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Il referendum e l'eclissi della sinistra

La manifestazione per il no a Roma (Piazza Santi Apostoli)

14 Settembre 2020
13settembre


Nella giornata del 13 settembre si è tenuta la manifestazione del “Così No!” per il no al referendum del 20 e 21 settembre. Potremmo semplicemente dire questo a riguardo: sinistra assente e tanta liberaldemocrazia di stampo radicale (nel senso di Partito Radicale).
L’implosione, ed esplosione, dei rapporti umani e politici fra l’area pannelliana e boniniana continua a farsi sentire anche (e forse soprattutto) a seguito della dipartita di Marco Pannella: in piazza erano presenti +Europa (dunque anche Radicali Italiani), Emma Bonino e una delegazione parlamentare di +Europa (distaccata dalle bandiere bianche sotto al palco) e il PRNTT (Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito).
Oltre a loro, una delegazione del PSI e una nutrita rappresentanza di Volt, il partito paneuropeo di ispirazione liberaldemocratica europeista. Il comitato giovanile NOstra era visibile con uno striscione e rappresentato dall’intervento di Jacopo Ricci dal palco, che vorrebbe rappresentare la coscienza critica e inquieta dei settori del PD schierati a favore del no (in realtà foglia di fico dietro la quale il PD tenta di salvare almeno in parte le apparenze). Intervento di apertura affidato ad Aldo Tortorella, unica presenza riconducibile all'area di ciò che si colloca alla sinistra del PD. Sinistra Italiana del tutto assente. In ordine sparso, poi, sono apparsi e scomparsi rappresentanti regionali dei Verdi/Europa Verde, Matteo Orfini (PD), Roberto Giachetti (Italia Viva), Bobo Craxi.
Dal lato dell’associazionismo, da rilevare la presenza dell’ANPI, rafforzata dal presidente provinciale romano Fabrizio De Sanctis, e dell’ARCI, quest’ultima in piazza con uno striscione piuttosto visibile. La già minuta Piazza Santi Apostoli era popolata da circa 200 persone e piena per un quarto, meno di quel che gli organizzatori stessi, facile immaginarlo, avrebbero potuto prevedere. Sardine non pervenute.


LA SINISTRA RIFORMISTA ARRETRA

Se da una parte vi è la definitiva emersione e affermazione di una mai sopita corrente politica d’ispirazione radicale, a vocazione elitario-borghese, supportata dall’aver eletto parlamentari e senatori grazie all’alleanza con il Partito Democratico (Riccardo Magi, Emma Bonino, Alessandro Fusacchia), dall’altra vi è la totale inadeguatezza della sinistra riformista e socialdemocratica, di fronte ad una fase che la vede coinvolta in azioni di governo, di organizzarsi su una piattaforma comune e scevra dalle piccole patrie nate nel corso di questi anni. L’esecutivo è retto, lo ricordiamo, dalla maggioranza tripartita PD-M5S-LeU (Liberi e Uguali, nome comprendente la galassia che orbita attorno a MDP-Articolo 1, Patria e Costituzione, Sinistra Italiana).
L’insufficienza e la volatilità della proposta politica della sinistra socialdemocratica, che rappresenta una sorta di fotocopia mal riuscita nei confronti del PD e delle destre, è confermata dal fatto che l’alternativa proposta è quella di un sistema economico che possa essere governato con più diritti civili e individuali senza toccare il capitalismo alla radice.
Se ai comunisti viene detto di essere utopici perché utilizzano ancora il termine socialismo, la riforma del sistema capitalistico per far sì che esso abbia un volto umano rappresenta, oltre che un’utopia ancor più grande, una ben più grande furfanteria raccontata ai danni delle lavoratrici e dei lavoratori, così come del corpo elettorale più in generale. Una sinistra che non pone un’alternativa di sistema semplicemente non è da chiamarsi sinistra, in quanto non propone – molto banalmente – nulla di diverso da quanto mettono sul piatto le varie forze liberal-radicali e liberaldemocratiche, che si chiamino PD, +Europa, Radicali Italiani, Volt o Verdi. Che senso ha, per l’elettore, votare una fotocopia mal riuscita della destra quando c’è una vasta pletora di organizzazioni liberali pronte ad accogliere il voto del pensiero riformista-borghese orfano di qualsivoglia orientamento?
Se lo scontro è stato – ed è tuttora – quello dell’immaginario di una sinistra rinnovata che si scrolli di dosso la parola “socialismo” e l’idea dell’alternativa al capitalismo, la differenza che intercorre fra Sinistra Italiana e +Europa è davvero nei proverbiali fili dei capelli.


I NUOVI MOSTRI

Lo scontro alle regionali pugliesi dimostra quel che stiamo dicendo. Due giorni fa Carlo Calenda, in sostegno della candidatura di Ivan Scalfarotto (ex PD ora Italia Viva, supportata proprio dal partito di Renzi, +Europa, Azione e da una lista in comune fra Volt, Partito Liberale Italiano e ALI-Alleanza Liberale Italiana) ha dichiarato quanto segue dal palco: «Il PD ci dice “perché fate perdere la sinistra e non votate Emiliano?” Noi rispondiamo: “perché fate scomparire la sinistra e non votate Scalfarotto?”».
Il capitale, questo è ben noto, oltre al consenso crea anche il dissenso, qualora la coscienza generale sia in perpetua arretratezza da decenni, così da plasmare una propria idea di sinistra che non è proprio quella che si intende comunemente. La “nuova sinistra” in realtà non è altro che un frullato di principi capitalisti, economia di mercato ed europeismo che poco hanno a che fare con la tradizione lavorista, mettiamola così, dell’immaginario che dovrebbe evocare il termine in oggetto. Tanto più che, proprio nello scontro riguardo al quale si è presa la frase di Calenda come esempio, la sinistra riformista è in alleanza con il Partito Democratico in un cartello comune chiamato “Puglia solidale e verde” che comprende PSI, Europa Verde, Sinistra Italiana e la lista “La forza della Puglia”.


IL “SÌ” DI STEFANO FASSINA

Non potevamo ignorare, a tal proposito, il “sì” di Stefano Fassina al referendum: il rappresentante alla Camera di Patria e Costituzione, all’interno di Liberi e Uguali, nonché consigliere comunale di Roma Capitale, ha solennemente affermato di voler votare “sì” al referendum. Continua ad inserirsi nel migliore (si fa per dire) solco dell’opportunismo della sinistra riformista, che tenta di volersi mostrare alternativa nei giorni dispari e accondiscendente al Partito Democratico nei giorni pari. Il nostro, in effetti, già nell’ambito delle elezioni suppletive nel collegio Roma 1 alla Camera, dichiarò di voler votare l’esponente del Partito Democratico e viceministro dell’economia Gualtieri, sebbene dichiarò di «voler bene» alla candidata di Potere al Popolo Elisabetta Canitano.
Il cordone ombelicale che pareva esser stato reciso a seguito della fuoriuscita dal PD sembra ricostituirsi giorno dopo giorno, passo dopo passo, nell’assumere prese di posizione del tutto fallaci a cui si tenta di dare una spiegazione “di sinistra”.


IL NOSTRO "NO"

Che senso ha per il PCL dire no?
La nostra contrarietà, per cui diamo indicazione di voto, si basa sulla netta opposizione a una operazione truffaldina, al governo che la sostiene, al più ampio fronte dei partiti borghesi, liberali e reazionari, che in questi decenni hanno gestito a turno le politiche di austerità contro i lavoratori e le lavoratrici, attaccando lavoro, pensioni, sanità, istruzione, nell'interesse esclusivo dei capitalisti, e che ora vogliono nascondere ancora una volta le proprie responsabilità grazie al ricorso dell'inganno populista. Ed è una contrarietà anche al trasformismo di quella sinistra che si è accodata ai partiti borghesi per ottenere uno scranno ministeriale.

Ma il nostro no, chiaro e netto, ai partiti borghesi e alle loro truffe, è un no che parte dagli interessi dei lavoratori, e non prevede alcuna subordinazione e alcuna accettazione delle istituzioni di questo Stato.
Nessuna accettazione del parlamentarismo borghese, bersaglio fin troppo facile, da un versante reazionario, per i colpi a salve della propaganda anti-casta, concimata da oltre un decennio dalla stessa borghesia e dai suoi organi di stampa.
Nessuna accettazione della Costituzione borghese del 1948, figlia della svendita da parte del PCI di Togliatti di una Resistenza antifascista proletaria i cui interessi risiedevano ben oltre quelli del costituzionalismo democratico-liberale.

Ci battiamo non per rafforzare questo potere, ma per il potere – alternativo e di segno opposto – dei lavoratori, delle lavoratrici, della maggioranza della società, contro l'attuale dittatura dei capitalisti, che resta tale anche sotto la democrazia borghese.
Ci battiamo per una democrazia dei consigli dei lavoratori, cioè per una democrazia diretta espressione dei loro bisogni e delle loro necessità. Una democrazia per cui la cancellazione di ogni privilegio politico dei rappresentanti è un riflesso delle ragioni sociali di partenza, e non uno specchietto per le allodole delle ideologie reazionarie di un capitalismo in decomposizione avanzata.

Marco Piccinelli

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