Interventi

Precariato, irregimentazione e sfruttamento sulle navi da crociera. Una testimonianza

11 Maggio 2020
crociere


Riportiamo la testimonianza di un lavoratore marittimo di una compagnia famosa di navi da crociera. Una testimonianza fondamentale, al giorno d'oggi, per la comprensione delle differenti condizioni della classe lavoratrice nei diversi settori del lavoro. Comprensione che sta alla base della possibilità di elaborare strategie di difesa, organizzazione e mobilitazione, al passo con i tempi e con l'attuale condizione di sfruttamento e divisione del lavoro, con lo scopo di individuare piattaforme rivendicative capaci di unificare l'ampio e diversificato fronte del lavoro.
Proprio come fu fondamentale per i fondatori del marxismo scientifico – Marx e Engels – l'analisi delle condizioni reali della classe per comprendere i meccanismi e le tendenze del capitalismo per elaborare teorie, programmi e prassi per la prospettiva della rivoluzione comunista, così fu per ogni fase storica di importanti cambiamenti, rimodulamenti e rivoluzioni del capitalismo stesso. Consapevoli che una analisi sbagliata o deformata, così come un approccio astratto o dottrinario alle condizioni di lavoro, di vita e di sfruttamento della classe possano portare a non comprendere le questioni centrali e strategiche di fase e quindi il programma politico transitorio con cui porre nell'immediato le prospettive per una rivoluzione che conferisca nelle mani dei lavoratori e delle lavoratrici le leve della società, pensiamo che testimonianze come queste debbano fornire le coordinate per far tornare in pista il marxismo rivoluzionario nell'agone politico e della lotta di classe.




La nave da crociera può rappresentare una fotografia degli effetti della globalizzazione, e delle sue illusioni, sia sul piano dell'immaginario che su quello delle condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici.
La nave da crociera esprime la totale libertà di movimento (per chi paga) che copre l’intero pianeta, la possibilità di vivere una realtà accelerata, in cui lo spettacolo della nave si alterna con quello di luoghi meravigliosi, raggiungibili magari nell’arco di pochi giorni, l’illusione dell’abbondanza e del consumo illimitato, dello spreco delle risorse e dell’inquinamento dell’ambiente.
Ma dietro l’immacolata verniciatura dello scafo, tra i corridoi di questi templi dell’industria capitalistica, vivono delle tribù di persone, altrimenti dette Crew, che si muovono operose nei meandri del leviatano, tra l’indifferenza dei croceristi e del mondo esterno, sempre più distratto e distante. Sono i lavoratori marittimi, inesauribili motori di questa industria pesante del divertimento e parte integrante, ma meno nota, dei meccanismi totalizzanti di un mondo lavorativo sconosciuto quanto vorace.
Queste persone vivono sulla propria pelle le sofferenze di un lavoro affetto da una precarietà endemica, sfruttamento sfrenato da parte dei padroni, vuoti di sicurezza e di protezione sindacale.
Mi riferisco in particolare al personale staff, ovvero a quella parte di equipaggio che non ha funzioni di macchina o coperta, ma che invece è dedita ai servizi della nave, intrattenimento, tecnici.
Queste persone non sono contemplate come veri e propri marittimi, in quanto imbarcano a passaporto e non attraverso il libretto di navigazione; grazie a questo stratagemma, deciso senza colpo ferire insieme ai sindacati, le aziende e la cosa pubblica, si sono liberate di numerosi oneri, come le visite mediche, i vari certificati di abilitazione alla navigazione e alla sicurezza, le uniformi e la cassa marittima, che sono ora a carico del navigante. Sono perduti così, molti dei “privilegi” che rendevano vantaggiosa la carriera marittima, a partire da un diverso inquadramento contrattuale che avviene tramite agenzia esterna, con una forte compressione dei salari accompagnata da una maggiore lunghezza del contratto. Infatti se per i marittimi a libretto persistono contratti di 4 mesi alternati da due mesi a casa, per coloro che sono a passaporto la formula è quella di 5 mesi a bordo, con variazioni di più o meno un mese, e in seguito la disoccupazione fino alla successiva chiamata. Il momento del ritorno a bordo è sempre incerto e condizionato dalle valutazioni del proprio lavoro, effettuate dai superiori gerarchici del dipartimento. Il meccanismo è spietato, nessuno è indispensabile, e chi sgarra le severe regole comportamentali presenti a bordo, rischia di vedere macchiata una sorta di fedina penale aziendale o essere licenziato. Il licenziamento è il provvedimento preso nei casi più gravi, ma più facilmente i lavoratori scomodi vengono lasciati a casa a fine contratto e mai più richiamati, dopo lo sbarco infatti non esiste alcun vincolo tra azienda e lavoratore.

Di certo queste compagnie multinazionali non hanno problemi di scarsità di personale e possono contare su un immenso esercito industriale di riserva, soprattutto attingendo dai paesi asiatici da cui i tre quarti dei Crew Members provengono.
La manodopera asiatica è infatti sempre più utilizzata, soprattutto perché i contratti sono meno onerosi per l’azienda e consentono il loro arruolamento per un minimo di 7 mesi effettivi, secondo la legislazione del paese di provenienza, indipendentemente dalla bandiera dell’imbarcazione. Ciò significa un passo in avanti nello sfruttamento di massa, un enorme numero di personale che lavora minimo 11 ore al giorno con salari bassissimi, anche fino a 9 mesi senza nessun giorno festivo. Oltre al già pesante carico di lavoro quotidiano, si è aggiunta anche una pratica diffusa in certi dipartimenti a forte presenza straniera: timbrare l’uscita dal turno e continuare a lavorare, facendo straordinari non riconosciuti. Questa abitudine scorretta e adottata in casi eccezionali, è presto diventata la norma per sfruttare al meglio i lavoratori, soprattutto quelli meno consapevoli dei propri diritti e non abituati a protestare.
Le condizioni di vita sono quindi di per sé difficoltose: la lontananza dai propri affetti e dalla propria casa, la scomodità degli alloggi, la scarsa qualità del cibo, dell’aria e dell’acqua, ma questo fa parte della scelta di prendere il mare.

Di questa vita fa parte anche l’irregimentazione quasi militare dei lavoratori che si basa sulla classica gerarchia marittima piramidale: dal Comandante in giù, continua una catena di comando composta da capi e capetti, spinti ad incrementare sempre di più i ritmi lavorativi a spese dei sottoposti. La competizione tra lavoratori si fa sentire e, la pressione lavorativa, l’assenza di svago e la solitudine, portano a gravi situazioni di disagio, che a volte possono sfociare nel suicidio, come la cronaca ha già riportato diverse volte.
Le esistenze dei Crew Members sono pressapoco segregate, limitate al lavoro e alle anguste cabine che occupano nei ponti inferiori, con un accesso ridotto alle aree aperte e pubbliche della nave.
Le aziende croceristiche, per sopperire a questi problemi, hanno adottato una convenzione internazionale ILO MLC 2006 che sancisce una normativa con gli standard di base per garantire una vita dignitosa ai lavoratori, come, per esempio la grandezza delle cabine (ridotte al minimo spazio consentito per ottimizzare gli spazi) e la presenza di luoghi di socialità. Inoltre esiste un dipartimento apposito delle risorse umane, con alcuni funzionari presenti a bordo, in carica di gestire i rapporti e la comunicazione aziendale con i dipendenti. Purtroppo, nonostante gli sforzi, la comunicazione è un grosso deficit di queste aziende, essa è spesso confusa con una sorta di propaganda aziendale, volta a trattare i marittimi come consumatori che possono creare ulteriori incrementi di profitto e bonus per i dirigenti. I lavoratori, costretti a bordo per contratto, vengono sottoposti alle stesse spinte di consumo utilizzate per i passeggeri, in quanto tutti a bordo sono “potenziali clienti”.

Ed il conto è sempre salato da pagare per i lavoratori, che spesso non sanno a chi rivolgersi, in un mondo dove la gerarchia e i ruoli sono tutto, compreso per il sindacato nelle navi battenti bandiera italiana. La classe sindacale dei marittimi ha personale su ogni nave, che vengono eletti ogni volta che il precedente rappresentante conclude il contratto. Ma la rappresentatività dei sindacalisti a bordo si limita alla carta, oppure a quella di loro stessi. Essi nella quasi totalità dei casi occupano posizioni manageriali e, spesso, sono i responsabili e supervisori di un gran numero di sottoposti, che difficilmente si sentono liberi di discutere con il proprio capo, ne consegue un evidente conflitto di interessi. La delazione e l’organicità assoluta con l’azienda sono altre due caratteristiche presenti. Durante l’emergenza Covid19 è stato stilato un nuovo contratto di solidarietà che prevede tagli lacrime e sangue sulla busta paga dell’equipaggio, ma ovviamente non per le figure considerate nel minimo fondamentale per la nave, di cui i sindacalisti e manager fanno parte. Questo accordo è stato raggiunto in tempo record tra azienda e sindacati senza esitazioni e alcuna discussione interna.

Nel recente passato il mercato croceristico ha conosciuto un continuo cambiamento, l’industria si è rivolta ad un numero sempre maggiore di persone, abbandonando le élite turistiche che caratterizzavano le vecchie crociere. Le crociere pop, che quasi si possono definire in certi casi “Low Cost”, hanno allargato sempre di più il loro mercato verso l’Asia, dove nuove masse di consumatori si affacciano a questo tipo di turismo. Questo ha portato tutte le compagnie a mettere in mare tonnellate di acciaio con rotta ad oriente, costruendo navi sempre più grandi e capienti in modo da lavorare sui grandi numeri previsti. Ma tutti questi scenari sono crollati sotto i colpi del piccolo e invisibile Coronavirus e, tra varie vicissitudini, le crociere in tutto il mondo hanno subito una brusca interruzione fino a data da destinarsi. Ancora una volta a pagare sono e saranno i lavoratori, che in un primo tempo sono stati esposti fortemente al contagio del virus, con diversi morti sul campo e, successivamente, lasciati a casa senza nessuna tutela. Soprattutto per quanto riguarda i Crew Members asiatici e i marittimi su navi battenti bandiera straniera, che non possono godere di indennità di disoccupazione e nemmeno avere garanzie sul loro futuro lavorativo. Infatti questo rimane un grande interrogativo per tutti i marittimi, quando e dove, le crociere torneranno a navigare e a quali condizioni, tenendo conto della necessaria ristrutturazione del modo di navigare turistico ai tempi del Coronavirus. Le navi sono come dei palazzi ad alta densità abitativa in spazi limitati, il rischio di contaminazione è altissimo, sia per la concentrazione di persone, che per la difficoltà nel mantenere le distanze di sicurezza e la proliferazione dei batteri. Probabilmente si dimezzerà il numero dei passeggeri e di conseguenza anche quello dell’equipaggio, con la paura di contratti fortemente ridimensionati. Si preannunciano tempi duri per una classe lavoratrice che, negli anni, ha già subito tante angherie, ma che rarissimamente si è aggregata per dare voce alle proprie istanze di protesta. Ogni marittimo è isolato e frammentato nella propria storia lavorativa, con i suoi contratti e le sue sofferenze, e questo è il capolavoro di un’industria e di un sistema globale che mai, prima d’ora, si è fermata nella sua corsa alla massimizzazione del profitto e dello sfruttamento.

Lo scenario descritto dal compagno marittimo è, come evidente, devastante e traumatizzante. Mette in mostra, tra le altre cose, le connivenze delle burocrazie sindacali e di un sindacalismo particolarmente organico ai meccanismi di comando e controllo sul lavoro padronale.
Una piaga che disarma ulteriormente i lavoratori e le lavoratrici profondamente ricattabili, contribuendo al peggioramento delle loro condizioni contrattuali, salariali e inficiando la garanzia di continuità lavorativa per aumentare il potere di ricatto padronale sul lavoro. Piaga che si somma alla strategia concertativa categoriale e confederale, da sempre foriera di cogestione, da parte delle burocrazie, dei processi di attacco al mondo del lavoro e di smantellamento dei diritti dei lavoratori.
Questo settore, peraltro, mette in chiara evidenza la necessità e la centralità di una lotta economica e sindacale che abbia una capacità di coordinarsi su scala internazionale, su basi conflittuali e classiste, per impedire la piaga della concorrenza al ribasso tra lavoratori fondata sulle diverse provenienze nazionali.
A questo si aggiungono poi le endemiche condizioni di precariato e ricattabilità, fondate sulla discontinuità contrattuale, come la forte irregimentazione gerarchica con catene di comando stringenti e profondamente verticalizzate che portano ad una conflittualità interna ai lavoratori per la difesa dei piccoli riconoscimenti e “privilegi” rispetto a chi si trova nel gradino immediatamente inferiore, cooptando il lavoratore nella gestione e applicazione degli interessi padronali sul luogo di lavoro.
In un quadro del genere torna a mostrarsi come fondamentale l'autorganizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici, con la costituzione di comitati di lotta e mutuo soccorso capaci di organizzare i diversi tipi di lavoratori e lavoratrici del settore, aggirando e facendo pressione sulle burocrazie sindacali a partire da rivendicazioni come quelle di: garanzie di continuità occupazionale tra un imbarco e l'altro a pieno salario; condizioni di lavoro e di vita a bordo più dignitose partendo dalla riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario e da spazi di vita e riposo qualitativamente e quantitativamente maggiori; istituzione di un salario minimo per tutti i marittimi di qualsiasi tipologia e provenienza; pretesa di un controllo dei lavoratori e delle lavoratrici sulle condizioni di vita, salute e sicurezza attraverso questi organismi di autorganizzazione e lotta.
La particolarità di questo settore, quello marittimo, mette in mostra come sia necessario superare la forma di gestione della società fondata su stati capitalistici nazionali e sulla concorrenza tra capitalisti a livello globale – consumata proprio sulla capacità di sfruttare di più e meglio i propri dipendenti e di garantire la gestione di crociere sempre più grandi con sempre meno dipendenti -. Sempre di più si mostra come necessario un cambiamento sociale, economico e politico rivoluzionario su scala globale in cui siano i lavoratori e le lavoratrici a controllare e decidere sull'economia, sull'organizzazione del lavoro e della società. La classe lavoratrice ha, in tutto il mondo, necessità e bisogni oggettivi uguali che porterebbero ad un miglioramento della vita, delle condizioni di lavoro, della gestione anche di questi colossi del mare per i clienti e i croceristi nel rispetto dell'ambiente e della salute collettiva. La classe padronale, invece, garantisce i propri interessi e profitti proprio sui meccanismi opposti, sull'aumento dello sfruttamento, sul peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei propri dipendenti, sul risparmio sui costi e sulla sicurezza, sullo scaricamento sulla collettività e sull'ambiente dei costi connessi alla riduzione dell'inquinamento, sulla speculazione sfrenata su servizi e prezzi per i clienti e sullo sviluppo di un turismo predatorio, vorace, non sostenibile e omologante per le stesse destinazioni.

a cura del Partito Comunista dei Lavoratori - sezione di Genova

CONDIVIDI

FONTE