Interventi

La ricetta di Ichino, peggio del Covid

Come i capitalisti usano il coronavirus contro i lavoratori

18 Giugno 2020
ichino


Intervistato sulle colonne di Libero, per corroborare la profonda intelligenza con cui da sempre esprime le sue mirabili ricette, Ichino è tornato a colpire il mondo dei salariati.

Durante il lockdown, mentre centinaia di lavoratori intasavano gli ospedali colpiti dal Covid-19, lui digrignava i denti colpito da un travaso di bile, al pensiero immaginario degli scampati del pubblico impiego che grazie allo smart working si godevano «una lunga vacanza retribuita al cento per cento». Due mesi a far niente, proprio come Ichino tutta la vita, solo che lui prende il mille percento dei lavoratori smart. E non in due mesi, in una settimana.

Il disco di Ichino è sempre quello, ormai non costituisce più nemmeno una novità, e forse non staremmo qui a ribattere se dietro i suoi discorsi non ci fosse sempre lo zampino di Confindustria, a cui come tutti i completi rinnegati fa non solo da zerbino ma anche da apripista.

I lavoratori rimasti a casa a far nulla pagati, ammesso ce ne siano stati, saranno stati comunque un’eccezione. Sarà invece la norma che il 99% dei miliardi destinati a fondo perduto alle imprese finiranno tutti nelle tasche dei padroni e della speculazione borsistica, senza un centesimo di investimento nella produzione. Ma Ichino su questo non ha nulla da dire. Non è evidentemente denaro sprecato, ma guadagnato.

Il resto dell’intervista è tutto dello stesso tenore, ed è interessante solo come uno dei massimi esempi del mondo capovolto dei borghesi e dei loro servi.

Per Ichino la cassa integrazione nel privato non va bene, perché è talmente bassa che spinge il lavoratore a cercare un lavoro in nero e ad aumentare le entrate. Ichino non dorme la notte al pensiero che tra cassa e lavoro in nero, un lavoratore possa superare il normale stipendio. Guai! Meglio licenziarlo subito e dargli l’assegno di disoccupazione, così continuerà a lavorare in nero come prima ma almeno perderà il diritto a metà degli ammortizzatori sociali.

Dove la cassa integrazione non c’è, nel pubblico, bisognava invece introdurla. Così, risparmiando almeno il 20% dello stipendio, si potevano trovare le risorse per premiare i medici in prima linea. È dai salariati di tutte le razze che bisogna prendere soldi. Il profitto, con cui si potevano pagare medici, casse integrazioni, redditi di quarantena, vacanze e crociere per tutti, non può essere toccato. Si vede che è troppo basso, poveri padroni!

Il mercato della forza-lavoro soffre: non riesce a far incontrare l’offerta e la domanda. Il problema non è dovuto al fatto che la domanda, tra precarizzazione e licenziamenti, è quattro volte l’offerta, come spiegava un onesto riformista, Luciano Gallino, ma secondo Ichino alla mancanza di servizi e formazione. Capitalismo, anarchia del mercato, sovrapproduzione, crack borsistici non esistono, è tutto un problema di formazione. Corsi su corsi, magari sostenuti dai discepoli del Prof. Ichino, e la disoccupazione sarà solo un ricordo. Si fa fatica a capire come con una soluzione così semplice e a portata di mano, Berlusconi, Monti, Renzi e Conte non siano riuscisti a risolvere il problema. Eppure stimavano così tanto Ichino da averlo scambiato probabilmente per la reincarnazione di Archimede.

Finita la prima parte, nella seconda Ichino passa a promuovere il suo ultimo libro di fantascienza, L’intelligenza del lavoro (Rizzoli editore).

La fantascienza di Ichino narra la vecchia favola dello Stato che si disinteressa dell’economia e non fa l’imprenditore. Nonostante da quando è nato, nel 1861, lo Stato abbia sempre fatto il capitalista collettivo ideale, sborsando fiumi di soldi ai suoi padroni, oggi Ichino lo prega di non tornare a fare l'imprenditore. Non che Ichino voglia lo Stato salariato, ma i fiumi di soldi agli imprenditori e alle banche che Conte si appresta a dare incrinano la sua fama di fratello Grimm dell’economia.

A rischio nella sua favola, non è solo lo Stato che si disinteressa dei suoi affari, ma anche il nuovo mirabolante sindacato. Prima c’era il sindacato “Alfa”, quello che difendeva i lavoratori. Il futuro, invece, è del sindacato “Omega”, quello che difende i padroni. E se Landini, che dà il via libera ai 6,5 miliardi di stato per FCA, è il prototipo del sindacato "Alfa", figuriamoci come sarà il leader del sindacato “Omega” del futuro. Forse sarà lo stesso Ichino in persona.

Dall’alfa all’omega, comunque, il tutto in nome di una comune scommessa tra imprenditore e lavoratore. E quale sarà la posta in palio? Primo, la Fornero 2.0, la prossima, inevitabile controriforma delle pensioni; secondo, il decentramento della contrattazione, da collettiva e nazionale a periferica e di secondo livello, sempre più individuale. E poiché la contrattazione di secondo livello è un lusso sempre più raro, grazie alle firme disastrose dei burocrati sindacali (Landini in testa), il decentramento di Ichino non è altro che la distruzione della contrattazione di secondo livello, dopo aver distrutto quella nazionale del primo livello.

Saranno così intelligenti i lavoratori da accettare tutto questo ben di Dio? No, perché sono troppo scemi. Almeno questa è la conclusione a sfondo razzista e violenta del Professore e del suo degno intervistatore.

Sarà compito dei padroni far ingoiare ai lavoratori le misure partorite dai suoi Einstein mancati. Noi faremo di tutto perché i lavoratori rispondano, altrimenti a settembre, dopo il Covid-19, si abbatterà sul nostro autunno la sua evoluzione: il bubbone di Ichino.

Lorenzo Mortara

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