Dalla tragedia alla farsa. Lo stalinismo ieri e oggi
A proposito di spie fasciste, trotskisti e torture in URSS
Una risposta necessaria al calunniatore antibolscevico Concetto Solano
21 Maggio 2020
Trotsky, Lenin, Kamenev. 1919
«Stalin è troppo grossolano, e questo difetto, del tutto tollerabile nell'ambiente e nei rapporti tra noi comunisti, diventa intollerabile nella funzione di segretario generale. Perciò propongo ai compagni di pensare alla maniera di togliere Stalin da questo incarico e di designare a questo posto un altro uomo che, a parte tutti gli altri aspetti, si distingua dal compagno Stalin solo per una migliore qualità, quella cioè di essere più tollerante, più leale, più cortese e più riguardoso verso i compagni, meno capriccioso, ecc. Questa circostanza può apparire una piccolezza insignificante. Ma io penso che, dal punto di vista dell'impedimento di una scissione e di quanto ho scritto sopra sui rapporti tra Stalin e Trotsky, non è una piccolezza, ovvero è una piccolezza che può avere un'importanza decisiva.»
Lenin, 4 gennaio 1923
(Lettera al partito, detta “il testamento di Lenin”, scritta prima del suo penultimo colpo apoplettico che gli tolse la parola e lo rese semiparalizzato, e prima che riuscisse a realizzare quanto sopra indicato. Nel testo citava i sei principali dirigenti del partito che vedeva come figure centrali del futuro della Russia sovietica: Trotsky, Zinoviev, Kamenev, Bucharin, Pjatakov e Stalin. I primi cinque furono fatti assassinare dall’ultimo, quello Stalin che Lenin proponeva di cacciare dall’incarico di segretario generale)
Il sito L’Ordine Nuovo, promosso da un settore di militanti del Partito Comunista in rottura politica con il suo lìder maximo Marco Rizzo, ha pubblicato un articolo dal titolo A proposito delle spie fasciste in Unione Sovietica, scritto da un certo Concetto Solano, appartenente ad un piccolo gruppo stalinista, Red Militant, prevalentemente catanese. Si tratta di un articolo che definire bruttissimo e strumentale è un eufemismo, perché in realtà è molto peggio. L’autore, in maniera totalmente disonesta, scrive un testo che ha lo scopo di calunniare i comunisti italiani vittime di Stalin, e in fondo tutta la miriade dei comunisti, trotskisti e non, vittime dei suoi massacri.
IL METODO DELL'AMALGAMA
Il metodo usato è uno di quelli storicamente usati dai calunniatori: l’amalgama. Il testo di Solano mette insieme persone che non c’entrano tra loro, e che in molti casi non hanno niente a che vedere con le vittime dello stalinismo.
Il testo parla ad esempio di Guglielmo Jonna e di Eros Vecchi.
Il primo non risulta essere stato stabilmente in Russia. Membro del gruppo di dirigenti minori rimasti in Italia dopo la messa fuori legge del PCd’I, viene arrestato nel 1927 e, per sfuggire al carcere, si trasforma in informatore e provocatore della polizia, causando il necessario rapido espatrio del centro interno del partito. Mai avuto niente a che vedere il Jonna con trotskismo o bordighismo.
Ma la cosa più incredibile è il riferirsi a Eros Vecchi. Vecchi sì che era stato in Russia. Alla fine degli anni ’20 aveva frequentato la cosiddetta “scuola leninista”, dove lo stalinismo formava i suoi "migliori quadri" da inserire come uomini del Cremlino nei vari partiti comunisti per procedere con più sicurezza alla loro stalinizzazione. Rientra così prima in Belgio e poi in Francia (dove era la centrale del PCd’I) nel 1929 e viene cooptato nel Comitato Centrale. Lì partecipa centralmente alla lotta contro i dirigenti del partito che si schierano contro la nuova linea del “socialfascismo”, che equipara fascismo (e nazismo) alla socialdemocrazia, abbandonando ogni elemento di fronte unico di classe: i “tre” dell’Ufficio Politico (contro cinque maggioritari; il nono Silone, probabile agente della polizia italiana, dalla Svizzera fa il doppio gioco, senza mai schierarsi formalmente da una parte o dall’altra) Leonetti, Ravazzoli e Tresso, e altri due del CC, Bavassano e Teresa Recchia, che a partire da tale battaglia giungeranno al trotskismo.
Nel Comitato Centrale del 9 giugno 1930 che espelle i cinque, non solo Vecchi vota a favore di tale misura, ma fa un violento intervento, in cui insulta Tresso.
Rientrato il mese successivo in Italia per partecipare alla scelta (in previsione di una imminente crisi rivoluzionaria!) di ricostruire subito un centro interno con dirigenti importanti, viene subito individuato dalla polizia e arrestato. Il quadro della scuola “leninista” (stalinista, in realtà) capitola subito (non ci sono prove che fosse già un agente, ad ogni modo non cambia niente) e fa arrestare vari dirigenti del partito, tra cui Camilla Ravera. Cerca poi, dichiarando di essere sfuggito per miracolo alla cattura, di continuare a fare l’agente nella direzione del PCd’I in Francia, ma viene smascherato e – qui sì veramente miracolosamente – sfugge alla giusta esecuzione, fuggendo con una pallottola in testa.
Se usassimo il metodo del signor Solano, potremmo argomentare a partire dai casi Jonna e soprattutto Vecchi che i biechi stalinisti sono pronti a vendersi a polizia e fascisti. Ma noi siamo persone serie, sappiamo che gli agenti e i delatori sono sempre presenti nei movimenti rivoluzionari (e non solo) – per citare un solo esempio si pensi ai bolscevichi, il cui capogruppo alla Duma di Stato per molti anni fu l’operaio e sindacalista metalmeccanico Roman Malinovskij, agente della polizia zarista – e che quindi i due casi citati non fanno storia per tutti. Ma citarli per attaccare trotskisti, bordighisti e anarchici può essere proprio solo di un calunniatore.
In questa quadro, può essere che accanto a provocatori inseriti in altri movimenti ve ne fossero alcuni che si vendettero alla polizia del proprio paese, in ispecie italiana, tra i bordighisti o i trotskisti (anche se dai documenti ritrovati negli archivi dell’OVRA non risulta per i secondi, mentre ve ne erano alcuni tra bordighisti e tra i socialisti massimalisti, oltre ad altri nel PCd'I, in numero superiore, ma non quanto ipotizza Solano per giustificare lo stalinismo). Ad ogni modo, tra i nomi citati solo alcuni sono presentati come simpatizzanti bordighisti e trotskisti.
Anche ammesso e non concesso che tutti gli italiani citati fossero dei venduti alla polizia fascista (di alcuni è chiaro, di altri no, e non ci si può certo fidare dell’onestà di un individuo come Solano), si tratta di una piccola minoranza rispetto al numero dei comunisti (e anarchici) vittime del tutto innocenti della repressione stalinista.
Visto che il Solano è siciliano, gli facciamo un esempio. Dimostrare che alcuni siciliani sono mafiosi non vuol dire che tutti i siciliani lo siano, anzi la stragrande maggioranza non lo è. Così la stragrandissima maggioranza delle vittime, italiane o non, dei massacri anticomunisti dello stalinismo erano del tutto senza colpe.
Il metodo falso e calunniatore di Solano cerca anche di toccare la grande e nobile figura di Sokol’nikov, stravolgendo quello che lo storico antistalinista Roj Medvedev scrisse già negli anni Settanta.
In primis ricordiamo chi era Sokol'nikov. Bolscevico dal 1905, a diciassette anni partecipò come responsabile degli studenti del partito alla rivoluzione e all’insurrezione di Mosca. Deportato in Siberia, evade e raggiunge Lenin in esilio. Rientra con lui in Russia nel famoso “vagone piombato”. Sostiene Lenin contro tutti i suoi avversari nel partito. È membro del CC e dell’Ufficio Politico della rivoluzione, e degli stessi organismi dopo la rivoluzione. Dirige una delle armate dell’Armata Rossa. Poi, nel 1922, diviene commissario del popolo all’economia. Nel 1925 si schiera con l’opposizione zinovievista, per cui viene escluso dall’Ufficio Politico e dal governo. Nel 1926 è tra i dirigenti dell’Opposizione Unificata, ma se ne allontana prima dell'espulsione della fine del 1927. Ad ogni modo viene allontanato, e per anni è ambasciatore dell’URSS in Gran Bretagna. Arrestato nel 1936, è processato insieme ad altri grandi dirigenti bolscevichi nel gennaio del 1937. È l’unico a non essere condannato a morte, ma a dieci anni di prigione. Ma nel 1939 è ucciso in prigione da un sedicente compagno di prigionia. In realtà è un agente del NKVD, che sarà promosso ad incarichi dirigenti per questa azione. L’ordine veniva da Stalin e Berija, perché informati che Sokol'nikov spiegava ai suoi compagni di prigionia che il suo processo era stato un falso totale.
L’ineffabile Solano lo presenta come qualcuno che creava provocazioni contro gli stalinisti. Non è così. La frase che trae – tagliandola – da Medvedev sarebbe stata pronunciata da Sokol'nikov in prigione, rivolta ad un altro prigioniero politico. Sicuro che le pressioni e le torture (torneremo su questa questione della tortura) degli sgherri stalinisti li avrebbero costretti a denunciare qualcuno, invita il suo compagno a seguire per quanto possibile il metodo di denunciare coloro che stavano appoggiando Stalin, e conclude: «trascinate giù con voi la maggior quantità di gente malvagia che vi riesce e proteggete i giusti». Grande Sokol'nikov. Queste parole di grande eticità ben riflettono il carattere del vecchio compagno di Lenin, conosciuto per la sua moralità, simpatia e gentilezza, sempre però subordinate alle a volte durissime esigenze della rivoluzione, in particolare nella guerra civile. E ancora fino all’ultimo cerca di salvare i veri bolscevichi («i giusti») e combattere i nuovi controrivoluzionari burocratici («i malvagi»).
LE TORTURE UNA LEGGENDA?
Veniamo alla questione della tortura, a cui il calunniatore dedica addirittura un capitolo intitolato Le “torture staliniane”: un’aberrante leggenda.
Ora, nel mondo esistono persone che negano l’esistenza delle camere a gas nei lager nazisti (a volte purtroppo anche all’estrema sinistra, come qualche ultrabordighista); altri che sostengono che la Terra è piatta. I primi sono degli infami, i secondi dei fuori di testa. Non sappiamo se Solano, con la sua inverosimile e questa sì aberrante affermazione, voglia iscriversi tra i primi o tra i secondi. Forse, più probabilmente, in un bel mix dei due.
Centinaia di testimonianze di sopravvissuti o di testimoni tra le stesse guardie, gli stessi verbali degli interrogatori, gli ordini segreti di Stalin e del suo Ufficio Politico, conosciuti da decenni, tutto questo non ha importanza per il nostro calunniatore.
Gli basta indicare che una delle vittime italiane sopravvissute al terrore stalinista, il “redivivo tiburtino” Corneli, non sia stato torturato e che lo stesso egli possa affermare per Bucharin, per argomentare che la tortura non esisteva. Metodologicamente come i negazionisti del genocidio degli ebrei, rom, etc. utilizzano ad esempio il fatto che forse le camere a gas non esistevano a Dachau (che era in realtà un piccolo campo, prevalentemente per politici, vicino a Monaco di Baviera) per negare la realtà orribile dei milioni di morti gasati di Auschwitz, Mauthausen o Sobibór.
Certo, non tutti gli inquisiti erano torturati. Una minoranza, che non era importante o che accettava subito di confessare le incredibili colpe e denunciare altri innocenti, come chiedevano gli inquisitori (proprio per evitare i tormenti che li avrebbero attesi e sperare di essere nella minoranza che “se la cavava” con i campi in Siberia o oltre il circolo polare), non veniva torturata.
Lo stesso Solano cita il caso di Robotti, il cognato di Togliatti, che fu arrestato nel 1938, si salvò e rimase togliattiano e stalinista malgrado tutto. Robotti, come racconta nel suo libro La prova, venne a lungo torturato perché confessasse che i dirigenti del PCI gli avevano assegnato compiti controrivoluzionari. Robotti riuscì a resistere e questo salvò la sua pelle e, con ogni probabilità, quella dello stesso Togliatti.
Rimettiamo ordine nella questione. La tortura venne ufficializzata come mezzo di investigazione dal 1937 con una risoluzione dell’Ufficio Politico, e fu da allora larghissimamente usata. Questo non significa che non fossa stata usata nell’anno precedente e all’inizio del 1937. Lo stesso Solano cita, come se fosse una barzelletta, il fatto che venga indicato che un inquisito del 1940 (quando la fase peggiore dello sterminio dei bolscevichi era passata, anche per riduzione drastica delle possibili vittime) fosse interrogato di notte. E in effetti questo è il tipo di tortura che prevaleva prima del 1937, e che venne usata in qualche caso anche dopo. Gli inquisiti erano risvegliati dopo un brevissimo tempo di sonno e interrogati duramente per tutta la notte, a volta senza potersi sedere. Non potevano dormire di giorno, e questi interrogatori durante tutta la notte e altri analoghi metodi senza spargimento di sangue li sfiancavano.
"Non è tortura" potrebbe obbiettare Solano o qualche suo sostenitore. Bene, allora ha avuto ragione la CIA, che quando è stata accusata per le torture dopo l’11 settembre ha risposto che ciò che faceva non lo era, perché non c’era sangue, riprendendo in realtà la posizione dell’Inquisizione (perché non c’era, a suo dire, tortura “sine sanguine”).
Per capire cosa significassero queste torture basta guardare il volto di Zinoviev nelle foto segnaletiche della sua prigionia. È il volto distrutto dell’uomo che era stato, su proposta di Lenin, il primo presidente dell'Internazionale Comunista, dal 1919 al 1926.
Tuttavia, oltre a questa forma di tortura, nei primi tempi del grande terrore erano due gli elementi che spingevano alle confessioni. In primis, almeno per alcuni, la speranza di aver salva la vita. Si sa che Stalin, nella sua malvagità, aveva promesso a Zinoviev e Kamenev che la loro condanna a morte non sarebbe stata applicata, e invece lo fu immediatamente. Poi, e soprattutto, la speranza di salvare dalla repressione la famiglia, che veniva apertamente minacciata dagli inquisitori. Quasi tutti i familiari (e a volte anche gli amici) subivano la vendetta del tiranno. Alcuni erano uccisi, altri imprigionati, altri inviati nei gulag, alcuni solo esiliati. E, almeno per i grandi dirigenti bolscevichi assassinati, questo veniva deciso da Stalin in persona, a volte con la controfirma di Molotov. Questa questione rimase presente fino alla fine dei grandi processi, e si ripresentò nel dopoguerra, quando Stalin fece assassinare dopo processi farsa la quasi totalità dei dirigenti dei partiti comunisti dell’Europa centro-orientale (Stati operai burocraticamente deformati) che avevano partecipato alla guerra civile in Spagna, temendo che potessero diventare dei nuovi Tito. (A proposito: è d’accordo il nostro calunniatore stalinista con la definizione di Tito data dal “Padre dei popoli” come trotskofascista?).
Dalla metà del 1937 si passa invece alla tortura col sangue, e qui la maggioranza, dopo settimane e a volte mesi, cedeva.
Ma del resto come può una persona non in malafede o accecato da una fede distorta e assurda credere alla validità di processi in cui gli imputati non avevano avvocati e confessavano tutti senza eccezioni ogni cosa (salvo un breve tentativo rientrato dell’ex membro dell’Ufficio Politico e del segretariato del partito Krestinskij, le reticenze di Smirnov e alcune battute criptiche di Radek e Bucharin [“la confessione è un metodo di prova medievale”]), compreso essere da anni o da decenni agenti dei servizi segreti tedeschi, britannici o giapponesi?
Mai visto, in un mondo in cui anche i peggiori criminali cercano di difendersi o almeno di trovare delle attenuanti (ricordiamo anche che quelli che non si piegavano semplicemente non venivano processati ma fucilati in segreto, come capitò a Preobraženskij, già della segreteria del partito, insieme a Krestinskij e Serebryakov, anche quest’ultimo fucilato).
Quanto all'accusa, non è senza senso che Stalin l’abbia affidata a Andrej Vyšinskij. Chi era dunque Vyšinskij? Era un ex dirigente menscevico, nel 1917 sostenitore di Kerenskij e oppositore della rivoluzione d'ottobre. Come procuratore della repubblica democratica borghese, fu lui che nell’agosto del ’17 spiccò un mandato di cattura contro... Lenin, con l’accusa di essere... un agente tedesco. Visto come si mise la guerra civile, sfruttando una vecchia amicizia con Stalin (erano stati in prigione insieme nel 1909), si dichiarò pentito e fu accolto – come altri menscevichi, che appoggiarono poi tutti Stalin – nel partito bolscevico.
Possiamo pensare come questo essere, che appariva infame persino ad alcuni suoi capi, come Molotov, godesse nel suo intimo, avendo fallito nel processare Lenin sotto false e incredibili accuse, per la possibilità di farlo ancora, questa volta contro tutti i principali compagni e collaboratori di Lenin, con analoghe calunnie e senza nemmeno che essi si potessero difendere.
Che differenza con la politica dei bolscevichi all’epoca di Lenin!
Nel 1922 si realizzò a Mosca il processo dei dirigenti arrestati del Partito Socialista Rivoluzionario (maggioranza). Partecipi del governo Kerenskij, dopo la rivoluzione d’ottobre avevano organizzato la guerra civile contro il governo operaio, partecipato ai governi bianchi e anche – secondo la tradizione SR contro la zarismo – sviluppato azioni terroriste (contro i dirigenti bolscevichi; in un caso anche facendo saltare in aria la sede di Mosca del Partito Comunista, con decine di morti). Gli imputati avevano tutti degli avvocati, molti dei quali dell'estero, inviati dall’Internazionale socialista di cui facevano parte, compreso il segretario della Internazionale stessa, il belga Vandervelde.
Ad ogni modo, gli SR decisero di fare le arringhe difensive da soli. Difesero le loro insurrezioni contro il regime, accusando i bolscevichi di aver instaurato una dittatura antidemocratica; negarono invece di aver organizzato il terrorismo. (Tutte le loro affermazioni difensive, come il resto del processo, venivano riportate sulla stampa sovietica.)
Come procuratore per l’accusa non c’era un infame di second'ordine come Vyšinskij, ma uno dei principali dirigenti del partito, Pjatakov. Egli accusò gli SR di aver tradito gli operai e i contadini, alleandosi contro la loro rivoluzione con quegli stessi generali reazionari e zaristi che avevano combattuto nella loro gioventù, e dimostrò che c’erano le prove della loro grave azione terrorista (prove tanto evidenti che nessuno storico serio, di ogni colore politico, ha potuto poi mettere in questione).
Dei 34 imputati, 14 furono condannati a morte, alcun assolti, altri condannati a varie pene di prigione. Ma le condanne a morte furono sospese, con la clausola che sarebbero state applicate solo se gli SR ancora attivi nel paese avessero ripreso l’azione terroristica. Ciò non avvenne, e dopo meno di due anni, alla fine del 1923, tutti gli SR furono amnistiati, alla sola condizione di giurare sul loro onore di non riprendere ad organizzare azioni violente e terroriste contro il regime proletario, giuramento cui furono fedeli (il che non impedì a Stalin di farli arrestare di nuovo nel 1930 e fucilare nel 1939).
L’AMPIEZZA DEL MASSACRO PER DISTRUGGERE IL PARTITO BOLSCEVICO
Nel cercare di trovare alleati per le sue calunnie, Solano cita un’ambigua frase di Nenni risalente all’epoca dei processi. Non pensiamo che il riformista Nenni, che fu sempre un avversario del marxismo rivoluzionario (prima come repubblicano e interventista, poi brevemente come fascista, poi come socialista che impedì, con la destra del PSI massimalista, la riunificazione col PCd’I nel 1923, sconfiggendo Serrati) possa essere un elemento di riferimento. Nell’ambito dei fronti popolari del 1936-'39, e vista la nuova politica controrivoluzionaria del PCI che veniva a ricongiungersi con quella del PSI, Nenni era un sostenitore della più stretta alleanza tra i due partiti, e determinava le sue dichiarazioni su queste basi. Ma se vogliamo usare quello che scrissero dirigenti socialisti, credo che si possa citare da una lettera – peraltro politicamente assolutamente antitrotskista – la domanda chiave che pose uno di essi, Giuseppe Faravelli, che scrisse: «Se la consorteria trotskista è quella masnada di individui delinquenti e perversi che i comunisti [stalinisti ndr] pretendono di far credere, non vedono costoro quale luce terribile riverberano sulla rivoluzione stessa?»
Qui sta il punto. Allora, anche nel 1939, non si aveva ancora il senso pieno della enormità della repressione stalinista. Al di là di cifre fantasiose a volte avanzate, insieme agli storici marxisti più seri e documentati, anche sulla base degli archivi aperti dopo il 1991, si può calcolare che Stalin e i suoi complici minori fecero uccidere circa quattrocentomila comunisti. Di questi, circa trentamila erano trotskisti veri, vecchi e giovani; ancora meno erano i buchariniani o gli zinovievisti, visto che essi, a differenza dei primi, organizzati nei campi, erano del tutto non organizzati. La grande maggioranza non erano attivi oppositori. Una parte minore era composta da ex oppositori o votanti per le piattaforme di opposizione degli anni ’20, che però avevano cessato ogni azione reale di contrasto alla nuova burocrazia dominante, nella quale alcuni si erano nei fatti inseriti.
Ma la maggioranza era costituita da sostenitori delle posizioni dominanti nel partito, ma considerati “inaffidabili” perché critici su questa o quell’altra questione o oppositori del satrapo stalinista di una regione o di una città. Oppure capri espiatori di fallimenti economici della linea economica o industriale del partito. Oppure ostili ai massacri, o troppo poco combattivi nella lotta contro “il trotskismo”.
Ma la colpa peggiore era quella di essere stati un quadro bolscevico della rivoluzione e/o della guerra civile, perché allevato nello spirito libero del vero centralismo democratico, con il suo confronto aperto di posizioni, e rimasto legato, sia pure contraddittoriamente, ai grandi ideali e principi di quegli anni lontani.
È in questo modo che si può ritenere che Stalin fece uccidere circa l’ottanta per cento dei quadri e attivisti della rivoluzione. E anche tra i restanti, molti furono perseguitati (a volte con molti anni di campo di concentramento) o minacciati costantemente. Solo una piccola parte, in particolare dei quadri dirigenti che erano stati vicini a Stalin nella guerra civile o in altri momenti chiave (Molotov, Budënnyj, Vorošilov, Kaganovic, Mikojan, etc.), si salvarono. E anche loro, pur essendo in alcuni casi complici infami del Vozd (capo), come Molotov, erano sempre tenuti sono controllo (le mogli di Molotov, Budënnyj, dell’innocuo Kalinin, e un figlio di Mikojan furono imprigionati).
Se queste cifre sembrano esagerate a qualcuno, basta vedere alcuni dati di fatto centrali incontrovertibili.
Abbiamo già detto che dei sei principali dirigenti citati da Lenin nel suo testamento, cinque – cioè tutti salvo lui – furono fatti uccidere da Stalin, così come i tre del segretariato collettivo del partito del 1919-1921.
Il Comitato Centrale del Partito Bolscevico eletto nell’agosto 1917 comprendeva (con i supplenti) 28 persone. Otto di essi morirono prima degli anni ’30. Degli altri venti, sedici (quindi l’80%) furono vittime di Stalin. Solo quattro, tra cui ovviamente Stalin, sopravvissero. Una di loro, Elena Stassova, vecchia bolscevica dal 1903, scampata per uno strano capriccio di Stalin alla repressione (secondo il diario di Dimitrov, pubblicato postumo, Stalin pensò di farla arrestare ma alla fine non si decise a farlo), nel XXII congresso del PCUS (1961) si distinse per un durissimo attacco a Stalin e ai suoi crimini.
Il CC del 1917 elesse un Ufficio Politico di sette componenti: uno era Lenin, un altro Stalin, tutti gli altri cinque (Trotsky, Zinoviev, Kamenev, Sokol'nikov, Bubnov) furono fatti uccidere da Stalin.
Il primo governo sovietico subito dopo la rivoluzione, integralmente bolscevico, comprendeva quattordici componenti. Uno era Lenin, presidente. Stalin era al commissariato alle nazionalità. Tutti gli altri dodici, nessuno escluso, furono fatti uccidere da Stalin nelle purghe (Trotsky all’estero).
Nell’Internazionale dei primi congressi, i principali dirigenti dei diversi partiti comunisti firmavano il Manifesto del congresso al proletariato mondiale. I nomi del partito russo? Lenin, Trotsky, Zinoviev, Radek, Bucharin. Tutti, salvo ovviamente Lenin, vittime di Stalin.
Potremmo continuare ad infinitum, con il Comitato Centrale del 1918, 1919, 1920...; i vari Uffici Politici, il secondo governo bolscevico (di coalizione con gli SR di sinistra), il terzo, etc. Potremmo continuare anche con molti comunisti stranieri rifugiati in URSS, tra cui Bela Kun, il leader della rivoluzione ungherese dei consigli nel 1919, e lo svizzero Fritz Platten, compagno della lotta di Lenin contro la capitolazione della Seconda Internazionale già del 1914, quando era segretario del Partito Socialista Svizzero.
Ma, come detto prima, persino i sostenitori di Stalin, o almeno quelli che accettavano obtorto collo il suo dominio, subirono la sua violenza.
All’inizio del 1934 si svolse quello che venne chiamato “il congresso dei vincitori”. Dopo gli anni difficili della collettivizzane forzata e dell’inizio dei piani quinquennali, con i loro disastri economici e sociali, era giunta una stabilizzazione. I dirigenti delle vecchie opposizioni che si erano adeguati, e formalmente pentiti, erano stati riammessi nel partito. La maggioranza burocratica si era consolidata. In un certo senso, e fino ad un certo punto, il consolidamento del dominio burocratico si era realizzato. Stalin era osannato, e tutti pensavano che i tempi più drammatici fossero finiti. Non avevano fatto il conto con le paranoie complottiste di Stalin e la sua capacità di circondarsi di vigliacchi o di infami come Vyšinskij e Berija. Nel segreto dell’urna, duecento circa dei 1200 delegati votarono contro Stalin nel Comitato Centrale. La vendetta del tiranno colpì largamente, e non solo gli ex oppositori, che erano una minoranza dei delegati. Così quasi i due terzi dei delegati e invitati al congresso (oltre mille) furono uccisi nelle purghe degli anni successivi, tra cui 98 dei 139 membri del Comitato Centrale. Ancora più impressionante il dato sulla percentuale dei delegati che sono entrati nel partito prima della rivoluzione, o durante la guerra civile. Al congresso del 1934 sono il 75%; a quello successivo sono scesi all’8,1%. Il bolscevismo è stato semplicemente distrutto.
Nelle forze armate furono fucilati tre dei cinque marescialli (i superstiti erano Budënnyj e Vorošilov), quindici dei sedici comandanti di armata, sessanta dei sessantasette comandanti di corpo d’armata e tutti i diciassette ammiragli. Inoltre quarantamila ufficiali vennero sostituiti da centomila nuove reclute: stalinisti convinti, in generale, ma ovviamente senza la preparazione dei vecchi quadri reduci della guerra civile. Cosa che emerse e fu visibile nella fallimentare guerra contro la piccola Finlandia nel 1939/'40 e nel disastroso inizio della guerra contro la Germania. Fortunatamente si salvò, per un caso della storia, un genio militare come Žukov, il vero vincitore della guerra. Nelle sue memorie, oltre a condannare senza alcuna titubanza Stalin e il suo dispotismo, rivendicò di essere stato solo un allievo di Tuchacevskij e del suo secondo Uborevich (anche lui condannato come complottatore trotskista ed agente dei... tedeschi).
Basta, del resto, leggere un qualsiasi libro di storia della rivoluzione e della guerra civile (ad eccezione del Breve corso staliniano e derivati) per sapere i nomi dei dirigenti ed eroi di questi eventi.
La rivoluzione era nel mondo “la rivoluzione di Lenin e Trotsky”. Del secondo è proprio Stalin che sulla Pravda fa il panegirico come principale organizzatore della rivoluzione, nel primo anniversario dell'Ottobre.
E nella guerra civile risaltano i nomi di Trotsky, il comandante dell’esercito rosso; di Tuchacevskij, il migliore comandante rosso; di Raskolnikov, un intellettuale che diventa il dirigente e riferimento dei marinai del Baltico, poi sconfigge i cecoslovacchi nell’ora più difficile della guerra civile; di Ivan Smirnov, il “Lenin di Siberia", che riconquistò insieme a Tuchacevskij questo immenso territorio sconfiggendo gli eserciti bianchi; di Antonov-Ovseenko, il comandante delle operazioni militari a Pietrogrado il 7 novembre con la presa del Palazzo d’inverno; di Muralov, comandante dell’insurrezione rivoluzionaria a Mosca; di Sokol'nikov, che sapeva passare dal dirigere una armata in lotta a scrivere dotti trattarti di economia. E potremmo continuare con centinaia di nomi solo per quanto riguarda i dirigenti chiave sul piano militare (senza aggiungere i grandi dirigenti che a partire da Lenin si occuparono non di questo ma della gestione del nuovo Stato operaio).
Tutti nomi le cui biografie si concludono con l’indicazione della morte nel 1936, nel 1937, nel 1938 (per Trotsky e pochi altri e altre nel 1940 e 1941).
Certo, c’erano anche Stalin e i suoi accoliti Vorošilov e Budënnyj. A differenza degli stalinisti, noi non cancelliamo la storia né la falsifichiamo. Il loro ruolo fu importante nel 1918 nella difesa contro i bianchi della città di Tsaritsyn (la futura Stalingrado) e in qualche altro episodio, ma si trattava di tre persone su molte decine, se non un centinaio, di dirigenti militari del loro stesso livello o superiore, che vennero uccisi nelle purghe.
La cosa evidente a chi non sia un folle o un disonesto totale è che Stalin, per conto della nuova casta burocratica dominante, ma con una estremizzazione parossistica propria, distrusse il vecchio partito bolscevico, non solo politicamente ma fisicamente, e sulla base di un genocidio politico costruì un nuovo partito, del tutto diverso e opposto al primo.
In questo senso chi difende lo stalinismo si pone, ne sia cosciente o meno, sul terreno dell’antibolscevismo. E poiché la rivoluzione russa è l’espressione realizzata dell’inizio della realizzazione del comunismo – quello insegnato al movimento operaio in primis da Marx, Engels, Rosa Luxemburg e dallo stesso Lenin, si pone sul terreno dell’anticomunismo.
Lo stalinismo mondiale ha completato il suo ruolo controrivoluzionario restaurando il capitalismo negli ex Stati operai burocraticamente degenerati e deformati.
Come scrisse Trotsky nel Programma di transizione del 1938: «Il pronostico politico ha un carattere alternativo: o la burocrazia, diventando sempre di più l’organo della borghesia mondiale nello Stato operaio, distrugge le nuove forme di proprietà e respinge il paese nel capitalismo, o la classe operaia schiaccia la burocrazia e si apre una via verso il socialismo».
Sia pure in tempi più lunghi di quanto pensasse Trotsky, è il primo corno dell’alternativa che si è purtroppo realizzato.
Questo, astrattamente, dovrebbe aver posto termine all'influenza ideologica dello stalinismo nel movimento operaio. Ma ciò purtroppo non è vero. Alla destra di esso esistono dei settori che vedono un punto di riferimento in regimi capitalisti o addirittura imperialisti (Cina), in cui i resti economici dello Stato operaio (settori economici statali sempre più ridotti) e soprattutto il totalitarismo politico reazionario appaiono a dei veri e propri controrivoluzionari conquiste progressive.
Poi c’è chi, senza giungere agli estremi di stalinismo ideologico dei primi, esprime una politica riformista di sinistra, nei fatti di matrice stalinista (in Italia nella versione togliattiana).
Infine, a sinistra, vi sono dei settori, a volte giovanili, che – specie in paesi in cui, anche per colpa dei revisionisti del trotskismo, questo è stato storicamente particolarmente debole, come l’Italia – riflettono, per ignoranza, mancato approfondimento storico e teorico, o anche sostituzione di una religione abbandonata con un'altra religione laica ma ugualmente falsa, il mito dello Stalin “nemico dei padroni, dei fascisti e dei falsi comunisti”. Il mito dell’"ha da’ veni' baffone”, che come tutti i miti è difficile da sconfiggere.
Il nostro compito, come marxisti rivoluzionari, come leninisti, come continuatori della tradizione della grande rivoluzione russa, è ancora oggi di «spiegare pazientemente» – come diceva Lenin – l’equivoco ai migliori di coloro che, a volte in modo molto contraddittorio con le loro aspirazioni rivoluzionarie, si richiamano allo stalinismo. Tra questi non rientra certo il falsificatore Concetto Solano, ma combattere le sue calunnie antibolsceviche è parte di questa battaglia. Che è a sua volta compito centrale nella nostra lotta per dotare la classe di una nuova direzione rivoluzionaria, che la porti al trionfo in una futura, vicina o lontana, rivoluzione. Rivoluzione in cui certamente potremo dire ai resti dello stalinismo quello che Trotsky disse a riformisti e centristi durante il congresso dei soviet il 7 novembre 1917: «Via, al vostro posto, nella pattumiera della storia!».
Bibliografia essenziale
Edward H. Carr, La rivoluzione bolscevica, Einaudi
Pierre Broué, Storia del Partito Comunista dell’URSS, Sugar
Moshe Lewin, L’ultima battaglia di Lenin, Laterza
Jean-Jacques Marie, Staline, Fayard
Georges Haupt, Jean-Jacques Marie (a cura di), Les bolcheviks par eux-mêmes, Les Bons Caractères
Roj A. Medvedev, Lo stalinismo, Mondadori
Simon Sebag Montefiore, Gli uomini di Stalin, Rizzoli
Oleg Khlevniouk, Le cercle du Kremlin, Seuil
Paolo Spriano, Storia del Partito Comunista Italiano (vol. 3), Einaudi
Franco Andreucci, Tommaso Detti (a cura di), Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, Editori Riuniti
Lev Trotsky, Programma di transizione
Assalto al cielo. Documenti e manifesti dei Congressi dell’Internazionale comunista, Giovane Talpa
Central Committee elected by the 6th Congress of the Russian Social Democratic Labour Party (Bolsheviks), in Wikipedia
Lenin's First and Second Government, in Wikipedia