Dalla tragedia alla farsa. Lo stalinismo ieri e oggi

Le radici, le cause e gli effetti dello stalinismo

9 Giugno 2020
stalin morto


Nel testo "The Birth of Stalinism" (La nascita dello stalinismo), lo storico ceco Michael Reiman fornisce un fondamentale argomento sulle origini del sistema stalinista. Le politiche dettate da Stalin furono anche una reazione alla profonda crisi sociale ed economica.
Il raccolto del 1927, infatti, fu così scarso che, all’inizio del 1928, fu introdotto il razionamento del cibo. Il raccolto del 1928 fu ancora peggiore. Alla crisi nelle campagne si aggiunse una crisi nel settore industriale.
In più, il sistema eretto da Stalin sopravviveva nel sempre continuo accerchiamento del sistema capitalista. Dunque, i fattori che definiremmo oggettivi hanno indubbiamente inciso sul processo degenerativo della conquiste della rivoluzione russa.

Tuttavia l’involuzione sovietica, dopo la presa del potere di Stalin, poggia anche su elementi soggettivi, e sarebbe un errore – un grave errore – sottovalutare il peso politico delle "scelte di partito" nel processo di burocratizzazione dello stesso.
È indubbio che se alcune correnti (uomini, gruppi dirigenti) in determinati momenti storici avessero avuto un atteggiamento e una sensibilità diverse, probabilmente il processo degli eventi non avrebbe assunto le stesse forme. Se Trotsky avesse affrontato Stalin prima e al momento opportuno durante la battaglia interna, e se Zinoviev e Kamenev non avessero sostenuto Stalin in un primo momento, nei primi anni Venti, siamo certi che la storia avrebbe assunto il medesimo decorso, nelle stesse forme?

Ma quando è iniziato il processo degenerativo del potere sovietico?


LENIN CONTRO STALIN

Sin dal 1919 il Partito Bolscevico, per evitare il lievitare crescente degli uomini d’apparato e dei burocrati all’interno del partito, istituì il Rabkrin (Commissariato del popolo per l’ispezione operaia e contadina). Al vertice di questo commissariato il Partito Bolscevico mise Stalin. Stalin fu assegnato a questo commissariato per le sue capacità organizzative mostrate in passato.
Dunque Lenin già dal 1919, a meno di due anni dalla rivoluzione, avvertiva un pericolo di burocratizzazione del partito. Uomini estranei alla rivoluzione, molti di essi senza principi – perfetti aspiranti burocrati – si stavano attrezzando per salire sul carro dei vincitori.

Nel 1922 il pericolo di deviazione burocratica agli occhi dei Lenin si fa più pressante: «Il nostro programma di partito, un documento che l’autore dell’ABC del comunismo conosce bene (Lenin si riferisce a N. Bucharin, nda), dimostra che il nostro stato è uno stato operaio con distorsioni burocratiche...». [1]

Lenin nota quindi, anche prima di Trotsky, il pericolo d’involuzione del partito.
Uno dei primi scontri con Stalin, Lenin lo ebbe sulla questione del monopolio del commercio estero.
Trotsky racconta: «Lei (è Trotsky che parla a Lenin, nda) propone di iniziare una lotta non solo contro la burocrazia di Stato, ma anche contro l’Ufficio organizzativo del Comitato Centrale? Io mi misi a ridere, sorpreso. L’ufficio organizzativo era l’anima dell’organizzazione staliniana. "Può darsi". "Ebbene - continuò Lenin - io le propongo un blocco contro la burocrazia in genere e, in particolare, contro l’ufficio organizzativo”. È un onore - risposi - formare un blocco buono con una buona persona». [2]

La maggioranza dei massimi dirigenti del Partito, Stalin in testa, erano favorevoli all’abolizione o al forte ridimensionamento del monopolio del commercio estero. La politica del gruppo dirigente guidata Stalin supponeva che una ripresa degli scambi economici con l’estero avrebbe favorito la NEP. Trotsky si espresse contro questa politica. Secondo Trotsky questa scelta non avrebbe fatto che indebolire lo stato operaio sovietico nei confronti degli avversari di classe. Lenin concorda con le posizioni di Trotsky.

I due vincono il primo round nei confronti di Stalin all’interno del partito, tanto che Lenin dirà a Trotsky: «Sembra che siamo riusciti senza colpo ferire, con un semplice movimento di manovra. Propongo di non fermarsi e continuare l’offensiva». [3]

Ora il terreno di lotta si sposta sulla "questione georgiana".
Lenin si rese conto con chi aveva a che fare solo verso la fine del 1922, quando ebbe chiaro i metodi che Stalin usava per silenziare il dissenso dei compagni georgiani. Lenin dunque si affrettò ad indirizzare le sue dure critiche a Stalin riguardanti il suo metodo di direzione. La "questione georgiana" fu una sorta di catalizzatore per Lenin, perché aveva capito che con Stalin non poteva "giocare di fioretto". Decise di scrivere quello che fu soprannominato "il testamento":

«Stalin è troppo grossolano, e questo difetto, del tutto tollerabile nell’ambiente e nei rapporti tra noi comunisti, diventa intollerabile nella funzione di segretario generale. Perciò propongo ai compagni di pensare alla maniera di togliere Stalin da questo incarico e di designare a questo posto un altro uomo che, a parte tutti gli altri aspetti, si distingua dal compagno Stalin solo per una migliore qualità, quella cioè di essere più tollerante, più leale, più cortese e più riguardoso verso i compagni, meno capriccioso…». [4]


L’OPPOSIZIONE DI SINISTRA

Il 15 ottobre del 1923, 46 vecchi bolscevichi inviarono al centro del partito una dichiarazione che da un lato criticava la linea economica del partito, e dall’altro, ancor più duramente, criticava il regime dispotico interno. Tra i maggiori firmati della “Piattaforma dei 46” vi sono due ex segretari di partito come Preobraženskij e Serebrijakov, vi sono eroi dell’Ottobre rivoluzionario quali Antonov Ovseenko, Muralov, vi sono grandi figure del partito come Pjatakov, Rakovskij, Smirnov ecc.
Trotsky non è tra i firmatari, ma nei fatti ne è l’ispiratore.

Nel testo vi sono importanti riflessioni:

«Il Partito sta cessando di essere quella viva collettività indipendente… noi constatiamo la sempre crescente, e ora appena nascosta, divisione del partito tra una gerarchia segretariale e la “gente tranquilla”, tra funzionari professionali di partito nominati dall’alto e la massa generale del partito…»

«La lotta che si sta conducendo nel partito è tanto più aspra quanto più silenziosamente e segretamente procede. Se solleviamo questa questione di fronte al Comitato Centrale, è proprio per trovare la soluzione più rapida e meno dolorosa alle contraddizioni che stanno lacerando il partito e per rimetterlo senza indugio su basi sane». [5]

Nel marzo del 1924 Trotsky pubblica le “Lezioni dell’Ottobre” nelle quali critica le posizioni di Zinoviev e Kamenev durante la rivoluzione (i due si erano opposti pubblicamente alla presa del potere nel 1917). I due reagiscono rispolverando il passato non bolscevico di Trotsky (per un breve periodo Trotsky simpatizzò per i menscevichi), formando con Stalin la cosiddetta “trojka”.

Durante il XIV congresso, Zinoviev e Kamenev muovono delle critiche alla teoria del "socialismo in un paese solo" e alla destra del partito capeggiata da Bucharin, il quale aveva avanzato le parole d’ordine “contadini arricchitevi!", ma senza rompere con Stalin, promuovendo così una formula algebrica per mantenere unita la maggioranza, sintomo comunque di un mal di pancia dei due triumviri.
La Trojka comunque non reggerà ancora per molto. Zinoviev e Kamenev comprendono che il loro ruolo è secondario all’interno del partito. Stalin è il vero leader, l’indiscusso capo. Ha mosso, con grandi capacità, tutte le sue pedine, ha rimosso e sostituito funzionari e segretari a lui ostili con docili figure a lui fedeli. Giovani funzionari estranei al marxismo si affacciano affamati nel partito. Stalin utilizza le nuove leve arriviste per scalzare gli oppositori. Nel giro di soli dieci anni dallo scoppio della rivoluzione, lo stalinismo ha vinto. È la vittoria dell’apparato che ha soffocato gli ideali della rivoluzione.

Come è stato possibile strangolare un partito che per più di vent’anni si è formato nella viva e sana discussione?


LA MODIFICA DELL’APPARATO

Stalin fece, in modo arbitrario, alcune modifiche alla struttura organizzativa del partito. Creò, come prima cosa, una “sezione di organizzazione e di istruzione”, un corpo volante di ispettori incaricati di controllare le organizzazioni locali. Questo gli permise di avviare le prime sostituzioni e/o rimozioni di chi non considerasse fedelissimo a lui. In contemporanea, sempre nei primi anni ’20, l’Ufficio Politico decise di inviare un osservatore al collegio della GPU (ex CEKA, polizia sovietica) con l’intento di “rassicurare” i cittadini sovietici. In realtà lo scopo di Stalin era influenzare le decisioni della CEKA. Stalin creò inoltre una segreteria personale, fuori dagli organismi di partito, dal ruolo indefinito. Per formare questa segreteria chiama al suo servizio giovani funzionari estranei alla lotta del bolscevismo e pronti a tutto: Ezov, Smitten, Bauman, Poskerebysev, ecc.

Stalin contemporaneamente fa aumentare i membri del CC, allargando così la sua influenza. Ormai è la segreteria ad avere il potere assoluto. Non era più come sotto la guida di Lenin, in cui il Congresso di partito eleggeva un Comitato Centrale il quale, a sua volta, eleggeva un segretario generale (che era un responsabile organizzativo). Sotto Stalin questo modello era stato sostanzialmente ribaltato, ed era il segretario generale ora a determinare la composizione del Politburo e del Comitato Centrale.

Un fatto singolare (riportato da Procacci in Storia del XX secolo) pone l’accento su quanto sia importante il funzionamento democratico di un partito: nel corso del XVII congresso del PCUS, nel 1934, Kirov, protetto di Stalin, ma forse più sobrio di lui nell’amministrare il partito, fu eletto segretario con le modalità di voto segreto. Naturalmente Stalin manipolò e invalidò le votazioni del congresso. A riprova di tale avvenimento vi sono due prove storiche.
La prima ci viene dalla testimonianza storica di Saumjan, uno dei pochi sopravvissuti alle purghe: «Alcuni delegati, e soprattutto quelli che ricordavano il testamento di Lenin, cominciavano a pensare che era ora di togliere a Stalin l’incarico di segretario generale per trasferirlo ad altro incarico» [6].
La seconda testimonianza (questa indiretta) è la vittoria silenziosa che gli uomini che sostennero Kirov ottennero al congresso. Infatti Kirov entra nella segreteria insieme a Zdanov, Kaganovic e Stalin. Ma Stalin, cosa molto strana per un partito in cui il formalismo è l’ABC, non viene nominato come segretario generale, bensì come semplice segretario.

Dunque è chiaro che la democrazia interna è uno strumento utile contro i germi dell’ipercentralismo.
Stalin era l’incarnazione vivente di un termidoro burocratico. Nelle sue mani, il terrore è stato e resta soprattutto uno strumento per schiacciare il partito, i sindacati, i soviet, e per instaurare una dittatura personale alla quale non manca che la corona imperiale. Il terrore, che ha adempiuto alla sua missione rivoluzionaria ed è diventato uno strumento degli usurpatori per la loro stessa conservazione, si trasforma in questo modo in una “assurdità”, per usare l’espressione di Engels. Nel linguaggio della dialettica, questo significa che è votato ad un crollo inevitabile.

Stalin non era pazzo, anche se ci fu indubbiamente una progressiva deviazione psicologica. Ma la crudeltà, l’arroganza, la tortura, la strage creata da Stalin e dal “suo” sistema non furono che le normali derivazioni del sistema stesso. Ecco giustificate le continue epurazioni dei grandi rivoluzionari. Stalin non poteva tollerare la verità, non poteva tollerare che il marxismo continuasse il suo cammino in Russia poiché esso avrebbe rappresentato la fine dell’apparato burocratico e di Stalin stesso.

Un ruolo fondamentale nella costruzione della burocrazia sovietica e di questo perfido sistema lo ebbe la polizia segreta (NKVD). L’NKVD eseguiva le direttive dell’apparato centrale del partito “comunista” russo facendosi artefice di epurazioni, processi farsa, uccisioni e quant’altro di più spregevole si possa pensare.

Alcune cifre sui massacri perpetuati dall’apparato stalinista potrebbero facilitare la comprensione delle argomentazioni sopra espresse.
Quando venne avviata la campagna di liquidazione dei kulaki come classe, nel 1930, vi furono nel giro di due anni circa 1.800.000 contadini deportati nelle zone più remote del paese. Secondo Chlevnjuk, da quanto si ricava dai materiali dell’indagine dell’OGPU, nel 1930/'31 furono condannate circa 390.000 persone, la maggioranza delle quali venne inviata nei campi di prigionia. 21.000 di essi furono condannati alla fucilazione. Contemporaneamente le epurazioni si diressero contro il partito, in particolare contro le presunte furie “trotskiste”: circa 200.000 furono gli espulsi dal partito.

Nel 1933 furono inviati al confino circa 270.000 “deportati speciali”. Nello stesso anno la popolazione dei campi di prigionia aumentò quasi di 200.000 unità. Secondo una relazione redatta nel novembre del 1935 dal presidente della corte suprema della RSFSR, Bulat, ad uso di Stalin e Molotov, nella prima metà del 1933 solo nella Repubblica russa erano state condannate più di 738.000 persone. Nella seconda metà dell’anno, i condannati furono più di 687.000.
Intanto continuavano le purghe nel partito. Nel 1933 il totale degli espulsi assommò a circa 450.000.
Nel loro complesso queste cifre ci permettono di sostenere che il numero totale delle vittime delle deportazioni, fucilazioni, arresti ed espulsioni dal partito durante la crisi del 1932/'33 non fu inferiore ai 2.000.000.
Al primo gennaio del 1934 i prigionieri dei campi della OGPU erano più di 510.000, stando ai dati di Getty, Rittersporn e Zemskov; più o meno quanti erano coloro che si ritrovavano nelle carceri e nelle colonie penitenziarie del commissariato alla Giustizia. 1.072.000 erano, invece, i deportati nei “villaggi speciali” per Zemskov. Attenendoci ai dati ufficiali, nella RSFSR, nel 1934, furono condannate circa 1.200.000 di persone. Questi dati relativi ai primi anni '30 sono parziali, poco più che briciole, ma possono dare l’idea di quello che fu il terrore di Stalin.


LA PARANOIA DI STALIN E LE PURGHE

Quale sistema aveva creato Stalin per gestire le purghe? Cosa facevano alcuni dirigenti stalinisti per sopravvivere?
Molti cercarono di utilizzare le stesse armi dell'NKVD, ovvero l'accusa inesistente, per tentare di arrestare la logica repressiva dei processi. Questo è il caso del Commissario del Popolo alla sanità, Kaminiskij, il quale accusa Berja (vice di Ezov) di essere stato al soldo di un’organizzazione nazionalista armena. Kaminiskij venne preso e fucilato. Poi fu la volta di Postyscev, che espresse anch'egli forti dubbi sulle modalità dei processi. Postyscev venne destituito e fucilato dopo mesi di sofferenze.

Stalin intanto si era sbarazzato anche del suo vecchio amico Sergej Ordzonikdze, di cui aveva poco prima fatto fucilare il fratello maggiore Papulja. Il 16 febbraio del ’37, l'NKVD compì una perquisizione in casa di Sergej. Egli dunque chiamò adirato Stalin: “L'NKVD potrebbe benissimo compiere una perquisizione anche in casa mia, non si sa mai” gli rispose Stalin, “non c'è niente di strano”. Il 17 febbraio Sergej andò da Stalin ed ebbe con lui una agitata discussione. Forse era pronto a rompere con lui pubblicamente. Tornò a casa e trovò l'NKVD che gli propose di suicidarsi. Il dottor Levin attendeva nell'anticamera per certificare la morte per problemi cardiaci. Questo egregio medico verrà fucilato anch'esso durante il terzo processo di Mosca. Ancor prima di Sergej, Stalin aveva fucilato suo cognato Aliosa Svanidze, con il quale aveva spesso condiviso la cena. Inoltre, nel giugno del ’37, un processo a porte chiuse (per evitare ulteriori gaffe) libera Stalin dei dirigenti georgiani: Mdivani, Enukidze, etc.

Un esempio ancora più grottesco della "paranoia dell'attentato" che colpisce Stalin ce lo fornisce la storia della sua bibliotecaria. Ella, che per usare un eufemismo era un po' in là con gli anni, organizza (così si convince Stalin) un complotto per ucciderlo in combutta con due ufficiali della Guardia del Cremlino: Rjabanin e Cerniavskij. Ma il paradosso non finisce qui: la polizia segreta questa volta non scopre nulla. Stalin allora si presta al ruolo di funzionario dell’NKVD, ed in quattro e quattr’otto smaschera tutti i cospiratori e li fa fucilare.

Infine, prima di tornare al secondo processo, un ultimo accenno alle epurazioni di Stalin nelle file dell'esercito, dopo aver sterminato l'intero apparato di partito.
L'odio che investe Stalin nei confronti del Maresciallo Tuchaceveskij (probabilmente perché più di una volta il maresciallo aveva evidenziato le responsabilità di Stalin sulla questione polacca) lo porta ad ammazzargli la moglie, la madre, la sorella e i due fratelli. Non contento, fa poi deportare altre tre sue sorelle. Il "glorioso Maresciallo" aveva una figlia troppo giovane per essere deportata, così Stalin, per concludere, la fa rinchiudere in un asilo e la farà deportare una volta raggiunta la maggiore età.

Le purghe colpiranno proprio tutti: in Bierolussa la metà dei membri del partito viene spazzata via, e simile sorte tocca anche all'Ucraina.
Nell’estate del ’37 Stalin fece uscire di prigione Rykov e Bucharin, in prigione dal secondo processo, e li fece condurre di fronte al Comitato Centrale. Essi si rifiutarono di confessare i loro presunti crimini. Stalin non ebbe pietà: "Riportateli in prigione, che si difendano laggiù". Bucharin, Rakovskij, Rykov ed altri furono messi a tacere nel terzo processo.


LA DEPRAVAZIONE UMANA E L’ASSENZA DI COSCIENZA POLITICA

L’«apparatchik» stalinista è l’uomo che si identifica totalmente col partito, che soffoca nel suo monolitismo rigido alcuni fenomeni di doppia coscienza e di doppia personalità. Lo stalinismo segna le persone anche nella sua etica, rompe quelle maglie della coscienza di classe su cui poggia il marxismo rivoluzionario. Da una parte l’uomo di partito si sente il rappresentante della classe operaia, ma al tempo stesso agisce come un despota nei confronti di esse. I dirigenti sovietici dell’epoca stalinista (a tutti i livelli) riescono a dividere la loro personalità d’apparato con la loro etica personale. Insomma, il partito giustifica tutto e a chi vive per il partito tutto è permesso. Il partito, cioè Stalin di fatto, è tutto e si fa tutto per questa logica. Val la pena, a questo punto, riportare alcuni tratti di personalità dei dirigenti staliniani, per evidenziarne l’assoluta devastazione umana.

Jagoda, probabile organizzatore dell’assassinio di Sergei Kirov, il 1º dicembre 1934 a Leningrado, evento che segnò l’inizio delle grandi purghe staliniane. Supervisionò gli interrogatori nel primo dei processi di Mosca nell’agosto 1936, che si concluse con la condanna e la fucilazione, tra gli altri, di Lev Kamenev e Grigorij Zinov’ev, principali esponenti dell’opposizione di sinistra del partito comunista.

Ezov, «nano assetato di sangue», fu il vero artefice ed organizzatore delle purghe staliniane nella seconda metà degli anni '30, inclusi aspetti di sadismo nelle deportazioni…

Berija, vero e proprio violentatore seriale, si dice (Montefiore) girasse per le strade della città con la sua auto di servizio a caccia di giovani donne per rapirle e violentarle.

Molotov, l’uomo più influente negli anni '30 dopo Stalin, soprannominato "culo di pietra". Sua moglie fu deportata da Stalin in un gulag, e nonostante tutto questo rimase fedele a Stalin sino alla fine. Si racconta che durante il periodo di prigionia della moglie era solito apparecchiare per lei la tavola nella speranza che tornasse. Molotov, morto a metà degli anni '80, spesso sognava di trovarsi nel deserto e non sapere dove andare, sino a quando non gli compariva in sogno Stalin per indicargli la strada [7].

Parlando di assenza completa di etica politica, dobbiamo ancora domandarci perché Stalin abbia consegnato a Hitler centinaia di comunisti e antifascisti tedeschi (patto Ribbetronp-Molotov)?
Ernest Fischer, per esempio, in epoca staliniana ha dichiarato: «Quel che non ho mai capito è perché al patto seguirono gesti atroci. Come la consegna dei comunisti ai tedeschi». Questa citazione, per dovere di cronaca, è di Rossana Rossanda (difficilmente definibile trotskista), da Il Manifesto del 4 agosto 1972, in: Una conversazione con E. Fisher sul suo itinerario intellettuale e politico.

Tra i prigionieri consegnati a Hitler troviamo H. Kiepenberg, un tempo responsabile dell'organizzazione militare del PC tedesco; F. Korichener, tra in fondatori del Partito Comunista Tedesco; Pfieffer, ex segretario del partito a Berlino; A. Weissberg, dirigente comunista, e sua moglie di H. Neumman, anche esso dirigente.

Così descrive M. Buber-Neumman, sopravvissuta ai lager nazisti: «Il 3 febbraio giungemmo alla frontiera della Polonia occupata dai russi e dai tedeschi, a Brest Litovsk. Un ufficiale dell'NKVD (servizi segreti stalinisti), insieme a un gruppo di soldati ci condussero al ponte ferroviario. Uomini nella divisa tedesca delle SS e del NKVD si salutarono cortesemente: l'ufficiale russo lesse i nostri nomi e ci ordinò di attraversare il ponte».
Ai nazisti vengono consegnati anche un folto gruppo di ebrei e antifascisti fuggiti in URSS dalle persecuzioni naziste. Tra loro vi sono i nomi della vedeva del poeta Mushan e il compositore David.

Perché? Perché mercanteggiare le vite umane, le vite di compagne e compagni? Solo l’assenza di principi e il mantenimento della burocrazia possono dare una risposta.
Il nichilismo di fondo del metodo stalinista, prima camuffato col mito della costruzione sociale, si presenta come una perfetta macchina dell’annientamento totale, fatto da disonestà quotidiana, indifferenza, ipocrisia, cinismo. Soprattutto doppia coscienza e doppia morale. Il rispetto dei compagni era subordinato all’esigenza di prevalere, il fine giustificato dai mezzi. Insomma, esattamente l’opposto dell’etica socialista.





[1] Lenin, Opere complete, volume 32
[2] Trotsky, La mia vita
[3] Lewin, L'ultima battaglia di Lenin
[4] Documenti dell'Opposizione di sinistra
[5] Broué, La rivoluzione perduta
[6] Broué, Comunisti contro Stalin
[7] Chuev, Ricordi di Molotov


altri testi:

J.J. Marie, Stalin
J.J. Marie, Lenin
Nikulin, Tuchaceveskij, in: Oktjabr, n. 5
Montefiore, Stalin
Daniels, La coscienza della rivoluzione

E. G.

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