boca, non hanno voluto onorarlo a marzo alla Bombonera.

Se ne va il miglior giocatore di tutti i tempi, una leggenda. Il ragazzo che ha fatto tutto dal nulla su un prato verde, quello di calcio. Un destino di architetto dell'impossibile che la sua fama non esime da responsabilità oggettive ma grazie al quale oggi in ogni lacrima di ogni strada c'è un'aspirazione. Maradona sarà memoria e ricordo. Dribblerà per sempre l’oblio.





(1) Victor Morales, il cronista del gol del siglo, spiegava recentemente a «Il Mattino» che il soprannome “barrilete cosmico”, aquilone cosmico, glielo avevano affibbiato prima del mondiale messicano «perché cambiava idea e, proprio come un aquilone, non si riusciva a capire dove andasse» (NdT).

Santi Nuñez

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