Dalle sezioni del PCL

La politica si è fermata a Eboli

14 Ottobre 2020
eboli


«Terremoto politico» è l’espressione utilizzata da media locali e nazionali a seguito della notizia relativa a quanto accaduto al sindaco della città di Eboli, quarantamila anime circa in provincia di Salerno. Gli arresti domiciliari sono scattati a due giorni dalla proclamazione. Il fatto è arrivato perfino ai media nazionali: La Repubblica e Il Corriere della Sera basiti del fatto che il candidato sindaco, rieletto con un plebiscito, sfiorando l’80% dei consensi, possa essere stato coinvolto in un caso giudiziario all’indomani delle elezioni.

Le motivazioni? L’interdizione temporanea dai pubblici uffici è arrivata «a seguito dell’indagine della guardia di finanza, coordinata dal procuratore capo di Salerno Giuseppe Borrelli; a carico di Massimo Cariello ci sono i seguenti capi d’imputazione: corruzione, rivelazione di segreto d’ufficio, abuso d’ufficio, falso ideologico», come riporta La Repubblica. Soldi e assunzione di persone vicine al sindaco nell’esercizio della pubblica amministrazione, a leggere sommariamente la questione: l’inchiesta vede coinvolti altri personaggi politici nonché tecnici tra Eboli e Cava de' Tirreni, componenti di commissioni di due concorsi per l’assunzione di personale nei due comuni sopra citati.

I discorsi da bar potrebbero commentare: la solita storia. E invece no, la questione è tutta politica, più che giudiziaria: la fase storica in cui la politica deve muoversi è, senza dubbio, molto peculiare, se si dovessero raffrontare queste elezioni con quelle svolte due o tre decenni fa. La partecipazione popolare è nettamente arretrata, la “rivoluzione” del “vaffa” grillino si è risolta, specie a ridosso di tornate elettorali locali, nella proverbiale tempesta all’interno del bicchiere d’acqua. In questo chiaroscuro tornano i mostri, parafrasando Antonio Gramsci. O meglio, i feudi, i piccoli potentati locali.

Al di là della mera questione giudiziaria o del fatto che un sindaco sia stato eletto, proclamato in aula consiliare e neanche 72 ore dopo posto agli arresti domiciliari e interdetto temporaneamente dai pubblici uffici, c’è una considerazione tutta politica che va posta.
Là dove politica e partecipazione popolare regrediscono, tornano in maniera preponderante personalismi e feudi locali che vengono approvati plebiscitariamente da Nord a Sud.
In questo, davvero, «ovunque è Legnano», come recita l’Inno di Mameli in una delle sue strofe mai cantate.

Alle elezioni comunali di Eboli quel che stiamo dicendo s’è dimostrato plasticamente: nessun simbolo di partito nazionale è stato presentato a sostegno dei due candidati maggiori, Massimo Cariello e Donato Santimone, eccezion fatta par il simbolo del PCI che correva in solitaria esprimendo una propria candidatura. Come a dire: “fate il vostro gioco”, dal canto nostro non ci mettiamo la faccia. Cariello, sindaco uscente che riuscì ad essere eletto nel 2015 con una coalizione composta da liste civiche (Eboli popolare, Ascolto Cittadino, Insieme per Eboli) e partiti nazionali (Nuovo PSI e Fratelli d’Italia), nel corso di questa tornata elettorale non è stato sostenuto da alcuna organizzazione politica della destra nazionale. Stesso copione per quel che riguarda l’altra faccia della medaglia: Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Liberi e Uguali, su cui la città eburina vanta la rappresentanza di un parlamentare eletto in quota LeU, l’on. Conte. Il progetto civico denominato "La città del Sele", sostenuto da Conte, Santimone, dai democratici e da LeU, si è presentato in solitaria senza simboli e senza sostegno di alcun partito dell’alleanza pentastellata-democratica. E pensare che Massimo Cariello, prima ancora di essere eletto nel 2015, partecipò alle elezioni del 2011, riuscendo a sedere in aula in quota opposizione, retto da una coalizione che prevedeva l’Unione di Centro, l’Italia dei Valori, il Nuovo PSI e la Federazione della Sinistra (PRC e PdCI). Roba da dimenticatoio politico che però fa bene comprendere il fenomeno del tutto camaleontico di cui si sta parlando. Agostino Depretis, ora pro nobis.

Nel corso di queste elezioni vi sono stati parecchi esempi che segnano il passo secondo quanto stiamo affermando: Luca Zaia, regione Veneto, la cui lista civica “Zaia Presidente” ottiene oltre il 70%; Vincenzo de Luca, regione Campania, il cui stuolo di liste al suo seguito lo ha fatto arrivare al 68% mentre Caldoro rimaneva fermo al 18%. E poi Jole Santelli (Calabria), Giovanni Toti (Liguria), Michele Emiliano (Puglia).

Quando la partecipazione popolare viene meno e l’impegno civico viene percepito come inutile, tornano di gran carriera personaggi che hanno fatto del trasformismo la propria bandiera e il proprio essere, forti del fatto di poter mettere in campo più risorse degli altri candidati per garantirsi l’elezione o tornare a esserlo per la seconda volta, così da cambiare perché nulla cambi.

Tutto quel che stiamo scrivendo, ovviamente, è ben lontano dal concetto di politica e rappresentanza democratica che i candidati della destra nazionale, del PD e del M5S calpestano ogni volta, chiamandola in causa, però, solo il giorno prima delle urne attraverso la retorica del "meno peggio". Meno peggio che, inevitabilmente, porta già al peggio. E il baratro è sempre più dietro l’angolo.

Marco Piccinelli

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