Interventi

Alla conquista del cielo

Per un programma di ricerca scientifica che sia completamente al servizio dell’umanità

2 Maggio 2020

Anche gli scienziati, come tutti i lavoratori, sono protagonisti della lotta di classe. E solo con il loro contributo si potranno smascherare le distorsioni e le contraddizioni proprie del settore della ricerca scientifica

spazio_socialismo


L’astronomia è legata a doppio filo con la storia dell’uomo, ovvero la storia del suo cammino verso e nel mondo contemporaneo. L’osservazione del cielo, in particolare, è stata un punto cardine nella storia dell’essere umano. L’uomo, con le stelle, ha imparato a orientarsi nei deserti e a navigare i mari più vasti; dai nuragici alle popolazioni precolombiane, non esiste civiltà che non abbia fatto degli studi astronomici il fulcro della propria conoscenza, utilizzandola per la realizzazione di architetture coerenti e funzionali alle proprie esigenze. Come allora, anche oggi il cielo è al contempo padre e figlio delle più elevate ambizioni umane: nel cielo queste nascono e queste si dissolvono, nella sua immensità. Tali ambizioni vanno coltivate, incentivate e fatte patrimonio dell’umanità tutta e solo a patto che sia l’umanità tutta a usufruirne.

Il rapporto degli esseri umani con la volta celeste, circa un secolo fa, ha smesso definitivamente di rendere necessario tenere sollevata la testa: l’uomo ha sviluppato conoscenze e strumenti adeguati a lasciarsi alle spalle il suo piccolo “centro di gravità permanente” e a recarsi nello spazio esterno. È in questo momento che anche il cielo, un tempo patrimonio di tutti e possesso di nessuno, è diventato terreno di conquista e scenario della nascita di un nuovo fiorente mercato, il quale solleva molte questioni riguardo alla corretta regolamentazione delle attività spaziali, alla necessità di una programmazione pragmatica in materia di ricerca e di attuazione delle missioni spaziali, e l’utilizzo di queste nuove possibilità e prospettive per il benessere dell’umanità.

Questa riflessione su un ambito così poco dibattuto dalle nostre parti, ha l’intento di portare nella concretezza quotidiana della lotta di classe l’attenzione verso lo spazio: dall’inquinamento luminoso ai programmi di ricerca aerospaziali e le loro applicazioni, questi sono argomenti che oggi e sempre di più toccheranno direttamente le vite di tutti, e cercare di capirne le basi è ormai imprescindibile. Per quanto lo spazio sembri lontano, a volte fantascientifico, l’utilizzo di tanti satelliti artificiali ha riscontri più pratici di quel che si possa pensare in un primo momento: i satelliti trasmettono verso terra, fotografano la Terra, localizzano oggetti e soggetti terrestri, creano un business esclusivo per persone che, anche loro, stanno sulla Terra; e che tuttavia utilizzano il proprio capitale non nello spazio, ma sulla Terra. Un po’ come accadde ai capitalisti inglesi durante il periodo coloniale indiano – il territorio di conquista nel quale far proliferare il proprio profitto e nel quale creare nuove filiere produttive e monopolizzarne i mercati era per loro infinito. A tutti gli altri ne fu, invece, semplicemente preclusa la possibilità. Insomma, negli spazi vuoti e inesplorati si riproducono, amplificati, i rapporti di forza sociale ed economica esistenti nell’ambiente di provenienza, già socialmente codificato. Così anche i rapporti di forza presenti all’interno dell’atmosfera si riproducono al di fuori di essa.


I BENEFICI SOCIALI E AMBIENTALI DELLA RICERCA SPAZIALE

Il 1957-'58 è l’Anno Geofisico Internazionale proposto dagli scienziati per studiare il pianeta con ogni mezzo e disciplina esistente. Tra le idee c’è anche quella di un satellite artificiale che indaghi la Terra in modo nuovo.

Il 4 ottobre 1957 lo Sputnik (in russo "Compagno di viaggio" o "Satellite"), il primo satellite al mondo, lanciato nello spazio dall’Unione Sovietica, dà il via a una nuova attività umana: l'esplorazione dello spazio. Da allora uno sviluppo impetuoso ha portato l’uomo a raggiungere in pochi anni risultati sorprendenti e impensabili. Il conflitto permanente fra Stati Uniti e Unione Sovietica ha alimentato la corsa allo spazio facendo leva sull’interesse umano per l’ignoto, per l’Universo. La conquista dello spazio si configurò così, per quasi tre decenni, come simbolo di predominio sul nemico.

Gli scienziati e gli ingegneri coinvolti in questa corsa hanno vissuto anni entusiasmanti di lavoro febbrile, giungendo a scoperte e invenzioni eccezionali. Il lavoro di migliaia di persone, che non si sono fermate neanche di fronte a sconfitte imprevedibili e dolorose perdite umane, ha permesso – in soli dodici anni dal lancio dello Sputnik – la conquista della Luna, meta a lungo sognata da poeti e scrittori.
A frenare la spinta entusiastica generata dal sensazionale sbarco sulla Luna, fu la profonda crisi economica e politica delle nazioni del “primo mondo”. Da allora la ricerca spaziale è stata sempre più oggetto di critiche da parte dell’opinione pubblica, principalmente per i suoi elevatissimi costi e perché apparentemente lontana dalla quotidianità. Tra le obiezioni più popolari vi sono domande come “Non potremmo investire i soldi in sanità e servizi?”. “Abbiamo le risorse per continuare a finanziare questi progetti?”.
Questi interrogativi trovano risposta in strumenti tecnologici di utilizzo quotidiano, che talvolta si danno addirittura per scontati, esistenti grazie all’ingente forza propulsiva che la ricerca e l’esplorazione spaziale mettono in campo, divenendo quindi avanguardia in ambito scientifico e tecnologico. Tutti i progressi raggiunti in ambito spaziale sono l’anticamera di tecnologie che, se funzionali alle esigenze umane, diverranno poi di utilizzo comune. Per citare qualche esempio: le telecomunicazioni, che per una efficiente copertura mondiale sono dipendenti dalla miriade di satelliti artificiali attorno alla terra; la microelettronica, alla base della costruzione dei più complessi e funzionali dispositivi elettronici moderni, è stata sviluppata grazie alle ricerche condotte in ambito missilistico e spaziale; il meteo e le previsioni del tempo grazie ai satelliti meteorologici, che oggi consentono di aver maggior sicurezza per la navigazione marittima ed aerea e di ottimizzare innumerevoli lavori, dall’agricoltura alle costruzioni. Oppure pensiamo ad altre invenzioni nate o perfezionate per esigenze spaziali che poi sono divenuti di uso comune: il velcro, le lenti antigraffio per occhiali, i termometri medici non a contatto e nuove tecniche diagnostiche, nuove leghe metalliche di alte caratteristiche (più elastiche delle plastiche e più resistenti del titanio, usate per esempio negli attrezzi sportivi), materiali per l'isolamento termico e per la protezione dal fuoco, schiume a memoria di forma per imbottiture e nuovi tessuti dotati di grande capacità isolante e morbidezza, le moderne maschere antigas, coltivazione idroponica, alcuni sistemi di purificazione dell’acqua, i dispositivi senza fili.

Se ne ricava che, per quanto a uno sguardo superficiale le spese in ambito di ricerca spaziale possano sembrare esose e inutili a fronte dei tanti problemi esistenti nel nostro pianeta, è vero invece che i benefici generati da tale settore sono enormi e a costi bassissimi rispetto a ciò che si guadagna sul piano conoscitivo e pratico. Basti pensare che, al 2019, il budget dell’Agenzia Spaziale Europea è stato di 5,7 miliardi di euro. In media, il contributo di ogni cittadino di uno Stato Membro dell'ESA, in tasse per le spese spaziali, è pari circa al prezzo di un biglietto per il cinema (negli Stati Uniti, gli investimenti nelle attività spaziali civili ammontano a quasi il quadruplo). Gli stati membri dell’Unione Europea hanno destinato in media il 2.1% del PIL alla ricerca e allo sviluppo. I benefici portati dalla ricerca sono visibili; hanno un tempo di manifestazione indeterminato ma tangibile e ogni nuova scoperta, anche se apparentemente inutile, porta necessariamente a nuovi studi che aprono le porte a nuove possibilità, potenzialmente utili e applicabili nei più svariati ambiti della vita umana. Dal punto di vista economico uno studio della London Economics stima che gli investimenti pubblici nel Regno Unito in ambito di ricerca spaziale abbiano un tasso di rendimento che si aggira tra il 2 e il 4% per 1 sterlina di investimento pubblico [1]. La stessa ricerca afferma comunque che il tasso di rendimento non faccia fede al reale rendimento che produce la ricerca spaziale sul lungo periodo; infatti, al fianco delle stime di rendimento quantificabili ci sono tutti quei benefici non monetizzabili (e quindi non quantificabili), ma che costituiscono poi il vero patrimonio che la ricerca scientifica è capace di restituire all’umanità intera. Da questa prerogativa emerge una grossa contraddizione generata dal rapporto tra business e scienza: se si permette ai privati di monopolizzare o assumere un ruolo non indifferente nella ricerca scientifica e li si dota di libero arbitrio riguardo ai settori di ricerca nei quali concentrare i propri sforzi, la logica conseguenza è che i capitalisti saranno portati ad abbandonare i settori che non portano un guadagno diretto e immediato in termini economici, concentrando i propri sforzi su ambiti più remunerativi e economicamente sicuri. Al momento dell’investimento le innovazioni e le applicazioni future sono quasi impossibili da prevedere e ciò porta a una sottovalutazione del valore che può avere l’investire in un determinato ambito. Come si può pretendere di conoscere dove porta un sentiero mai battuto? Innovazioni, applicazioni future oggi nemmeno immaginabili si nascondono dietro qualunque ambito di ricerca potenzialmente fruttuoso nel lungo periodo, ma non nel breve e non visibile a chi ricerca nella scienza e nella ricerca il profitto e non il benessere sociale e l’avanzamento tecnico, andando a gravare sul vero ruolo della ricerca: scoprire ciò che non si conosce, banalmente. La scienza è in conflitto con il capitalismo, per la stessa natura di entrambe le entità.

La ricerca della London Economics sopra citata porta alla luce tutte le «fasi di beneficio» che un programma di ricerca genera in più momenti. La prima, la «fase di produzione», produce benefici relativi alla messa in campo di forze utili a produrre le infrastrutture necessarie al programma. È qui che viene così mobilitato anche l’apparato industriale, con ricadute direttamente positive sul territorio. La seconda fase viene definita «fase operativa», ed è la fase in cui il programma di ricerca – ormai in pieno regime – produce benefici con, ad esempio, la messa in campo delle forze intellettuali, di manutenzione delle infrastrutture, eccetera. La terza ed ultima fase descritta è la «fase ereditaria», ed è la fase in cui il programma di ricerca è terminato, ma i benefici (culturali e scientifici, sociali, economici, ecc.) prodotti da questo si propagano nel tempo, a tempo indeterminato, con possibilità esponenziale di ottenere benefici sempre maggiori [2]. È ai benefici di questa ultima fase che ci si riferiva qualche riga sopra parlando di «benefici non monetizzabili e non quantificabili»; proprio questi benefici sono quelli potenzialmente più utili e importanti, proprio per la loro intrinseca potenza «inquantificabile».


LA METASTASI DEL CAPITALISMO RAGGIUNGE TUTTI I SETTORI

Nel campo della ricerca spaziale, negli ultimi decenni, emerge sempre più il settore privato dove i miliardari del nostro globo hanno trovato un terreno molto fruttifero. Ciò che rende un ottimo investimento lo spazio, per la borghesia, è che essendo un nuovo campo d’azione, non ci si imbatte in troppi limiti di legge e, anzi, su certi aspetti sono del tutto assenti le regolamentazioni. Infatti, nel capitalismo, si possono sfruttare le risorse naturali (in questo caso lo spazio fisico del cielo) in due modi: possono essere comprate come merci se esse sono già state trasformate in proprietà di qualcun altro, oppure il capitale se ne impossessa direttamente e gratuitamente (come l’aria e l’acqua che, dopo l’utilizzo, sono spesso restituiti inquinati). La possibilità di avere gratuitamente un agente naturale della produzione (ad esempio una fonte di energia che non è liberamente disponibile per i suoi concorrenti) accresce il profitto per il capitalista.

Leggiamo dall’expo-forum europeo 2019 “New Space Economy”: «La "New Space Economy" sta sostenendo la crescita, sia in termini economici assoluti che nella molteplicità delle direzioni del suo sviluppo. Lo spazio sta diventando sempre più sinonimo di economia, mentre l'economia reale è matura per nuove applicazioni e tecnologie "open to" e "driven by" derivate dallo spazio. Questa nuova economia spaziale plasma il mercato globale come un ecosistema in cui convivono settore pubblico e settore privato, coinvolgendo spesso nuovi attori e investitori che propongono nuovi modelli di business e nuove sfide globali» [3].

È reso pubblico, è sotto gli occhi di tutti, ciò che rappresenta lo spazio per la borghesia: nient’altro che una ulteriore opportunità di investimento e di capitalizzazione.


I NUOVI PROGETTI IN ORBITA SONO SOSTENIBILI?

Giungiamo quindi ai programmi spaziali intrapresi in quest'ultimo periodo. In particolare prendiamo come esempio i progetti di costellazioni satellitari, ovvero delle missioni con l’obiettivo di mandare un imponente numero di satelliti (LEO: a bassa orbita) per poter, in questo caso, fornire una copertura internet a tutto il mondo.
Un fine sicuramente ambizioso, ma di facciata. Questi investimenti riguardano non a caso i principali concorrenti sul mercato, tra cui SpaceX, Amazon, Samsung, etc. La spinta verso questi tipi di sviluppi per loro, ovviamente, si basa soltanto sulla possibilità di espandere i loro capitali conquistando come in questo caso nuovi terreni "vergini". Ribaltando la realtà delle cose, trovano una perfetta copertura ideologica sotto l'impronta del filantropismo quando invece potrebbero rischiare di saturare uno spazio di ricerca sotto il cieco mostro del capitale. La SpaceX di Elon Musk calcola di poter trarre circa 30 miliardi all’anno grazie al progetto di costellazione satellitare Starlink [4]. È l’inizio di una nuova stagione di colonizzazione del cielo.

Nel campo della ricerca emergono subito alcune pubblicazioni riguardo le prime problematiche rilevate riguardo questi progetti. L’osservatorio Vera C. Rubin (Large Synoptic Survey Telescope), pubblica “Impact on Optical Astronomy of LEO Satellite Constellations” [5]: sottolinea il fatto che esistano già regolamentazioni riguardo la radio interferenza [6], tuttavia non esistono norme per l’inquinamento luminoso proveniente dallo spazio come invece ci sono per lo spettro radio. Viene inoltre rilevato come i satelliti LEO (Low Earth Orbit) costituiscano una risorsa senza limiti e che ora si assiste a processi di industrializzazione da imprese private, con un’esplosiva crescita di impieghi commerciali.

La pubblicazione scientifica di European Southern Observatory [7] “Impact of satellite constellations on astronomical observations with ESO telescopes in the visible and infrared domains” [8] (pubblicata il 3 marzo 2020) rivela come nei casi più gravi i satelliti LEO rovinerebbero il 50% delle osservazioni, prolungando i tempi di ricerca e i relativi costi. Lo studio si basa sui numeri di 18 progetti di costellazioni satellitari in via di costruzione, ovvero di 26 mila satelliti. Tra questi sono coinvolti SpaceX, Amazon, Samsung, OneWeb, Boeing, etc.

«Circa 1600 satelliti saranno nel raggio d'azione (sull'orizzonte) di un osservatorio a media latitudine. Tra questi circa 250 saranno al di sopra di un'elevazione di 30° sopra l'orizzonte (ciò nella parte di cielo dove avvengono le osservazioni)[...] [8]»

Questi sono soltanto alcuni numeri, più o meno approssimativi e che, per quanto ad un livello di conoscenza ancora insufficiente per dare dati precisi, rendono necessario per questo ancora più attenzione sull'argomento.
Si pone un vero e proprio problema di inquinamento spaziale e luminoso, con tutte le conseguenze già riportate sia in ambito di costi che di complicazione della ricerca. Ci si aspetta che ogni notte siano visibili da 3 a 4 “treni” di satelliti, composti da 60 elementi ciascuno, soltanto per Starlink.

«In uno studio pubblicato il 17 marzo [9] un gruppo di astronomi che operano il telescopio del Centro de Astronomia della Università di Antofagasta (CITEVA) situato in Cile, ha misurato la luminosità di DarkSat (l’ultimo satellite di Starlink lanciato) e di un altro satellite Starlink senza alcun trattamento di oscuramento. L’indagine rivela che DarkSat ha una luminosità di 0,88 magnitudini, il 55%, più scuro del normale satellite Starlink. Un risultato promettente, ma comunque molto al di sotto delle specifiche minime richieste dagli astronomi.» [10]

Questi satelliti sono molto luminosi e lo studio sopracitato del 17 marzo evidenzia come «i risultati di questo lavoro dimostrano che Darksat è invisibile ad occhio nudo, anche in condizioni ottimali. Tuttavia, questa riduzione non soddisfa il requisito necessario per mitigare gli effetti che i satelliti di comunicazione LEO a bassa costellazione orbitale a megacostellazione avranno sulle esposizioni di imaging ultrawide da grandi telescopi, come, ad esempio, l'Osservatorio Vera C. Rubin della National Science Foundation, precedentemente noto come LSST. Per contribuire a migliorare l'impatto dei fantasmi elettronici nelle esposizioni di imaging ultrawide, sarebbe necessario che un satellite sia 15 volte meno luminoso rispetto ai satelliti di comunicazione LEO standard Starlink, approssimativamente fino all'ottava magnitudine (vedi dichiarazione LSST)».

La comunità scientifica sta cercando di avviare un dialogo in modo da poter organizzare meglio i progetti di ricerca, ottimisti da questo punto di vista spingono per sviluppare una collaborazione (a livello di scambio di informazioni logistiche) tra mondo della ricerca astronomica e imprenditoria (che nelle contraddizioni del sistema, è organica alla realtà della ricerca).

Questi progetti massivi, se si punta ad un progetto totale di conservazione dell’ecosistema, vanno inquadrati in un più ampio spettro di problematiche. Lo stesso inquinamento luminoso, scaturito dalla presenza di questi satelliti molto riflettenti, è soltanto una componente del problema, il quale si sviluppa anche dalla terra. Esistono infatti organizzazioni come l’International Dark-Sky Association, un’associazione internazionale che si prefigge lo scopo di salvaguardare l’ambiente notturno valorizzando un’illuminazione esterna più responsabile. L’inappropriato utilizzo di luce artificiale di notte rappresenta un elemento inquinante per gli animali (noi compresi) [11] e per il nostro pianeta, oltre a privare della possibilità di osservare il cielo. L’inquinamento delle città non colpisce soltanto qualche astrofilo appassionato ma è un problema che si sta espandendo anche verso gli osservatori più grandi, che nonostante siano stati costruiti in ambienti abbastanza isolati, con l’espansione delle periferie e di un’illuminazione incontrollata, vengono comunque contaminati [12].

Infatti fino ad ora ci siamo soffermati soltanto su uno degli aspetti principali delle interferenze delle megacostellazioni, quello che impatta sulle osservazioni nello spettro visibile. Tuttavia vengono coinvolte anche le osservazioni con i radiotelescopi, anch’essi molto sensibili oltre a quelli dedicati allo studio dello spazio cosmico nello spettro dell’infrarosso.

C’è da rilevare che, se gli attentati ecologici degli industriali sulla Terra possono – con fatica, pensiamo alla difficoltà di eseguire bonifiche sui terreni e sui fiumi inquinati per decenni – essere riparate con grossi dispendi di energia, ancor di più si complica il discorso nel discorso nel cielo, dove ai danni di oggi non è affatto detto che si possa rimediare domani. Allo stato attuale non si hanno conoscenze né strumenti che permettano di riacchiappare le decine di migliaia di satelliti, che una volta lanciati in orbita continueranno a orbitare, volenti o nolenti.


LA NOSTRA RI-CONQUISTA DEL CIELO

Una più ampia riflessione non può che portarci a interrogarci sul ruolo della scienza nella società, un tema sicuramente non nuovo. Qualunque cosa se ne dica su Marx e i marxisti, non c’è nessuna visione positivista dello sviluppo della civiltà umana, anzi, un’analisi della realtà degli ultimi anni evidenzia come l’indissolubile rapporto tra l’economia e tutte le altre discipline, in questo modo di produzione, non abbia portato altro che ad una roulette russa tra l’essere umano e l’ecosistema, con strumenti sempre più potenti e pericolosi. Una stagione di ordinaria follia in cui l’accrescimento di capitali non ha portato altro che ad uno sviluppo ed utilizzo irrazionale della tecnica.

Certo abbiamo già rilevato come sia utile il progresso tecnologico, e come l’utilizzo dei satelliti sia oggi fondamentale. Tuttavia abbiamo anche rilevato come le ricerche scientifiche, lo sviluppo tecnologico e le relative industrie siano appannaggio (a seconda dell’ambito) del profitto, a discapito della loro piena funzionalità. È il modo di produzione che stabilisce come vanno impiegate le risorse, e la ricerca del profitto nel capitalismo non è lo spirito dell’imprenditore ambizioso, ma al contrario, il sangue vitale per il sostentamento dell’industria capitalista. La ricerca scientifica e le sue applicazioni saranno libere dalle catene debilitanti del capitalismo solo quando verranno ribaltati i rapporti di produzione attuali e superate le contraddizioni capitalistiche riprodotte nei settori della ricerca.

Sulla base dei problemi rilevati dagli stessi tecnici, ci pronunciamo in merito sulla necessità di elaborare un piano strategico per il futuro. È una follia che la ricerca, la più nobile disciplina per l’essere umano, sottostia agli imprenditori per via dei loro piani commerciali totalmente avulsi dalle necessità materiali del settore. Lo spazio di utilizzo del cielo deve essere razionalizzato e posto ad un attento esame di come usufruire al meglio delle risorse disponibili, un connubio tra ricerca, progresso e conservazione dell’ecosistema. Questo però può farlo soltanto chi in prima linea si trova ad affrontare queste tematiche, ovvero coloro che dedicano con fatica la propria vita alla ricerca, per approfondire le conoscenze dell’uomo e migliorarne le condizioni.

Ricordiamo che l'esperienza degli ultimi secoli, dalla rivoluzione industriale, ci dimostra in modo inequivocabile come le forze produttive ed in particolare le capacità tecniche e scientifiche di questa era si traducano, per via del capitale, in forze distruttive.

Invertire la rotta è soltanto il primo passo necessario verso uno sviluppo più sostenibile.
La ricerca ha cambiato il nostro modo di guardare il cosmo e la coscienza del nostro posto in esso. All’angoscia di una possibile irrilevanza si sostituisce la gratitudine, lo stupore per l’esistenza stessa della nostra Terra, delicata e meravigliosa dimora del genere umano. L’uomo scopre sé prescindendo da sé: è questa la sua vera odissea. E se la ricerca e l’esplorazione dell’ignoto non conducono altro che ai meri tornaconti di pochi speculatori e là si spengono, niente di nuovo potrà mai nascere; niente nasce in terreni aridi.
Le contraddizioni di questo settore non divergono quindi dalle contraddizioni che pervadono ogni ambito di ogni società capitalista. Tuttavia è, anche qui, utile concentrare riflessioni e attualizzare la nostra critica.
Anche gli scienziati, come tutti i lavoratori, sono protagonisti della lotta di classe e solo con il loro contributo si potranno smascherare le distorsioni e le contraddizioni proprie del settore della ricerca scientifica.
L'obiettivo di questo articolo è quello di sviluppare interesse nei compagni per la tematica, di modo che un dibattito fiorente possa nascere non solo per quanto riguarda l’ambito dell’astronomia e per i pochi argomenti qui trattati, ma per la ricerca scientifica in toto.

Solo una società di carattere socialista è capace di rispondere alle esigenze di questo settore, proprie e trasversali.
Sarà il nostro assalto al cielo.



Note e fonti:

[1] London Economics, Return from Public Space Investments, Sezione 6.1.2, URL: https://londoneconomics.co.uk/wp-content/uploads/2015/11/LE-UKSA-Return-from-Public-Space-Investments-FINAL-PUBLIC.pdf, visitato il 4 aprile 2020.

[2] London Economics, Return from Public Space Investments, Sezione 4.4.7, URL: https://londoneconomics.co.uk/wp-content/uploads/2015/11/LE-UKSA-Return-from-Public-Space-Investments-FINAL-PUBLIC.pdf, visitato il 4 aprile 2020.

[3] https://www.nseexpoforum.com/wp-content/uploads/R.-Stampa-NSE-New-Space-Economy-European-ExpoForum-2019-.pdf

[4] SpaceX CEO Elon Musk in May told reporters that Starlink could bring in revenue of $30 billion a year – or about 10 times the highest annual revenue it expects from its core rocket business.
https://www.cnbc.com/2020/02/06/spacex-starlink-may-ipo-a-new-elon-musk-stock-for-investors.html

[5] https://www.eso.org/public/news/eso2004/?lang

[6] A partire dall’ International Telecommunications Union (ITU), un’organizzazione internazionale, fondata negli anni 30, che si occupa di definire gli standard nelle telecomunicazioni e nell'uso delle onde radio.

[7] La principale organizzazione intergovernativa di astronomia in Europa e l'osservatorio astronomico più produttivo al mondo, porta in luce l’impatto di questi satelliti sulle osservazioni da terra.

[8] https://www.aanda.org/articles/aa/pdf/forth/aa37501-20.pdf

[9] https://arxiv.org/pdf/2003.01992.pdf

[10] https://www.astronautinews.it/2020/03/il-darksat-di-starlink-si-dimostra-ancora-non-abbastanza-il-meno-riflettente-della-serie/

[11] https://www.darksky.org/light-pollution/human-health/
https://www.iau.org/static/archives/images/pdf/light-pollution-brochure.pdf

[12] https://science.nrao.edu/science/astro2020/apc-white-papers/related/117-d60fc25d6720cc80120835a8bb1e94da_HallJeffreyC.pdf

E.C. e Luca Gagliano

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