Dalle sezioni del PCL

Coronavirus ad Arezzo. Favorire il privato, pagano i lavoratori

22 Marzo 2020
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Lo scenario che si presenta è inquietante: ci stiamo preparando per andare in guerra. Stiamo aspettando l’arrivo del picco coronavirus.
L’ospedale di Arezzo è in allerta per l’emergenza assoluta ed è stato trasformato totalmente in "ospedale Covid-19". Tutto l’ospedale: non esistono più i reparti. Sono state spostate prima l’ortopedia all’ospedale della Gruccia e oculistica sulla Fratta di Cortona, il Direttore Generale della ASL Toscana sud-est e il Direttore di tutta la rete ospedaliera toscana Calamai hanno preso accordi per trasferire i restanti reparti al Centro Chirurgico Toscano e alla Clinica San Giuseppe, due strutture private. In particolare, al Centro Chirurgico saranno spostate la chirurgia generale, l’urologia, la ginecologia, parte della vascolare, interventi non rinviabili (in testa quelli oncologici), e tutte le urgenze, così come la robotica. La Chirurgia Ortopedica andrà al San Giuseppe, insieme alla traumatologia minore e all’Hospice.

Occuparsi di politica da sempre è come se ci avesse dotato di un terzo occhio, che fotografa e rimanda alla mente la prima analisi: socializzare il grosso della spesa sanitaria della nostra zona, privatizzare ciò che è pubblico. Perché?
Il decreto legge a firma Conte del 17 marzo parla chiaro: “Al fine di fronteggiare l’eccezionale carenza di personale medico e delle professioni sanitarie, in conseguenza dell’emergenza dovuta alla diffusione del Covid-19, in quanto ricoverato o in stato contumaciale a causa dell’infezione da Covid-19, le strutture private, accreditate e non, su richiesta delle regioni o delle province autonome di Trento e Bolzano o delle aziende sanitarie, mettono a disposizione il personale sanitario in servizio nonché i locali e le apparecchiature presenti nelle suddette strutture. Le attività rese dalle strutture private di cui al presente comma sono indennizzate ai sensi dell’articolo 6, comma 4.”.
Per far fronte all’emergenza, verranno messe a disposizione le cliniche private DIETRO INDENNIZZO; che è esattamente il contrario di quello che noi affermiamo dovrebbe essere fatto per affrontare questo pericolo, ovvero requisire, sì, le cliniche private per far fronte all’emergenza, ma SENZA INDENNIZZO ALCUNO, in modo da non gravare ancor di più sulla collettività e sui lavoratori.
Questo è proprio l’apice di un sistema di cui si vedono i cancri ormai evidenti. Anni di tagli, anni di chiusure di ospedali piccoli ma funzionanti, di servizi territoriali, di tutte quelle strutture che potevano raccogliere la domanda crescente e dare una risposta più celere, specialmente in una popolazione che diveniva con gli anni sempre più anziana e dunque bisognosa, la presenza di comorbilità e l’attenzione nello studiare risposte adeguate a fronteggiare una gamma di patologie in persone spesso immunodepresse: questo lo sviluppo significativo che il Sistema Sanitario avrebbe dovuto inseguire.

Invece negli anni abbiamo paradossalmente assistito a una dinamica di accentramento. A fronte di uno smembramento del SSN, il potere è passato nelle mani dei Servizi Sanitari Regionali, così ogni regione (ogni "governatore" di turno) poteva utilizzare le proprie risorse ed esercitare influenza politica favorendo gli amici che lo avevano portato al potere. In realtà si sono riuniti più servizi in uno solo, si sono create ex novo le Case della Salute (quale la loro utilità?), si sono invece eliminati servizi territoriali, come i consultori, sguarnendo intere porzioni di territorio; si è creato l’Ospedalone (accentrare, dunque), ma allo stesso tempo si sono tagliati all’interno dell’Ospedalone interi reparti, posti letto, personale; si è creata l’"ASLona" (accentrare di nuovo) che riunisce le ex ASL provinciali a gruppi di tre ASL; si è creata un unico Ente di Supporto Tecnico-Amministrativo Regionale (accentrare ulteriormente), addirittura regionale: come si può pensare oltretutto, nel caso dell’Ospedalone, creato in grande per motivi economici, ovvero di risparmio, di far funzionare una grande struttura con poche risorse? E nel caso dell’Aslona, come si può non pensare che le risorse, prima destinate a ognuna delle ASL provinciali (ma prima ripartite fra le USL!), adesso destinate ad una unica ASL, non siano oggetto di mercanteggiamento ("concedi tutti questi presidi alla mia ex ASL, a te sarà destinato qualcos’altro…"), viste le carenze sotto gli occhi di tutti? E l’ESTAR unica regionale, nata dall’accorpamento dei tre ESTAV precedentemente costituiti, come può dare risposte immediate rispetto all’approvvigionamento di presidi, DPI e farmaci, dopo la trasformazione in un unico carrozzone? È naturale pensare che un magazzino unico regionale non possa rispondere in tempo reale alle esigenze di un territorio vasto come una intera regione.

Sono scelte che si pagano e che mostrano tutti i loro limiti, a maggior ragione in tempo di guerra, al quale è paragonabile il dramma che stiamo vivendo adesso. Le risposte sono lente e inadeguate.
Mancano le strutture, i presidi, i DPI, i servizi, i medici, gli infermieri, gli operatori sanitari. Mancano da anni.
Accentrare ha anche significato, in tempi di pandemia, raggruppare più persone insieme, e questo crea problemi di diffusioni virali. Non a caso si dice di non afferire all’Ospedale, si è riscoperta l’importanza del medico di Medicina Generale (qualche governatore del Nord ne aveva dichiarato ormai l’inutilità, se ricordate).

Ed ecco, morale della favola, alla fine siamo arrivati anche da noi a ricorrere al privato, quel privato che in Lombardia, spingendosi a sostituire quasi del tutto il pubblico, non ha saputo logicamente far fronte a un’emergenza, mancando di tutto.
Perché il mantra del privato, cresciuto alla scuola del capitalismo, è sempre quello: massimo profitto col minimo costo.
Quel privato al quale, in altre regioni, sono anni che si concede di sostituire il pubblico, essendosi annesso addirittura interi reparti e macchinari costosi; quel privato che verrà puntualmente indennizzato secondo il decreto Conte (sapremo mai quanto sarà costato tutto questo al pubblico?). Quel privato che certamente qualcosa di suo – anzi, comunque sempre di nostro – investirà in questa operazione di accentramento nelle proprie strutture, e questo investimento non lo vorrà perdere.

La domanda sorge spontanea: siamo sicuri che, una volta terminata l’emergenza, tutto ritornerà al pubblico? Siamo sicuri che l’emergenza, una volta messa in piedi, non diventi consuetudine e che per operarsi non si debba maggiormente accedere al privato, convenzionato certo, e pagato dunque con fondi sottratti al pubblico? Perché per far fronte alla pandemia non si sono utilizzate strutture già in essere, una volta sedi di eccellenze ma abbandonate nonostante siano in buono stato e parzialmente funzionanti? Temiamo le situazioni emergenziali più della pandemia, temiamo più la toppa del buco, perché è sull’emergenza che si fanno affari, maggiormente sulla pelle dei lavoratori.

Per quanto ancora dovremo pagare lo scempio della sanità pubblica e la sciagurata dinamica dell’accentramento? Fino a quando noi lavoratori non prenderemo coscienza che siamo una classe di sfruttati e che è sulla nostra testa che vengono prese decisioni che riguardano la nostra salute. E rispetto alla quale dobbiamo pretendere indietro tutto ciò che ci è stato sottratto.

Partito Comunista dei Lavoratori - cellula lavoratori della salute, sezione di Arezzo

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