Internazionale

Cile, la tragedia del riformismo (seconda parte)

Il 4 settembre 1970 la vittoria di Allende

5 Settembre 2020

Qui la prima parte

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4. LA PRIMA FASE: LE REALIZZAZIONI DEL GOVERNO ALLENDE

Il 4 novembre 1970 Allende assume ufficialmente i poteri presidenziali, insedia il suo governo e inizia con grande energia l’attuazione del programma dell’Unidad Popu­lar (UP), a partire dalle «prime quaranta misure di base». Si può senz’altro affermare che il primo anno del governo Allende risulta complessivamente positivo, sia per la quantità di realizzazioni, sia per gli effetti che queste comportano sulle condizioni di vita di milioni di cileni, per gli immediati riflessi nel rapporto fra l’UP e le masse e fra l’UP e l’opposizione (30).

Fra le misure più significative realizzate nel primo anno merita qui elencare: la refezione scolastica per tutti gli alunni della scuola di base; il programma che concede gratuitamente mezzo litro di latte al giorno a ogni bambino al di sotto dei 14 anni e alle madri in attesa; l’istituzione di asili nido e scuole d’infanzia per 80 mila bambini e l’apertura di nuove scuole di vario grado; la distribuzione gratuita dei libri di testo nella scuola dell’obbligo; l’aumento delle le borse di studio (le iscrizioni al primo anno di università aumentano subito dell’80%); l’apertura di consultori e di nuovi ospedali; un programma di edilizia popolare e l’imposizione di un tetto a un quinto del salario per il pagamento dei debiti ipotecari; una campagna di alfabetizzazione degli adulti; l’estensione a tutti della pensione di vecchiaia e l’innalzamento dei minimi salariali e pensio­nistici e degli assegni familiari; l’introduzione di un meccanismo di adeguamento automatico dei salari all’aumento dei prezzi. Sono inoltre concessi incentivi per il cinema, per le attività culturali in genere e per la ricerca scientifica.

Sul terreno democratico il governo di UP estende il diritto di voto ai diciottenni e agli analfabeti; riconosce i diritti fino allora negati ai popoli indigeni Mapuche e Aymara, a cui vengono restituiti 70 mila ettari di terre; introduce una serie di meccanismi che oggi diremmo di “democrazia partecipativa” sul piano locale e sociale. Sono inoltre riconosciuti e allargati i diritti sindacali. Nel clima di crescente mobilitazione, la CUT tocca i 900 mila iscritti, pari a circa il 30% della forza lavoro del settore privato. Attraverso la contrattazione sindacale, incoraggiata dal nuovo quadro politico, i lavoratori conquistano sostanziali aumenti dei salari reali, e ciò malgrado il permanere di un tasso di inflazione piuttosto elevato, nel 1971 attorno al 20% (31).

Già fra il dicembre del 1970 e il gennaio del 1971 il governo presenta in parlamento varie leggi per l’avvio delle riforme economiche di maggior rilievo, come la nazionalizzazione del rame, l’istituzione dell’Area de propiedad social (Aps), la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese statali; contemporaneamente procede all’acquisizione allo Stato delle banche, della compagnia telefonica (la ITT statunitense) e dei maggiori monopoli e accelera l’attuazione della riforma agraria.

Mentre si avviano queste riforme, viene attuata una politica economica fortemente espansiva che consente al paese di uscire dalla recessione in cui è precipitato negli ultimi due anni del governo Frei. L’utilizzo degli impianti risale dal 75 al 95%, la disoccupazione scende in due anni dal 9 a meno del 4%, la crescita del Pil raggiunge nel 1971 il 7,7%. Della positiva situazione economica approfittano naturalmente anche commercianti e piccoli imprenditori che capiscono rapidamente che “si possono fare buoni affari anche con un governo di sinistra”.

Tutto ciò ha un immediato riscontro politico nelle elezioni amministrative dell’aprile del 1971. L’Unidad Popular ottiene un successo senza precedenti, arrivando al 50,9% dei voti. È questo il momento favorevole, se Allende e i dirigenti dell’Unidad Popular lo volessero, per convocare il referendum per una nuova costituzione e “per istituzionalizzare l’incorpora­zione del popolo nel potere dello Stato”. Ma evidentemente l’accordo con la DC nell’ottobre precedente impone di accantonare simili propositi.


La nazionalizzazione del rame

L’11 luglio 1971 (data subito eretta a Festa della dignità nazionale) il parlamento cileno approva all’unanimità (!) la nazionalizzazione delle miniere del rame in mani straniere. Il fatto non è così sorprendente: si completa in tal modo un progetto che è stato avviato dal governo democristiano; d’altra parte, alle compagnie espropriate è concesso un adeguato compenso, anche se Allende fa inserire nel calcolo dell’indennizzo uno “sconto” per i superprofitti realizzati dalle compagnie negli anni precedenti (32). Si costituisce la Corporación del Cobre (Codelco), che diventa la principale impresa produttiva mondiale del settore per volume di esportazioni e una delle più efficienti per produttività e bassi costi di estrazione.

Con procedure analoghe viene avviata anche la nazionalizzazione delle miniere di salnitro, di carbone e di ferro (la cui estrazione alla fine del ’71 è già controllata al 95% dallo Stato).


La altre nazionalizzazioni

Nel 1970 il sistema bancario cileno è particolarmente concentrato (il 3% delle banche monopolizza il 45% dei depositi, il 55% dei profitti e il 44% dei prestiti). Tra il dicembre ’70 e il gennaio ’71 il governo attua la nazionalizzazione delle banche nazionali e delle assicurazioni dando ordine alla Banca centrale di acquistare il 51% delle loro azioni. In modo analogo è attuata la nazionalizzazione delle banche estere (fra cui le filiali delle americane First National City Bank e Bank of America) con l’accordo delle banche medesime, mediante l’acquisto delle loro azioni (facilitato da un prestito concesso dalle banche stesse allo Stato e da restituire in 5 e 7 anni). Il controllo del credito consente subito di allargare i prestiti ai piccoli e medi produttori e alle cooperative e di abbassare i tassi di interesse dal 18 al 12%.

Nel 1971 viene nazionalizzata anche la Com­pañía de Teléfono y Telégrafo, proprietà della multinazionale nordamericana ITT.


L’Area de propiedad social

L’attuazione del programma in materia di nazionalizzazioni nel settore industriale procede invece più a rilento e con conflitti molto più aspri con i proprietari espropriati. Ancora più significativo è il fatto che speso l’iniziativa è assunta direttamente dai lavoratori, che mostrano di avere un’idea diversa dal governo sul senso e sui modi delle nazionalizzazioni e che non esitano a spingersi oltre i confini fissati dai burocrati ministeriali. In molti casi i lavoratori semplicemente occupano la propria fabbrica e poi rivendicano la sua inclusione nell’Aps.

Le imprese che in un modo o nell’altro passano sotto il controllo dello Stato confluiscono nell’Area de Propiedad Social (Aps), sottoposta a una guida nazionale centralizzata che ha lo scopo di farne il settore propulsivo dello sviluppo economico del paese. Nei fatti, le nazionalizzazioni del governo di Unidad Popular non sono diverse da quelle di un qualsiasi governo borghese. Non solo prevedono l’indennizzo dei capitalisti espropriati, ma non si inseriscono in un progetto di rovesciamento del capitalismo e di trasformazione dei rapporti sociali. Sono concepite, soprattutto dal PC, in una logica prevalentemente produttivistica di cui i lavoratori sono chiamati a farsi carico in nome del “bene nazionale” e in ragione del fatto che al governo ci sono i partiti di sinistra.

La gestione delle singole imprese è invece affidata a comitati paritetici di rappresentanti eletti dai lavoratori e di funzionari nominati dal governo. Ma mentre i primi decadono ogni anno, i secondi sono irrevocabili e spesso agiscono con la stessa arroganza dei vecchi padroni. Questo conflitto, dapprima latente, tende a diventare aperto nel corso del 1972, a fronte di due sviluppi quasi concomitanti: da un lato, i compromessi che il governo stabilisce con le forze padronali e con la DC, che prevedono in molti casi la restituzione delle aziende occupate dai lavoratori; dall’altro, la crescente attivazione indipendente dei lavoratori in risposta alla disorganizzazione economica provocata dalla sedizione della borghesia (le serrate, il disinvestimento, gli attentati, ecc.).

Nel dicembre del 1971 la lista del governo delle imprese da includere nell’area di proprietà sociale e dell’area di proprietà mista comprende 91 imprese, di cui 74 manifatturiere. Un anno dopo, le imprese in mano allo Stato (“requi­sidas” o “intervenidas”) sono 202, di cui ben 152 non previste nel piano iniziale del governo (33). Il progetto di legge Prats-Millas degli inizi del 1973, volto a definire i precisi confini dell’Area Social per rassicurare la borghesia, ne include circa 120 e alcune sono ancora in mani private. Ciò significa che il governo si prepara a restituirne circa un centinaio ai vecchi proprietari! Ciò provoca la reazione dei settori più avanzati dei lavoratori. Il 30 gennaio ’73, contro il piano Millas si svolge a Santiago una grande manifestazione operaia convocata dai cordones industriales. Sul versante parlamentare il governo si scontra invece con la DC e con la destra che proprio su questi temi faranno approvare nell’estate del 1973 un ordine del giorno che accusa il governo di essere fuori dalla legalità, fornendo così un alibi per l’intervento dei militari.


L’accelerazione della riforma agraria

Sul terreno della riforma agraria il governo di Unidad Popular si limita ad accelerare l’applicazione della riforma varata da Frei. Nei primi diciotto mesi di Allende soro infatti espropriati quasi 5,3 milioni di ettari complessivi, ossia quasi il doppio della distribuzione di terre realizzata da Frei. La ripartizione della terra realizzata da Allende, sommata a quella attuata dal governo Frei, mette fine in Cile al latifondo incolto. Sono beneficiate dalla riforma agraria circa 50 mila famiglie. Un risultato senza dubbio significativo, anche se tutto interno al quadro democratico-borghese. D’altra parte, la riforma era stata concepita per modernizzare il capitalismo nelle campagne e per allargare il mercato interno, non per avviare la transizione al socialismo.

Le possibilità rivoluzionarie di questo intervento sono indebolite anche dal modo in cui è attuato. Le terre espropriate sono assegnate a livello provinciale, con la partecipazione delle organizzazioni contadine, secondo tre modalità principali: gli asentamientos, le assegna­zioni individuali; i centros de riforma agraria (Cera), ossia grandi aziende collettive; e i centros de produción, grandi imprese statali. Mancano però le risorse per promuovere una rapida modernizzazione tecnologica e il governo non riesce ad attuare una efficace pianificazione del settore. La maggior parte delle terre sono assegnate per la coltivazione direttamente alle famiglie contadine. Il governo Allende cerca di incentivare i contadini a unirsi in cooperative, ma queste non incontrano massicce adesioni. Con i Cera si vogliono realizzare invece grandi aziende collettive modello, amministrate dai contadini stessi, su terre particolarmente produttive di proprietà dello Stato; i lavoratori vi percepiscono un salario base uguale, integrato da una parte proporzionale ai risultati produttivi di ciascuno; nei Cera le donne sono considerate su un piano di parità con i lavoratori maschi; nel 1973, tuttavia, queste esperienze avanzate non coinvolgono più di tre mila famiglie. I centros de produción sono invece grandi imprese statali tecnologicamente attrezzate in relazione a specifici ecosistemi (ad esempio le colture forestali, l’avicoltura, ecc.) che offrono le maggiori possibilità di assorbire il bracciantato.

Il dato politicamente più significativo è tuttavia un altro: la riforma viene attuata essenzialmente per via burocratico-amministrativa, non attraverso la mobilitazione diretta dei contadini, che quando si sviluppa, invece, tende a scontrarsi con i funzionari del governo. Ciò non manca di provocare malcontenti e risentimenti per i ritardi e le inefficienze, che in certi casi offrono il destro per attacchi demagogici dell’opposizione.

Da un punto di vista strettamente economico, comunque, la riforma dà risultati abbastanza positivi; la produzione agropastorale aumenta del 5% nella stagione 1970-71 e dell’1,6% l’anno dopo, pur scontando il boicottaggio dei proprietari espropriati. Questi aumenti non bastano tuttavia a far fronte all’aumento della domanda, conseguenza delle maggiori entrate dei lavoratori e dei settori più poveri. Va detto però che i problemi di approvvigionamento dipendono soprattutto dal sabotaggio economico messo in opera dal padronato e dall’imperialismo (34).


Le “juntas de abastecimientos y precios”

Una iniziativa del governo Allende complementare alla riforma agraria è la creazione di imprese statali nei settori della commercializ­zazione e della distribuzione, per rompere il quasi monopolio detenuto da grandi compagnie spesso controllate dal capitale straniero, come Balfour, Gibbs, Williamson ecc. Parallelamente vengono istituite le juntas de abaste­cimientos y precios (Jap), elette a livello comunale, con il compito di incentivare forme di autogestione nella distribuzione dei beni di base, in rapporto diretto con le aziende del­l’a­rea sociale, in particolare nei settori alimentare e tessile. Questi strumenti, coordinati a livello locale dei commandos comunales, diventeranno un canale importante della mobilitazione popolare per contrastare il paro pa­dro­nale dell’ottobre ’72 e successivamente.


Le iniziative di politica internazionale

Delineando le principali realizzazioni del governo di Unidad Popular non si può mancare di accennare brevemente alle iniziative assunte sul terreno della politica estera, in genere connotate da un forte valore simbolico. Il primo passo è il ristabilimento delle relazioni diplomatiche con Cuba (più tardi con la Cina, il Vietnam e la Repubblica democratica tedesca); il secondo è la dichiarazione del Cile “nazione non allineata”. Seguono l’invito a Fidel Castro (che si tratterrà in Cile per ben tre settimane nel novembre del 1971), un lungo tour nelle capitali dell’America latina e in Unione sovietica, in cerca di sostegno economico. Nel dicembre 1972 Allende pronuncia all’ONU una vigorosa denuncia dell’imperialismo nordame­ricano e dei suoi piani di strangolamento dell’economia cilena. Alla prova dei fatti, però, Allende continuerà a pagare il servizio sull’esorbitante debito estero ereditato dal suo predecessore; solo alla fine del 1972 chiederà una moratoria dei pagamenti.


5. LA SECONDA FASE: DALLA RITIRATA ALLA RESA

In verità, come abbiamo visto, l’inizio dell’offensiva borghese e imperialista contro Allen­de precede la sua elezione e si intensifica nei due mesi che precedono la sua assunzione della presidenza. Da subito essa è ispirata e guidata direttamente da Washington. Ancor più che per la borghesia cilena – una frazione della quale può anche pensare di poter beneficiare dalle riforme dell’Unidad Popu­lar (che, come si è visto sopra, si muovono in continuità con quelle del governo Frei) – il governo Allende è ritenuto una minaccia intollerabile dai massimi dirigenti dell’impe­ria­lismo nordamericano. A Washington, Kissinger è allarmato per le possibilità di contagio dell’esempio di un governo “marxista” che “va al potere” (in realtà solo al governo) attraverso le elezioni, ossia con piena legittimità “democratica”, secondo gli usuali parametri borghesi. L’amministrazione repubblicana, che ha contestato per anni a quella democratica di aver permesso la nascita della Cuba socialista, teme una replica in Cile di quella sfida. Viene pertanto deciso che l’esperimento allendista deve fallire. Non essendo riuscito, come si è visto, il tentativo preventivo di impedire l’ascesa di Allende alla presidenza, si decide che Allende deve essere rove­sciato.


La strategia della “destabilizzazione”

La questione è affrontata a Washington con grande impegno e concepita come un vero e proprio esperimento di controrivoluzione. La strategia prescelta viene definita con un termine che diventerà tristemente famoso: destabilizzazione. Si tratta in buona sostanza di provocare il caos economico, di suscitare contro il governo le proteste di settori sociali colpiti e/o spaventati dai media, di suscitare un clima di insicurezza e di violenza atto a giustificare l’invocazione di un golpe per ristabilire la legge e l’ordine. A questo scopo viene costituito a Washington un Comitato speciale (Comitato 40) e stanziate ingenti somme che vanno a finanziare in Cile le organizzazioni, i giornali, le radio dell’opposizione; le azioni di sciopero, il sabotaggio economico, i gruppi paramilitari che agiscono con attentati e assassini politici (35).

Gli effetti di questa strategia cominciano a farsi pesanti verso la fine del 1971. La situazione economica peggiora. Il pagamento degli indennizzi (36), il blocco economico attuato di fatto dagli Usa contro le esportazioni cilene, il taglio dei crediti da essi imposto anche alle istituzioni internazionali sotto il loro controllo, la caduta di un terzo degli introiti del rame, dovuta al crollo del prezzo mondiale del metallo provocata dalla decisione di Nixon di vendere la riserva strategica statunitense, cominciano a creare crescenti problemi all’economia cilena (37).

Anche per evitare una ricaduta nella recessione, il governo continua nella politica monetaria e creditizia espansiva, con la conseguenza di indurre un’accelerazione dell’inflazione (38). Cominciano a scarseggiare i beni di prima necessità nei negozi, fanno la loro comparsa le code e il mercato nero, tutti fenomeni che colpiscono e peggiorano le condizioni di vita di vasti settori della popolazione, ma che sono percepiti con particolare irritazione dai ceti benestanti poco adusi a simili disagi.

Facendo leva su queste difficoltà, l’opposizione ricorre anche alle manifestazioni di piazza. Il 1 dicembre 1971 ha luogo una Marcha de las cacerolas davanti alla Moneda: sono soprattutto le donne dei ceti medi a protestare per la mancanza dei beni nei negozi. Le mobi­litazioni di questo o quel settore di piccola borghesia o di lavoratori professionali diventano più frequenti nei mesi successivi, incoraggiate dal sostegno, anche finanziario, che ottengono dall’estero (39).

Di fronte alle difficoltà e alle crescenti iniziative dei suoi avversari, l’UP si divide. Il confronto si sviluppa in due incontri (il primo all’inizio dell’anno, in secondo a giugno) in cui si riuniscono con Allende i vertici dell’Unidad Popular e del governo. L’incontro di Lo Curro, nel giugno del 1972, può essere assunto come uno spartiacque. Si scontrano due posizioni. La prima è quella sostenuta dal PC e dalla maggioranza allendista del PS: bisogna cercare un nuovo accordo con la DC ed evitare a ogni costo l’aggravarsi di una crisi per la quale, secondo il PC, né l’UP né le forze sociali su cui essa si fonda sono preparate; la parola d’ordine è “calmare le acque”. Ciò significa però enfatizzare gli obiettivi produttivi e opporsi frontalmente all’azione indipendente delle masse.

La seconda posizione è sostenuta dalla sinistra del PS, dal Mapu e dalla Izquierda Cristiana, che spingono invece per «avanzar sin transar» (andare avanti senza negoziare), ossia completare il programma appoggiandosi sulla mobilitazione dei lavoratori e delle masse. Alla fine Allende attua un rimpasto del governo. Il ministro dell’economia Pedro Vuskovic, esponente della sinistra socialista, deve cedere il posto. Al ministero delle finanze va Orlando Millas, esponente del PC e della linea vincente. Contemporaneamente si realizza un accordo con la DC per le nomine ai vertici delle ban­che nazionalizzate e si stabilisce di escludere dall’area sociale la Compañia manufac­turera de papeles y cartones, la maggiore impresa nel settore di proprietà di... Jorge Ales­sandri! (In questo contesto nel giugno 1972 si svolgono anche le elezioni per la direzione della CUT nelle quali le liste dei partiti dell’UP e della DC raccolgono rispettivamente il 70 e il 30% dei voti).

In realtà lo scontro ha rivelato che l’UP nel suo insieme non ha la comprensione esatta della nuova situazione. Ciò che accade è il fatto che la borghesia è sempre più preoccupata del fatto che le masse sfruttate tendono a "rompere le dighe", ed è perciò sempre meno disposta a concedere altro tempo alle direzioni rifor­miste. Per un verso, dunque, è destinata a fallire la politica di accordo cercata dal PC e da Allende, in quanto la borghesia non è affatto intenzionata a concludere patti con gruppi dirigenti che non sono più in grado di garantirli. Per un altro, d’altra parte, è del tutto inadeguata la posizione di chi vuole procedere con le riforme senza rendersi conto che la dinamica rivoluzionaria che si è messa in moto non può risolversi, in ultima analisi, che con mezzi rivoluzionari, ossia con la presa del potere statale; o essere stroncata dalla razione violenta della classe dominante attraverso le istituzioni statali che essa ancora controlla, in primo luogo l’istituzione militare.


La nascita dei "cordones industriales”

Effetto di questi processi contraddittori (le masse vanno a sinistra, il governo va a destra), dalla metà del ’72 si moltiplicano i conflitti fra le lotte operaie e contadine e “il governo popolare”. Durante uno di questi episodi – la mobilitazione dei contadini della poblacion di Melipilla, nei pressi di Santiago, che reclamano la terra e la rimozione di un magistrato che ritarda le assegnazioni – interviene anche la polizia e ne seguono scontri e 20 arresti. Quando però la settimana seguente i contadini occupano la strada, si incontrano con gli operai di alcune fabbriche della vicina località di Cerrillos che hanno costituito un coordinamento di delegati. Nasce così nel giugno 1972 il primo organismo di tipo “sovietico” della rivoluzione cilena, il cordon industrial (coordinamento di settore industriale, costituito da delegati eletti dai lavoratori) promosso dai lavoratori di trenta imprese del settore Cerrillos-Maipú (nell’area di Santiago), il quale farà presto conoscere una dichiarazione «a favore del controllo operaio della produzione» e per una «assemblea dei lavoratori al posto del Congresso». L’idea si diffonde rapidamente; qualche giorno dopo nasce il cordon indu­strial in Vicuña Mackenna, altro quartiere operaio di Santiago. Sarà soprattutto nel corso della mobilitazione per contrastare la serrata padronale nell’ottobre seguente che l’idea dei coordinamenti si generalizza: più di cento coordinamenti industriali sorgeranno in tutto il paese, venti nella sola Santiago.

Nello stesso senso va l’asamblea popular che si forma alla fine di luglio a Concepción, la seconda città operaia del paese, in cui si ritrovano più di 3.000 delegati, rappresentanti di fabbrica, dei partiti di sinistra e delle organizzazioni popolari e studentesche. Deliberata­mente non vi aderisce il PC, che accusa l’assemblea di essere una «manovra della reazione e dell’imperialismo che utilizza come schermo l’ultrasinistra». Anche Allende attacca l’assemblea di Concepción perché, spiega, «nessun rivoluzionario sensato può ignorare il sistema istituzionale che governa la nostra società, di cui fa parte il governo di Unidad Popular»; la creazione di organismi di doppio potere nel quadro di un governo che rappresenta i lavoratori è una dimostrazione di «irresponsabilità»: «il doppio potere è sorto in altre circostanze storiche, in opposizione a strutture di potere reazionarie che non avevano una base sociale e un appoggio popolare» (40).


Il “paro de octubre” e la sua disfatta

Su questo sfondo, il 9 ottobre comincia lo sciopero dei camionisti con lo scopo dichiarato di far cadere Allende. Il loro leader, Leon Villarin, è un dirigente del gruppo fascista Patria y Libertad. La scintilla che provoca l’incendio è il sospetto che il governo voglia realizzare un sistema di trasporti pubblici, che andrebbe ad intaccato il potere di una corporazione di piccoli proprietari particolarmente potente in un paese con la conformazione geografica del Cile. Il blocco armato da parte dei camionisti e dell’estrema destra dell’unica arteria che mette in comunicazione il nord e il sud del paese provoca rapidamente la penuria di molti generi di prima necessità, del combustibile e delle materie prime. Ai camionisti si uniscono in un secondo tempo altri settori piccolo borghesi (tassisti, medici, avvocati, insegnanti, piccoli negozianti, professionisti...) e soprattutto gli imprenditori la cui associazione proclama la serrata.

L’offensiva della borghesia è stata ispirata e viene sostenuta generosamente dai dollari della CIA. Ma ottiene anche un effetto collaterale imprevisto e indesiderato (per il padronato): spinge i lavoratori a reagire e a prendere nelle proprie mani non solo il futuro del governo bensì anche il proprio. Di fronte al sabotaggio economico della borghesia i lavoratori si assumono l’onere di far ripartire la produzione: occupano e riaprono le fabbriche chiuse, riorganizzano la produzione e i rifornimenti; in piena emergenza costruiscono un’alternativa operaia all’economia dei padroni (41).

In questo contesto nascono i coordinamenti industriali in tutto il paese. I cordones industriales diventano la specifica forma cilena dei soviet e rappresentano il punto più alto di organizzazione rivoluzionaria della classe operaia, lo strumento di una svolta potenzialmente decisiva nello sviluppo della crisi rivoluzionaria e del suo sbocco.

Non esplicano soltanto compiti pratici di coordinamento degli sforzi economici fra le diverse fabbriche e i diversi settori. Sono in nuce gli strumenti di un contropotere che non solo può opporsi all’autorità padronale sui posti di lavoro o nella produzione, ma costituisce anche la base embrionale di una nuova organizzazione del potere politico, fondata sull’azione diretta delle masse, cioè l’embrione di un dualismo di poteri che è il segno distintivo di una crisi rivoluzionaria matura. I cordones sono inoltre uno strumento del fronte unico perché nei cordones si realizza l’unità della classe nelle sue diverse articolazioni, in quanto essi integrano tutti i lavoratori al di là della loro appartenenza di partito o alla posizione rispetto al governo.

Potenzialità analoghe si sviluppano anche nei quartieri e sul territorio. Per contrastare l’interruzione dei rifornimenti, la chiusura dei negozi, l’accaparramento, l’aumento dei prezzi e il mercato nero, si diffondono le juntas de abastecimientos y precios (Jap, comitati di approvvigionamento e dei prezzi) e i comandos comunales (direzioni comunali) che coordinano a livello municipale questi interventi e garantiscono la continuità dei servizi pubblici. Pur se promossi dal governo e sotto il suo controllo, questi organismi diventano canali di una mobilitazione che presto va oltre i meri compiti di coordinamento e di amministrazione economica; passano alla controffensiva requisendo i camion, riaprendo i supermercati chiusi, sgomberando manu militari le strade occupate, ecc.; dall’esigenza di fronteggiare le bande fasciste nascono anche le prime esperienze di autodifesa.

In breve, nelle strade e nelle città si assiste al dispiegarsi di una guerra civile strisciante che però non ha, dal lato delle masse, un coordinamento e una direzione coscienti. Infatti, invece di appoggiarsi sull’autorganizzazione delle masse e di mettersi alla loro testa, il governo attiva le risposte istituzionali e proclama la legge marziale, conferendo nelle zone più calde i pieni poteri all’esercito, che ovviamente li impiega piuttosto per reprimere le iniziative delle masse che per far rispettare la “legalità” al fronte padronale.

Dopo 26 lunghissimi giorni, nei quali la classe operaia cilena ha dimostrato di poter prendere in mano il proprio destino e quello del paese, lo sciopero dei padroni può dirsi sconfitto e la classe dominante costretta di nuovo sulla difensiva. Ciononostante, quale prova delle sue buone intenzioni, Allende chiama il 3 novembre i militari a far parte del governo; il generale Prats, capo dell’Esercito, diventa ministro dell’Interno; il generale Bachelet, capo della Forza aerea, si occuperà dei rifornimenti. Più che per spezzare il blocco padronale, la mossa sembra imposta dalla volontà di imporre una tregua al movimento delle masse vittoriose.

Luis Corvalan, leader del partito comunista, saluta l’ingresso dei militari nel governo come un segno di forza del governo e della democrazia. Ma il Pentagono, negli stessi giorni, in un rapporto denominato Ottobre in Cile, arriva ad altre conclusioni. Segnala il rischio imminente che il governo sia scavalcato dall’insurrezione popolare e osserva che solo un regime duro potrebbe disarticolare l’organizzazione dei lavoratori (42). In altre parole, il re­gi­me
democratico in Cile ha ormai i giorni contati (43).

La radicalizzazione della classe operaia si manifesta anche in un salto nella coscienza politica dei lavoratori che si rivela nelle discussioni sul programma, gli strumenti e le prospettive delle lotte.

Si legge nel Pliego del Pueblo (una sorta di manifesto), elaborato e dif­fuso nell’ambito dei cordones industriales in opposizione al Pliego del Chile diffuso dalla reazione durante lo sciopero dei camionisti: «L’esperienza di queste giornate ha dimostrato che i lavoratori non hanno bisogno dei padroni per far funzionare l’economia. Nei suoi disperati tentativi di paralizzare il paese il padronato ha mostrato soltanto il suo carattere parassitario... La conclusione è chiara: i padroni non servono.»

Rispetto all’Unidad Popular: «è necessario... creare un’altra modalità di rapporto con il governo e le sue istituzioni. Nessuno ha il diritto, meno che mai in nostro nome, di agire senza consultarci... Nessun funzionario può dimenticare che la sua prima responsabilità è verso il popolo e che, pertanto, è obbligato a sottostare al suo controllo organizzato». Sul piano politico si osserva che «non si può risolvere la crisi con concessioni e alleanze con qualche militare di alto grado... Occorre uscire in avanti, appoggiandosi alla forza della classe operaia e delle masse popolari, con un’offensiva permanente come quella delineata nel Pliego del Pueblo.»

Gli obiettivi prioritari sono così elencati: “sconfiggere il gabinetto militare e ogni altra concessione”, “no alla restituzione delle imprese statizzate, requisite e occupate durante lo sciopero dei capitalisti e loro incorporazione all’area sociale”, “stabilire definitivamente il controllo operaio in tutte le imprese che restano nell’area privata dove ci siano le condizioni che lo consentono.”

Il documento rivendica inoltre la rapida nazionalizzazione senza indennizzo degli investimenti stranieri nel paese, il non pagamento del debito estero e l’abolizione del segreto commerciale e bancario.

Chiede ancora di contrastare l’attitudine della borghesia a tagliare gli investimenti imponendo un tetto ai profitti e l’obbligo di reinvestirli. Si avanza poi la richiesta della piena uguaglianza salariale fra uomini e donne sul lavoro e si formulano proposte in favore della liberazione della donna dalla schiavitù dei lavori domestici, come la creazione di asili nido, di mense e lavanderie popolari e lo sviluppo della produzione di elettrodomestici. Infine si chiama a “rafforzare le organizzazioni e i comitati di autodifesa e di vigilanza e a consolidare le Jap” (44).


Lo scontro sul piano Prats-Millas

La divaricazione fra le masse e le direzioni si accentua. Per convincere i lavoratori e lasciare le imprese occupate, il governo non esita a far intervenire i Carabineros e a far arrestare i lavoratori.

Nel gennaio 1973 il ministro dell’economia Orlando Millas rende noto un piano che prevede la restituzione ai padroni di un centinaio di imprese già sotto il controllo dello Stato o occupate dai lavoratori e la riduzione a 122 delle aziende dell’area sociale, suscitando immediatamente la risposta dei lavoratori con in testa i cordones industriales di Cerrillos-Maipú e di Vicuña-Mackenna. Si svolgono manifestazioni e si erigono barricate.

Il 30 gennaio 1973, marciando su Santiago, i lavoratori cantano per la prima volta: “traba­ja­dores al poder!” (45). Il 5 febbraio, nel corso di una manifestazione allo Stadio nazionale di Santiago contro il piano Prats-Millas, compare per la prima volta su uno striscione lo slogan “un pueblo desarmado es un pueblo conquistado” (un popolo disarmato è un popolo vinto).

In poco più di un anno la coscienza dei lavoratori, certo provocata dalle iniziative della destra e dall’esperienza concreta, ha fatto un enorme balzo in avanti. Si pone ora l’esigenza di coordinare a livello nazionale i cordones per costruire un’alternativa di potere (46), ma la “spontaneità” delle masse, da sola, non può assolvere questo compito.

Il governo stesso, infatti, si pone il compito di controllare e sviare questa dinamica che rischia di scavalcarlo e di travolgere la ricerca del dialogo con la borghesia.

In un discorso del maggio 1973 Allende osserva: «L’ordine borghese ha perso valore tra i lavoratori, che si sforzano di creare dentro il regime istituzionale dello Stato e la sua normativa legale, un ordine e una disciplina... manifestando la tendenza all’esercizio della democrazia diretta... Si deve creare, insieme con le istituzioni comunitarie e sociali attualmente esistenti, un nuovo centro organizzatore, i comandos comu­nales, formati da rappresentanti eletti dalle organizzazioni comunitarie e dei lavoratori... e capaci di rendere possibile il controllo popolare sulle istituzioni amministrative contribuendo a combattere lo spirito burocratico... e creare il poder popular, ma non antagonista o indipendente dal governo, che è la forza fondamentale e il capitale su cui possono contare i lavoratori per avanzare nel processo rivoluzionario.» È palese l’intento di stravolgere il ruolo dei nuovi organismi indipendenti creati dai lavoratori e di integrarli nell’apparato dello Stato borghese, come sua articolazione subordinata e sottoposta all’autorità del governo (47).

Mentre Allende e il governo lanciano la parola d’ordine “No alla guerra civile”, i partiti borghesi, il padronato e l’imperialismo si preparano al golpe, i cordones colgono la situazione: «Noi lavoratori sappiamo che si avvicina l’insurrezione finale dei padroni e ci prepariamo per stroncarla come abbiamo fatto con la serrata di ottobre, poiché pensiamo che non ci può essere pace sociale fra sfruttati e sfruttatori.» (da una dichiarazione del cordon Cerril­los-Maipú).

Il 10 aprile nella poblacion di Costitucion si costituisce un’asamblea del pueblo nella quale 25 mila pobladores votano di assumere il controllo del Municipio e di farsi carico di tutti i compiti statali come la sanità, l’istruzione, i trasporti e la distribuzione dei beni essenziali.

Il 19 aprile comincia lo sciopero per ragioni salariali dei 13 mila minatori di El Teniente, un impianto di estrazione del rame nazionalizzato da Allende. È un episodio che dà una dimensione dirompente alle contraddizioni emergenti fra il governo di Unidad Popular e la sua base sociale, contraddizioni su cui si inserisce la destra che ormai è disposta a giocare ogni carta pur di rovesciare Allende.

Lo sciopero, sconfessato da tutti i settori della sinistra (compreso il Mir), va avanti per oltre due mesi perché il governo, per il timore degli effetti destabilizzanti di una possibile rincorsa salariale, si rifiuta di considerare le richieste degli operai. I quali ricevono invece l’appoggio strumentale della DC e di Patria y Libertad che riescono a trasformare un conflitto sindacale in uno scontro politico fra operai e Unidad Popular.



Note

(30) Il lettore può fare facilmente il confronto con il primo anno della presidenza Lula in Bra­sile: tale confronto è tutto a favore di Allende. Ciò illustra la differenza abissale che passa fra un governo effettivamente riformatore, quale fu certamente, all’inizio, quello di Allende, e un gover­no neoliberale, cioè nei fatti controriformatore, quale è quello di Lula.

(31) Durante il periodo dell’Unidad Popular i salari reali aumentarono complessivamente in misura superiore al 50%.

(32) La portata di que­sto “sconto” è in verità senza proporzione con gli utili effettivamente realizzati dalle multinazionali; solo i profitti esportati dal 1952 al 1970 ammontano a qualcosa come 16 miliardi di dollari, la riduzione degli indennizzi non arriva in tutto al miliardo.

(33) Queste 202 imprese manifatturiere rap­presentavano solo il 3% del totale, ma occupavano 116 mila lavoratori, pari al 20% della manodopera industriale.

(34) Si consideri anche che le terre espropriate e distribuite erano in generale quelle meno produttive e mancavano di macchine e infra­strutture; in molti casi, poi, per sfuggire all’esproprio, gli allevatori ricorrevano all’abbattimento delle mandrie o al loro espatrio clande­stino in Argentina. Con tutto ciò, in un docu­mento del 1980 della Banca mondiale si dice che la riforma agraria cilena cominciò a dare i suoi frutti dalla stagio­ne 1973-74; lo stesso documento osserva inoltre che, “anche nei momenti più turbolenti, la riforma fu realizzata con una ammirevole assenza di violenza e di distruzioni di beni.” (citato da J. Cademarto­ri).

(35) Su tutto ciò si veda anche quanto già pub­blicato nello speciale Cile su Progetto comu­nista dell’ottobre 2003.

(36) Fra il novembre del 1970 e l’agosto del 1971 il governo Al­len­de pagò per indennizzi 400 milioni di dollari alle banche, 576 mi­lio­ni alle multinazionali del ferro e del salnitro, 320 milioni ai latifon­disti, 600 milioni per le imprese acquisite all’area sociale, e 8.830 milioni alle multinazionali statunitensi Ana­conda e Kennecott, già proprietarie delle miniere di rame.

(37) In un anno le riserve valutarie passarono da 343 a 32 milioni di dollari; i crediti esteri passarono da 300 mi­lioni all’anno dell’era Frei a meno di 30; le importazioni di mac­chinari industriali cad­dero del 22%, la fuga dei capitali superò gli 87 milioni di dollari...

(38) Il costo della vita aumentò del 78% nel 1972 e del 188% nei primi 9 mesi del 1973. Per un confronto si con­sideri comunque che la liberalizzazione dei prezzi subito attua­ta dalla dittatura fece esplodere l’inflazione nel dicembre 1973 al 1100%!

(39) Ciò ha spinto molti a parlare, non del tutto a sproposito, di pericolo del fascismo in Cile, per analogia con quanto è accaduto negli anni Venti in Italia e trenta in Germania. Ci si può chiedere se una dina­mica di que­sto tipo sia inevitabile, soprattutto nei suoi sbocchi ultimi: la contrapposi­zione della piccola borghesia al proletariato fino al punto di sostenere un regime di violenza ter­roristica antioperaia a tutto vantaggio del gran­de capitale. La rispo­­sta è: no. Analizzando l’ascesa del fascismo negli anni Tren­ta, Trotsky ha messo in luce come, nel quadro di una crisi rivoluzionaria, i vari settori della piccola borghesia sono molto incerti sulla posi­zione da assumere e tendono a schierarsi con la parte che dà l’im­pressione di poter prevalere. Ciò significa che una politica decisa delle forze proletarie ha la possibilità di conqui­stare a una ipotesi rivo­luzionaria anticapitali­stica strati decisivi dei settori intermedi della società. Per altro, la stessa vicenda cilena conferma la validità di questa analisi: in un primo tempo ampi set­to­ri piccolo borghesi guardarono con sim­patia al governo di sinistra, come mostrano gli stessi risultati elet­torali; successivamente, una parte di questi (mi­noritaria, comunque) si passivizzò, o passò con la de­stra di fronte ai dietrofront e alla para­lisi del governo dell’U­nidad Popular. Va detto anche che nella situa­zione cilena molte mo­bilitazioni della piccola bor­ghesia erano inco­raggiate e direttamente organizzate e finanziate dalla borghe­sia e dall’im­perialismo tramite i mass media e i molte­plici canali attivati dalla CIA.

(40) Mike Gonzales, Revolutionary Rehearsals, citato da M. Novello.

(41) Secondo dati rife­riti nel sito internet del Partito Comunista Cile­no (www.pcchile.cl), delle 35 mila fabbriche e officine del paese solo una ventina sono completamente paralizzate; dei cinquemila asenta­mien­tos agricoli se ne fermano meno di un centinaio.

(42) In Luis Vega, La caída de Allende; citato in M. Novello, op. cit.

(43) Ai dirigenti del­l’U­ni­dad Popular, euforici per la “vittoria” sullo sciopero dei camionisti, un militare in pensione dà questo avvertimento: «Vi sbagliate, è sta­to il popolo a vin­cere, non voi... Ma ci sarà un nuovo sciopero co­me questo, e non lo vin­cerà il popolo; pri­­ma sarà intimorito e disorga­nizzato. E quello sciopero sarà l’ul­timo».

(44) Documento citato da M. Novello, op. cit..

(45) Michel Silva, Los cordones industriales y el socialismo desde abajo; riferito da Nico­lás Miranda, Los cordones industriales, la revolución chilena y el frentepopulismo, in Estrategia Interna­cional, n. 16.

(46) Settori avanzati si stavano incamminando su questa strada. Ecco l’appello lanciato del cordon Cerrillos:
La Direzione del cordon Cerrillos chiama i lavoratori di Santiago a costituire subito un coordinamento organico:
1) invitiamo tutti i la­voratori a costituire le proprie Direzioni o Coordinamenti industriali di cordones, l’unico modo per la classe operaia per disporre di uno stru­mento d’azione efficace, capace di mobilitarla e di farle assumere nuovi compiti. Non ci atten­diamo una risposta ai nostri problemi dal­l’attuale direzione della CUT, dal momento che ci ha dimostrato di essere estranea alle reali aspirazioni della classe operaia in questo momento;
2) invitiamo le direzioni dei cordones industriales di Santiago a costruire al più presto il comando provincial (direzione provinciale) dei cordones industriales;
3) invitiamo tutti i lavoratori del Paese a costruire i propri comandos provinciales dei lavoratori, per giun­gere rapidamente a co­stituire il coordinamento nazionale di questi comandos provincia­les.
” (Miguel Silvia, Los cordones industriales y el socialismo desde abajo).

(47) Intanto a marzo, nelle elezioni per il rin­novo del Congresso, l’opposizione borghese, che si era presentata unita nella lista Confede­racion Democratica e contava di conquistare più dei due terzi dei seggi, cosa che le avreb­be consentito di destituire il presidente per vie legali, incassa un altro scacco: l’Uni­dad Popular ottiene il 44% dei voti, la più al­ta percentuale mai ri­por­tata dalla sinistra in Cile in un’elezione poli­tica. È probabilmente in questo momen­to che l’imperialismo e la de­stra cominciano il conto alla rovescia del colpo di Stato militare.

Tiziano Bagarolo

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