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La democrazia di Carlo Bonomi

Confindustria va all'attacco ma chiede alla CGIL di disarmare le resistenze

17 Giugno 2020
bonomi


In Italia occorre «una democrazia negoziale costruita e radicata su una grande alleanza pubblico-privato su cui il decisore politico non ha delega insindacabile per mandato elettorale, ma con cui esso dialoga incessantemente attraverso le rappresentanze del mondo dell'impresa, del lavoro, delle professioni, del terzo settore, della ricerca e della cultura. [...] una solida cornice di impegni decennali.» (Carlo Bonomi, Il Sole 24 Ore, 17 giugno)

Questo concetto della democrazia negoziale è la cifra della nuova politica di Confindustria. A Bonomi non basta la democrazia borghese tradizionale, quella per cui il parlamento “democraticamente eletto” (con leggi elettorali più o meno truffaldine, coi mezzi di informazione in mano ai capitalisti, coi mille strumenti di condizionamento e controllo della classe lavoratrice, dalle burocrazie sindacali al clero sino ai partiti borghesi, che son tutti sul libro paga dei padroni, come rivelano i loro stessi bilanci) esprime a sua volta il governo quale comitato d'affari della borghesia. No, Bonomi non si accontenta di soluzioni ordinarie. Vuole tenere il governo borghese sotto pressione, sottoporlo alla propria vigilanza, costringerlo a un rapporto vincolante e quotidiano con le richieste di Confindustria. Cui non basta un proprio governo, vuole anche dettargli direttamente il passo, i tempi, la direzione di marcia (gli «impegni decennali»), ben oltre i limiti della legislatura. In altri termini, vuole commissariare l'esecutivo. Quello di oggi e di domani.

Non è una petizione casuale. È in arrivo una massa gigantesca di risorse finanziarie di provenienza europea che Confindustria vuole intascare. Ma soprattutto avanza la più grande crisi del dopoguerra che scuote il capitalismo italiano come nessun altro in Europa. E Confindustria chiede infatti misure di guerra.

Confindustria chiede un impegno decennale nella riduzione del debito pubblico (gonfiato dai trasferimenti alle imprese, dalle garanzie statali sui crediti alle imprese, dai continui tagli di tasse ai capitalisti, oltre che dalla profonda recessione), e per questo denuncia una spesa sociale troppo sbilanciata sulla spesa previdenziale. Colpire la spesa per le pensioni è dunque il primo impegno decennale che Confindustria chiede al governo; la condizione per incassare la fiducia di banche e assicurazioni che investono sui titoli pubblici, tenere bassi gli interessi, ottenere finanziamenti a buon mercato.
Confindustria chiede l'abbattimento del costo del lavoro: taglio del cuneo fiscale a vantaggio delle imprese, e a carico della fiscalità generale (dunque dei lavoratori); cancellazione definitiva delle causali sui contratti a termine, visti da ora in poi come unica vera forma contrattuale e la via più agile per i licenziamenti; taglio delle ferie in agosto e massima flessibilità degli orari per recuperare produttività, ordini e commesse; distruzione annunciata di un milione e mezzo di posti di lavoro (secondo cifre confindustriali); ammortizzatori a più basso costo (“basta finanziamenti a pioggia” a sostegno del reddito) per liberare altri miliardi a favore dei profitti. Perché la pioggia di miliardi è produttiva se ingrassa i capitalisti, è assistenziale se sorregge i disoccupati, tra i quali i licenziati dai capitalisti. Questo è il secondo impegno decennale.

Ma Confindustria non si avventura da sola su questa linea d'attacco. Non segue la linea Marchionne del 2010-2011, quella dello scontro frontale con la FIOM e la CGIL. Al contrario. Prova a coinvolgere la CGIL nella «democrazia negoziale», ad assorbirla nella «solida cornice di impegni decennali»: Bonomi offre a Landini un posto al tavolo della concertazione, in cambio della sua funzione di ammortizzatore e controllore delle possibili resistenze della classe al programma confindustriale. “Non è il momento del conflitto, è il momento della mediazione sociale” ha replicato prontamente Landini, mostrando di aver colto e raccolto il segnale. La direzione è chiara: l'emergenza della grande crisi sospinge l'unità nazionale tra padroni e burocrazie, dove i padroni guidano e i burocrati seguono. Come sempre.

Rompere il patto sociale in gestazione, unire l'azione delle forze d'avanguardia attorno a una piattaforma indipendente, portare la piattaforma di lotta tra le masse per costruire un grande fronte unico di mobilitazione e resistenza, costruire nella lotta una direzione alternativa del movimento operaio e sindacale: sono i compiti dell'avanguardia di classe nella prova di forza che si prepara in autunno.

Partito Comunista dei Lavoratori

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