Interventi

Hanno spento l'agorà

Riflessioni su ruolo dell'informazione, memoria e trasformazione dell'immaginario

19 Maggio 2020

Ancor oggi le manipolazioni di bugia e rilettura nei contenuti dell’informazione agiscono autorevoli per la costruzione della realtà, che diventa tale anche se priva di sostanza

agorà


Entriamo nel merito, ai tempi del coronavirus, straordinario passepartout per una ulteriore avanzata verso l’atomizzazione della società, e la disgregazione della solidarietà tra individui e di quella residua pietas in grado di diventare forma di supporto al singolo e di resistenza al sistema.

Triturata l’identità di appartenenza a una classe sociale (condizione che presuppone lo sviluppo di un conflitto e l’identificazione del fronte avverso), resta l’uomo nudo, schiacciato in termini economici, frustrato dalla politica, in quanto consapevole di non poter esercitare alcuna forma di reale influenza. Pure assediato da una scarsa libertà di genere. Questa è la quotidianità dell'estraniazione e dell’impotenza.

Ora, in un quadro dove l’espropriazione dei diritti procede spedita vengono a iscriversi nuovi strumenti: l’isolamento e il distanziamento sociale.
Prima domanda: imposti dal virus? Oppure obbligati, in pessima sostanza, da venti anni di tagli alla sanità pubblica? Ecco presentarsi una impellente necessità di riscrivere il passato. Entra in gioco la retorica, che usa carburante estremamente inquinante, dell’eroismo e dell’appartenenza. Scivolano via le notizie, lontane meno di un mese, quando si è dovuto decidere chi lasciar morire e a chi rendere speranza.
Un mondo di eroi che salva le sorti di una battaglia immane. Peccato che tale sia stata – immane per l’appunto – perché l’idea di una sanità pubblica non andava proprio giù a nessuno, riformisti e camerati, indifferentemente da quali vestiti indossassero. Non piaceva a destra e a sinistra, la sanità di Stato. Tranne per quelle azioni mediche che non potevano rendere plusvalore al capitale. E così, per una iperbole purtroppo concreta, capitava spesso di passare una giornata di attesa al pronto soccorso.

Ma come è stato possibile un avanzamento, in maniera tanto efficace, di quella che a tutti gli effetti risulta essere una necrosi della memoria?
Perché, mai come in questi due ultimi mesi, abbiamo sperimentato con tanta forza, e per la prima volta in Italia dopo la parentesi fascista, l’intrusione di un altro virus, altrettanto pernicioso, quello del pensiero unico.
L’offensiva del pensiero unico, vivissimo, senza particolari dissidenze, è stata facilitata e per certi versi indotta dall’adozione di misure quali il distanziamento sociale e l’isolamento.
Abbiamo già detto del dilagare della retorica dell’eroismo e dell’appartenenza. Ed è altrettanto corretto osservare, oggi, l’espressione opposta di quello stesso pensiero unico: la carica massiccia di paggi e vassalli della politica verso la riapertura di ogni distretto economico del paese. Ritenuta a furor di popolo immediatamente necessaria, da effettuarsi in maniera totale e assoluta. Istantanea, se possibile.

Si è giocato con la diffusione di una vecchia pratica, quella della persuasione di massa, che ha avuto dalla sua parte alleati forti: la paura della morte, la negazione del futuro, il peccato originale. E, badate bene, non c’è stato bisogno di manovre occulte. Tutto è stato fatto in chiaro. E oggi il meccanismo medesimo si trasforma in impazienza, nella negazione di ciò che è stato, e ancora può accadere. Un altro copione, che nega il precedente.

L’incapacità di adottare posizioni intermedie, o se preferite alternative, ha toccato la maggior parte di noi. Rare le dissidenze, ma sempre trascinate dalla corrente dello stesso fiume. "Non è il momento della polemica", ricorderete questa parola d’ordine. Forse.

Tutto questo è accaduto, anche, perché siamo stati costretti ad abbeverarci alla fonte unica dell’informazione: l’establishment. Quella fonte possiamo chiamarla in alternativa governo, o capitale, o sistema. E come ancora si preferisce, e certo non mancano altri termini. Soprattutto nel primo periodo di lockdown è stato impossibile qualsiasi processo di controinformazione e di analisi indipendente.
L’isolamento ci ha privato del confronto sociale, e della fisicità del trovarsi faccia a faccia. In assemblea, in sezione, in fabbrica. In Parlamento, o in un consiglio comunale. Più semplicemente al bar. E ha costretto i media a subire e dover utilizzare quasi esclusivamente fonti ufficiali, interessate appunto a riscrivere una realtà addomesticata.
Provate a guardare lo stesso programma televisivo, restando in casa, e a commentarlo al telefono. Se il giudizio non coinciderà, in ogni caso la discussione verrà portata avanti con gli argomenti contenuti in quel format e appena stampati nella vostra memoria. È molto probabile che si resti chiusi in una gabbia mentale, che non ci farà guardare altrove, ripetendo il meccanismo perverso del Truman Show, dove si comandano vite apparentemente libere.

Nell’agorà si forma l’opinione della polis. Nella piazza vive (almeno così dovrebbe essere) il confronto tra i cittadini che comanda alla politica l’indirizzo non derogabile. L’agorà in questo momento ci è stata tolta. È stata spenta. Se verranno ripristinati pienamente i nostri diritti, questo avverrà il 31 luglio. Ma è giusto interrogarci sul dopo.
Abbiamo parlato non erroneamente di peccato originale. Ogni reclusione porta con sé senso di colpa e frustrazione. Poi, nella reclusione si può trovare rassicurazione, uno stato d’animo dove delegare la gestione dei propri diritti diventa un'opzione possibile e semplificatrice, assolutoria come una penitenza dopo la confessione. Leggi: la ricerca dell’uomo forte, la scelta dell’autoreclusione del libero pensiero.
Se ci pensate bene, siamo di fronte all’invenzione di un dio profano, anzi, a dire meglio, al riconoscimento unilaterale dell’esistenza di una entità che per noi decide senza troppe chiacchiere e garanzie. Volete chiamarla destino? Così sia. Ma a dio e al destino come si fa opposizione?
Per tornare con i piedi per terra, dall'11 maggio il Transatlantico parlamentare è stato chiuso ai cronisti accreditati. Non accadeva dal 1946. Che si tratti di una interdizione temporanea, o diventerà costume e imposizione permanente? Non è dato saperlo.

Mario De Pasquale

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