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Pioggia di miliardi per i capitalisti, elemosine per i lavoratori

14 Maggio 2020

Con il decreto rilancio Confindustria va di nuovo all'incasso

decreto rilancio


«Con il Presidente di Confindustria Carlo Bonomi ci siamo confrontati spesso». Le parole del ministro Patuanelli danno la chiave di lettura del "decreto rilancio", un decreto scritto in larga misura da Confindustria. Per le imprese una pioggia di miliardi, per il resto spiccioli e avanzi.


CONFINDUSTRIA VA ALL'INCASSO

Gli industriali ottengono di tutto e a mani basse. Innanzitutto viene soppressa l'IRAP per la tranche di giugno. Quattro miliardi regalati a tutte le imprese che stanno dentro un fatturato di 250 milioni. In piena emergenza sanitaria si amputa la principale base fiscale d'appoggio della sanità pubblica. Uno scandalo. Aggravato dal fatto che la regalia riguarda indistintamente tutte le imprese, anche quelle – non poche – che si sono arricchite in questi mesi di crisi (farmaceutico, digitale, parte dell'alimentare...). Confindustria ha ottenuto un acconto (il 40% del gettito IRAP), ora chiede che la prossima Legge di stabilità cancelli integralmente la tassa.

A questo si aggiungono il credito d'imposta del 60% per le imprese sotto i 5 milioni, contributi a fondo perduto in base al volume del fatturato, una detrazione del 30% per gli aumenti di capitale dai 5 ai 50 milioni, altri 6 miliardi di risorse pubbliche per le PMI sotto i 250 dipendenti attraverso il fondo pubblico Invitalia, chiamato a comprare i titoli di debito delle aziende in questione, da ripagare in sei anni.
Attenzione: “Se le aziende manterranno i livelli occupazionali il rimborso del debito avverrà senza interessi”. Dunque il decreto già annuncia di fatto la prossima fine del blocco dei licenziamenti. Se licenziare o meno lo deciderà il padrone in base alle proprie convenienze. E non c'è l'articolo 18 a fare barriera.

Il governo non dimentica certo le grandi imprese, sopra la soglia dei 250 milioni di fatturato. Qui opera la Cassa Depositi e Prestiti, opportunamente rimpinguata con un volume patrimoniale a regime di 50 miliardi. La Cassa provvede alla ricapitalizzazione delle grandi aziende in difficoltà attraverso l'acquisto diretto di pacchetti azionari, ma restando al di fuori del consiglio di amministrazione aziendale per non violare il recinto della proprietà. Insomma, un puro soccorso assistenziale ai capitalisti coi soldi di tutti, cioè dei lavoratori.

«Per le imprese intanto ci sono oltre 20 miliardi in questo decreto. La cosa più importante ora è agire sulla fiducia: lo Stato deve lasciare libere le imprese», dichiara orgoglioso il ministro Patuanelli (La Repubblica, 14 maggio). Non sappiamo se i capitalisti ricambino la fiducia. Ma certo la fiducia del governo verso i capitalisti non poteva essere più incondizionata di così. Una pioggia di miliardi a tutti.
“Dobbiamo salvare le imprese” recita il credo generale. Ma se per salvare i capitalisti sono necessarie, ancora una volta, immense risorse pubbliche, perché non nazionalizzare le aziende e porle sotto controllo operaio? Sarebbe ad un tempo una misura di risparmio e di razionalità sociale. La vera lotta agli sprechi che piace tanto a Confindustria avrebbe finalmente una traduzione vera.


GLI AVANZI PER I LAVORATORI E LE LAVORATRICI

La verità è che fuori da questa soluzione anticapitalista e rivoluzionaria c'è posto solo per le elemosine, come mostra bene il resto del decreto. Avanzi, scarti, frattaglie, tra mille paletti e restrizioni. Le briciole che cadono dal tavolo dei padroni.

Una cassa integrazione centellinata per non sforare i limiti di spesa. Nessuna soluzione per i moltissimi cassaintegrati in deroga che non hanno visto ancora un centesimo e che non sanno come campare. L'anticipo del 40% della cassa da parte dell'INPS per le domande prossime, il resto “attendere”.
Quanto al reddito di emergenza di ultima istanza rimane una miseria di 400 euro, un obolo penoso di carità, meno di un miliardo di euro.
Infine la regolarizzazione sbandierata dei lavoratori irregolari taglia fuori l'edilizia e la logistica, centinaia di migliaia di sfruttati, i due terzi della platea potenziale, mentre il terzo beneficiato (braccianti, colf, pescatori) ottiene una precaria regolarizzazione a tempo, alla quale per di più può accedere solo chi sopravvive al setaccio di mille condizioni. Un decreto fatto non per i lavoratori e i loro diritti, ma per Coldiretti e Confagricoltura, che cercano braccia, non persone.

Le burocrazie sindacali sembra non abbiano nulla da dire, anche se non hanno toccato palla. Si accontentano di fare da tappeto per gli incontri fra Bonomi e governo.

Costruire una iniziativa indipendente di classe e di massa attorno ad una piattaforma indipendente è più che mai una esigenza centrale e prioritaria.

Partito Comunista dei Lavoratori

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