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Lotta di classe e pandemia di Spagnola

16 Maggio 2020
pignone

Occupazione della fonderia Pignone, 1919. La pandemia non fermò né rallentò le lotte


Nessun governo della borghesia ha l’interesse a contare i morti delle sue crisi: ogni deceduto è un'accusa al sistema irrazionale basato sul profitto. In tempi normali la salute e la sicurezza sul posto di lavoro, per i capitalisti, diventano degli orpelli fastidiosi. Ma nelle crisi reali come le pandemie o le guerre, questo diventa ancora più evidente. La conta dei morti è un fattore pericoloso che va ad incidere direttamente sui meccanismi del consenso, e li sgretola come castelli di sabbia. È stato dimostrato che durante la pandemia di Covid-19 in tutto il pianeta i decessi sono stati superiori a quelli ufficiali almeno, in media, del 50%. Nella sola provincia di Bergamo alcuni studi addirittura parlano del 460% in più rispetto alla media, a New York del 200%, a Madrid del 160%.

Tutto questo però ha un precedente storico: la pandemia di influenza "spagnola".
Tra il 1918 e il 1919 scoppia una devastante pandemia. Alcune stime parlano di 50 milioni di vittime provocate dal virus, altre di decine di milioni di morti in più, su una popolazione mondiale complessiva di due miliardi di persone. L'influenza era nata da un ceppo del virus della polmonite atipica H1N1. "Spagnola" fu la definizione coniata, per le false notizie – oggi le definiremmo fake news – sull'origine in Spagna del morbo. La posizione neutrale della Spagna durante la prima guerra mondiale lasciava più aperti i suoi canali di informazione di massa. Viceversa, i paesi coinvolti nel conflitto erano stretti nella censura di guerra. Quando la pandemia scoppiò, tra l’estate e l’autunno del 1918, le informazioni su di essa arrivavano quasi solamente dalla Spagna. La realtà fu ben diversa.
Il primo conflitto mondiale aggravò la diffusione della pandemia, la cui origine resta ancora oggi indefinita.

Anche in Italia i comportamenti di massa seguirono l’informazione di regime, che aveva tutto l’interesse a minimizzare o addirittura a nascondere la realtà. La difesa del consenso alla fine del conflitto mondiale era la priorità assoluta.
Anche la mancanza di una stima reale della situazione portò il governo della borghesia a non adottare la necessaria strategia sanitaria per contenere la pandemia, e a nascondere la gravità della situazione. L’informazione nazionale intrisa di spirito nazionalistico e patriottico, e l'azione della Chiesa cattolica, furono un valido appoggio alla mistificazione di regime. Addirittura si diffusero diverse notizie complottistiche contro la Germania, vista come responsabile dell'origine di un’arma virale creata in laboratorio. A livello popolare si innescarono voci di ogni genere contro la scienza, e la medicina in particolare. Vennero pubblicizzate anche tramite i giornali dell’epoca cure fantasiose, come il consumo smodato di tabacco o l’alcol.

Della pandemia del 1918-'19 non ci sono molti riscontri approfonditi nei libri di storia, né giorni della memoria. Ma i ricordi trasmessi, anche solo orali, tra le generazioni successive descrivono una vera catastrofe umanitaria.
Il rapporto con la morte in una popolazione già fortemente provata dalla guerra cambiò anche culturalmente i modi vivere, le usanze e i rapporti interpersonali.

I decessi erano brutali; colpivano i più giovani, che morivano per soffocamento polmonare. Molti soldati reduci dal conflitto mondiale descrivevano quello che vedevano come ben peggiore di quello che avevano provato in prima linea in guerra. I pellegrinaggi funebri verso i cimiteri vennero paragonati ai percorsi delle formiche. Il governo Orlando dovette dare una stretta all’informazione dei giornali e vietare il libero accesso ai cimiteri e i cortei funebri. I funerali furono concessi solo in forma strettamente privata e in orari particolari.

Il giornale socialista La Squilla, di Bologna, scrive nel gennaio 1919: «Censura / Morti in guerra: 462.740 / Feriti: 987.340 / Invalidi e mutilati: 500.000 / Non c’è la statistica dei morti di spagnola, perché la “maledetta” continua ad ammazzare! / Dopo il cannone, lei ci voleva! / Ma da che mondo è mondo la peste andò sempre dietro la guerra / È storia; è anche nella Bibbia!».

Non esiste una statistica ufficiale sulle morti di Spagnola in Italia. Le stime parlano di diverse centinaia di migliaia di vittime. Nelle fabbriche tutto sembra continuare come sempre, tra censura e tentativi di lasciarsi alle spalle gli orrori della guerra. Ma le testimonianze verbali corrono comunque in tutto il paese, e la pandemia si inserisce dentro la lotta di classe alla vigilia del biennio rosso, costellato di conflitti sociali e politici.

Anna Kuliscioff scrive a Filippo Turati, il 12 ottobre 1918:
«Qui l’epidemia è in aumento continuo, a Desio infierisce non meno che a Milano; basta vedere le tre colonne dei morti della gente per bene nel Corriere per persuadersi qual è la mortalità nei quartieri popolari. Non si sa più dove mettere i bambini orfani di madri ed i cui padri sono al fronte. È un problema trovare ora dei medici. Tutti sono sopraffatti dal lavoro e in fondo nessuno è curato a dovere. Forse anche la grande mortalità è dovuta alla scarsa assistenza sanitaria».

Le immagini dell’epoca riportano il diverso approccio tra la classe borghese e piccolo-borghese e quella lavoratrice: famiglie borghesi ben vestite e molto attente all’uso delle mascherine, operai in lotta nei cortei o nelle fabbriche senza alcuna protezione sanitaria.

Malgrado la feroce pandemia, la lotta di classe non si ferma.

In tutto il pianeta il dramma del primo conflitto mondiale e lo stretto rapporto umano con la morte causata dalla guerra vennero messi sullo stesso livello della malattia e delle sue conseguenze, contribuendo a sbiadirne la memoria storica ufficiale. Ma il rapporto tra le classi e il loro conflitto, la crisi del capitalismo, le fasi ricorrenti di strappi della storia hanno lasciato comunque la testimonianza indelebile che la causa di fondo della delle stragi provocate dalla pandemia e dalle guerre è unicamente da attribuire alla barbarie del capitalismo.
I rivoluzionari di un secolo fa non ebbero però alcun timore reverenziale verso la pandemia, che restò all’interno di una dimensione personale. Per loro lottare contro il capitalismo significava rovesciare tutto e cancellare gli orrori provocati dalla classe dominante. La pandemia era all’interno di questo concetto.


SE OTTO ORE VI SEMBRAN POCHE, PROVATE VOI A LAVORAR...

All’inizio del 1919 il paese si trova ad affrontare una crisi senza precedenti, provocata dalle conseguenze del conflitto mondiale in un clima di trasformazione della produzione industriale, in riconversione da economia di guerra nella ripresa del tempo di pace. Ma la spinta delle lotte operaie mette in discussione perfino l’organizzazione del lavoro, con la rivendicazione di un nuovo orario di lavoro settimanale.
L'accordo per le 48 ore viene stipulato il 20 febbraio 1919, in piena pandemia, fra la Federazione degli industriali metallurgici e la FIOM. Venne accolta la storica rivendicazione del movimento operaio della giornata lavorativa di otto ore in tre turni.
Ma le lotte, in piena esplosione di massa del contagio, non ebbero freni e sfociarono in continui scioperi generali tra le città e le campagne, per evolversi nelle occupazioni delle fabbriche nel 1920.
In tutta Europa la dinamica fu identica. Basterebbe ricordare quello che stava avvenendo in Russia e l’impegno dell’Armata rossa nel respingere i tentativi controrivoluzionari dei bianchi, nello stesso 1919, in una situazione difficile per la popolazione, colpita dalla pandemia.
Non solo. I rivoluzionari riuscirono ad organizzare quello che nel marzo del 1919 fu il primo congresso dell’Internazionale Comunista. Disgraziatamente, nello stesso mese dello stesso anno la pandemia uccise Jakov Sverdlov, uno dei massimi dirigenti del Partito Comunista bolscevico. Ma il sistema sanitario sovietico fu il primo modello al mondo di copertura sanitaria universale e gratuita.

La Germania, uscita sconfitta dalla guerra, fu colpita pesantemente dalla pandemia tra il 1918 e il 1919. Ma l'ondata rivoluzionaria non si fermò nemmeno lì. Fra il 4 ed il 6 gennaio 1919 diverse organizzazioni, tra le quali la Lega Spartaco di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, lanciarono a Berlino l’insurrezione dei consigli operai nella Ruhr e ad Essen, dove vennero deliberate le socializzazioni delle industrie carbonifere. Il tentativo venne represso duramente e terminò con l’arresto e l’uccisione di Rosa e Karl.

Non solo in Europa, ma anche dall’altra parte dell’oceano la spinta della lotta di classe non venne scalfita minimamente dalla pandemia. Negli Stati Uniti, a cavallo del 1918 e il 1919, morirono circa settecentomila persone. Ma nel 1919 scioperarono quattro milioni di operai, cioè un quinto della forza lavoro, una proporzione mai eguagliata. Perfino i cantieri navali di Seattle furono bloccati da uno sciopero generale che coinvolse tutta la città, e che durò settimane. Trecentomila lavoratori si mobilitarono nel primo sciopero nazionale dell’acciaio, fermando le più grandi aziende del paese. Scioperarono circa quattrocentomila lavoratori delle miniere di carbone, sfidando persino le disposizioni del presidente Woodrow Wilson e le ingiunzioni del tribunale federale.

La pandemia, con le sue decine di milioni di morti, colpì alla fine del conflitto gli strati più poveri della popolazione mondiale. Accentuò in modo indelebile le differenze tra le classi ma non fermò il conflitto tra di esse, anzi forse dette ancora più ossigeno al fuoco rivoluzionario e alla coscienza di classe.
La vita e la morte assumevano coscientemente un valore diverso. Un valore di classe, il motivo valido della stessa lotta di classe. Ne era ben consapevole Antonio Gramsci, che in un polemico articolo su l’Avanti contro la propaganda borghese, il 4 aprile 1919 si esprime così:
«Cosa sono i venti milioni di morti per grippe o febbre spagnola, o peste polmonare, ossia peste di guerra, determinata e propagata e coltivata dalle condizioni create e lasciate dalla guerra? Cosa sono le migliaia e migliaia di creature umane che muoiono quotidianamente di fame, di scorbuto, di assideramento in Romania, in Boemia, in Armenia, in India, per accennare solo a paesi amici dell'Intesa? Cosa sono gli ottanta miliardi di deficit del bilancio Italiano, i centoventi miliardi del bilancio francese, i duemila miliardi di danni determinati dalla guerra? Cosa sono stati i cinquecentomila russi sterminati dal governo zarista nella repressione dei Soviet del 1905? Cosa farebbero i venti milioni di russi che verrebbero sterminati se trionfasse la controrivoluzione dei generali Krasnof, Denikin e Kolciak, gli amici dell'Intesa che fanno impiccare ed esporre per tre giorni un operaio su dieci dei paesi che riescono a riconquistare, gli amici dell'Intesa che spediscono a Pietrogrado vagoni piombati di soldati soviettisti tagliati a pezzettini?».

Anche oggi, in un’altra fase storica, la pandemia di Covid-19 mostra chiaramente la differenza tra le classi e il differente valore morale attribuito alla vita e della morte. Li mostra attraverso le lotte in difesa del diritto alla salute dei lavoratori contro il profitto ad ogni costo, attraverso le lotte per l’accesso alle cure mediche per tutti come diritto inalienabile.
Solo un progetto rivoluzionario per il socialismo può dare valore alla vita contro gli orrori del capitalismo. La barbarie delle sofferenze dei più deboli e delle morti per pandemia ha come unico responsabile il capitalismo. Torneremo nelle strade, nelle fabbriche e nei quartieri a gridarlo con forza. La lotta di classe non si ferma.

Ruggero Rognoni
seattle

Sciopero generale a Seattle, in piena pandemia

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