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L'emergenza dei lavoratori della sanità, l'altra faccia della crisi sanitaria

12 Novembre 2020

A differenza che a marzo, nessuno parla più di medici e infermieri. Le celebrazioni ipocrite sono terminate, sfruttamento bestiale, rischi e mancanza di garanzie continuano

infermieri


A marzo e aprile erano “gli eroi”. La stessa società borghese che li ha mandati al fronte senza mascherine, che li ha tagliati e spremuti oltre ogni limite di resistenza umana, espiava a buon mercato la propria miseria morale. L'immagine dell'infermiera crollata per la fatica sul proprio computer fece il giro d'Europa, con tanto di encomio nazionale e di ricevimento al Quirinale.

La seconda ondata della pandemia ha spazzato via questa montagna di ipocrisia. Medici e infermieri sono tornati ad essere più che mai le bestie da soma su cui si appoggia l'intero carico dell'emergenza. Sono gli stessi di marzo, perché le assunzioni promesse non ci sono state, o essendo a termine sono scadute. Lavorano come allora, con turni massacranti di dodici ore, senza poter andare in bagno o a bere una volta vestiti, per ragioni di sicurezza sanitaria. Lavorano come allora in condizioni ogni giorno più gravi, senza posti letto sufficienti, senza garanzie adeguate, sotto la pressione dell'emergenza e della responsabilità delle vite. Di quella dei malati e della propria, oltre a quella dei propri familiari. In compenso, chi tra loro ha osato criticare le condizioni di lavoro o addirittura di igiene si è visto punire per lesione d'immagine all'azienda. Il caso di Francesca Perri a Roma, privata di un mese di stipendio per aver lamentato il mancato cambio dei guanti, è solo il caso più noto. La disciplina militare vige ormai negli ospedali, come in guerra. Nell'ospedale-azienda il direttore è il padrone.

Però a differenza che a marzo nessuno parla più di medici e infermieri. Le proteste di ristoratori, baristi, commercianti, colpiti dal lockdown occupano il dibattito pubblico. I salariati restano fantasmi. Nelle fabbriche, nella logistica, negli ospedali, milioni di lavoratori e lavoratrici con stipendi da fame, privi di contratto, minacciati di licenziamento e punizioni, continuano a reggere sulle proprie spalle la guerra quotidiana contro il virus. Tra loro sinora ha prevalso il silenzio, indotto talvolta dalla paura. Ma non durerà, neppure negli ospedali.

In ogni caso, di fronte ad una situazione ospedaliera di drammatica emergenza occorrono prime misure immediate e improrogabili, di interesse generale, che l'intero movimento operaio e sindacale dovrebbe far proprie e rivendicare:

- Centomila nuove assunzioni immediate a tempo indeterminato nel servizio sanitario nazionale (tracciatori, medici di base, personale di laboratorio, infermieri, anestesisti, pneumologi...) con l'immediato ingresso in servizio degli specializzandi del terzo, quarto e quinto anno.

- Requisizione immediata delle strutture della sanità privata per metterle al servizio dell'emergenza, a partire dai pronto soccorso.

- Riapertura immediata dei 200 ospedali che sono stati soppressi negli ultimi 15 anni per pagare il debito alle banche.

- Controllo dei lavoratori e delle lavoratrici sulle condizioni del proprio lavoro e della propria sicurezza, anche negli ospedali.
Via le norme punitive contro i lavoratori che denunciano il degrado della sanità!

Partito Comunista dei Lavoratori

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