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Tutto il mondo è... capitale

Francia e Spagna dimostrano, una volta di più, che il problema non è solo il virus

21 Marzo 2020

Ricordiamo ciò che sta accadendo ora quando lo stato di emergenza sarà finito. Perché allora andranno chiamate alla sbarra le classi dominanti di questo mondo e di questa Europa, e sul banco dell'accusa dovranno sedere i lavoratori e le lavoratrici

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Il coronavirus non conosce frontiere. Purtroppo neanche il saccheggio del servizio sanitario.
Non ci riferiamo agli Stati Uniti, dove un tampone costa 3500 euro, e dove milioni di persone tenderanno a evitare visite e controlli per tutelare il proprio salario, con effetti potenzialmente catastrofici. E neppure ci riferiamo alla Gran Bretagna, dove il ciclone di Margaret Thatcher ha smantellato il sistema sanitario, e dove il capo del governo conservatore Boris Johnson, ancora pochi giorni fa, metteva sul conto centinaia di migliaia di morti pur di non danneggiare gli interessi della City. No, parliamo dell'Unione Europea, e più precisamente di paesi talora indicati a modello da una parte del senso comune popolare.

“La Francia, lì si che lo Stato funziona, mica come da noi!”. Quante volte si è ascoltato questo refrain un tanto al chilo in bocca a liberali o sovranisti di casa nostra. Se non fosse che il dramma del coronavirus riporta tutti alla realtà.
Anche in Francia la sanità pubblica è stata saccheggiata, negli ultimi vent'anni, per liberare risorse a favore di banche e imprese. Non a caso nel 2019 un importante movimento di lotta su scala nazionale fu proprio quello del personale sanitario francese di pronto intervento, falcidiato dai tagli, e per questo costretto a turni di lavoro insostenibili. Ora proprio quei medici e quegli infermieri sono messi con le spalle al muro dalla emergenza del coronavirus, assieme ai malati che assistono.
“Sarebbe catastrofico dover arrivare al punto di scegliere quali malati portare in rianimazione perché mancano i posti” afferma il 16 marzo Jérôme Salomon, il direttore generale della Sanità. Purtroppo non è solo una ipotesi. La Federazione ospedaliera di Francia, che raggruppa gli ospedali pubblici, dichiara il 17 marzo che “si può ormai parlare di medicina di guerra”, e per questo prescrive un codice di condotta per gli operatori sanitari in caso di scelta tra i malati da curare. “Bisogna rassicurare senza nascondere che esistono casi in cui bisogna scegliere. È la medicina della catastrofe: si scelgono i pazienti che hanno maggiore possibilità di sopravvivere”.
Guerra e catastrofe sono termini appropriati. Ma non riguardano il virus in quanto tale. Riguardano lo stato di un sistema sanitario privo di personale, camere, strutture con cui fronteggiare l'epidemia, e quindi costretto a scegliere sulla vita e la morte dei propri pazienti. La differenza col caso italiano è che in Francia la confessione è pubblica, e non negata da parole ipocrite di circostanza. Non per questo, naturalmente, è meno tragica.

Nella vicina Spagna le cose non vanno diversamente, anzi. Anche in Spagna i governi della destra (Aznar e Rajoy) e i governi della “sinistra” (Zapatero e Sanchez) hanno salassato a turno la sanità pubblica per sostenere il capitale finanziario. E ora la drammatica propagazione del coronavirus punta l'indice contro questa realtà. La Società Spagnola di Medicina Intensiva e Unità Coronarie (SEMICYUC) ha dovuto elaborare una guida etica di comportamento di fronte a scelte non aggirabili. In assenza di posti letto per le terapie necessarie, quali pazienti salvare e quali di fatto condannare? La risposta è chiara: "È necessario dare la precedenza a chi ha maggiore speranza di vita” (El Pais, 21 marzo). Lluis Cabrè, estensore della guida etica, aggiunge: "In casi di guerra come l'attuale, non so come altro chiamarla, bisogna prendere decisioni difficili: intubo chi ha maggiori possibilità di farcela”. Fernando Simon, direttore del Centro di Coordinamento dell'Emergenza Sanitaria del Ministero, è se possibile ancora più chiaro: “In Spagna disponiamo di 4400 letti per terapia intensiva, tra ospedali pubblici e privati. Il sovraccarico di ingressi ci costringe a criteri di ammissione più restrittivi. La mancanza di letti può produrre morti potenzialmente evitabili. Perché scegliere a chi dare il respiratore e a chi no significa questo. [...] Ma le necessità durante un disastro sono maggiori delle disponibilità”.

Un paziente si rivolge al servizio sanitario per essere salvato, non per essere condannato. Così recita il giuramento di Ippocrate, e più in generale l'etica umana. Se un sistema sanitario è costretto a violare questo codice etico, e addirittura a confessarlo pubblicamente, non solo compie un crimine ma dà perciò stesso la misura di come è stato ridotto. Perché un punto dev'essere chiaro. Il coronavirus è un contagio terribile, ma non fa da solo una catastrofe. La fa solo se trova un servizio sanitario disossato costretto a scegliere tra la vita e la morte dei suoi pazienti. La responsabilità di questa catastrofe non è dei medici o degli infermieri, straordinari, che in Francia e Spagna come in Italia sono sul fronte di guerra, con orari massacranti, privi di protezioni adeguate, prime vittime del contagio. La responsabilità è di un sistema sociale criminale chiamato capitalismo che sacrifica sull'altare del profitto i principi più elementari dell'umanità e della stessa professione medica.

Ricordiamolo, tutto questo, per quando lo stato di emergenza sarà finito. Perché allora andranno chiamate alla sbarra le classi dominanti di questo mondo e di questa Europa. E sul banco dell'accusa dovranno sedere i lavoratori e le lavoratrici, a partire dai medici e dagli infermieri oggi al fronte.

Partito Comunista dei Lavoratori

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