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La pandemia e la tragedia italiana

20 Marzo 2020
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18 marzo 2020. In Italia 35.713 casi totali di contagio da coronavirus, 2.978 deceduti, 16.620 attualmente malati (ricoverati e in terapia intensiva) [fonte: Protezione Civile], per un tasso di malattia, aggiungendo i guariti, del 57,81%; 4025 guariti, mortalità del 8,34%. Una enormità!
Nello stesso momento nel mondo: 220.691 casi totali, 8.957 deceduti (fonte Johns Hopkins Coronavirus Resource Center), mortalità del 4,06%. La differenza salta agli occhi.
Tanto più se scorporiamo il dato italiano, la mortalità nel resto del mondo scende a 3,21%!
La differenza è talmente clamorosa che dovrebbe essere all’attenzione sia del mondo scientifico che di quello dell’informazione, per tentare di darne una prima spiegazione.

Perché il coronavirus, un agente virale che presenta scarsissime mutazioni genetiche tra un ceppo e l’altro, si accanisce così tanto contro la popolazione italiana?
Naturalmente i dati sono oggetto di discussione, dal momento che la i “casi” così come definiti non sono omogenei, nel senso che in taluni paesi si è provveduto ad effettuare i tamponi diagnostici solo nei malati, in altri sono stati effettuati anche sulle persone a rischio di contagio (che, ad esempio, avevano avuto un contatto durante il periodo di incubazione con una persona positiva al coronavirus), in altri sono stati effettuati tamponi a tutta la popolazione di un determinato territorio (ad esempio a Vo' Euganeo).
In ogni caso, trattandosi di numeri cospicui, questi dati sono fortemente significativi.

Lo sappiamo ormai: la malattia da coronavirus è una malattia altamente contagiosa caratterizzata da una relativamente elevata mortalità. Ciò, però, purtroppo non spiga il dato drammatico dell’Italia.
La vicenda cinese, che sembra in queste ore avviarsi ad una soluzione positiva (nessun nuovo contagio autoctono, e alcune decine di casi “importati”) dimostra un andamento diverso.
In Cina si sono avuti al momento 81.000 casi, di cui 3.245 deceduti (dati Ansa del 19 marzo 2020), con una mortalità del 4,01%. 7.263 persone sono ancora malate, e dunque possiamo stimare che i guariti o coloro che non hanno presentato significativi segni di malattia siano stati oltre 70.000, con un tasso oltre l’85%.
Il paragone più appropriato con la situazione italiana può essere quello della Corea del Sud. Questo paese è situato ad una latitudine vicina a quella del nostro paese. La popolazione è simile: poco sopra i 50.000.000 di abitanti contro i circa 60.000.000 dell’Italia. Anche il reddito pro capite non è molto diverso. In Corea del Sud si sono registrati al momento 8.565 casi totali di contagio, 91 decessi, 1.947guariti (dati Ansa del 19 marzo 2020), con una mortalità dell’1,6%!

Cos’è allora che fa impennare le statistiche nel nostro paese a confronto con questi paesi?
I fattori sono sicuramente molteplici, ed è sicuramente difficile determinare al momento quale sia quello principale. Sicuramente seguiranno approfonditi studi epidemiologici che potranno darcene una spiegazione su base scientifica.
Dunque al momento non abbiamo prove, ma possiamo provare a muoverci per via indiziaria.

A tal proposito è molto probabile – anche perché è stato al centro del commentario giornalistico e di settore in tutti questi giorni – che uno dei principali indiziati sia la capacità dimostrata o meno del nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN) di reggere l’urto poderoso dell’epidemia.
Il governo fin dai primi giorni ci ha ricordato l’”eccellenza” del nostro SSN, tanto più quello della Lombardia, dove è esploso il contagio con il maggior numero di positivi e di morti.
Nonostante ciò, fin da subito le misure progressivamente più severe nei confronti degli spostamenti delle persone sono state giustificate dal sovraccarico del SSN e dal pericolo che non potesse fare fronte all’epidemia.
La sanità lombarda è il fiore all’occhiello di quella nazionale, almeno a sentire autorevoli giudizi politici e di esperti negli ultimi decenni. Va detto che si tratta di un modello di sanità che vede una forte compartecipazione del settore privato con quello pubblico tramite il sistema degli accreditamenti.
Eppure proprio qui è esploso il problema dei pronto soccorso e degli ospedali divenuti autentiche fonti di contagio, nonché degli innumerevoli operatori sanitari positivi al coronavirus. La situazioni è divenuta tragica negli ultimi giorni soprattutto nella provincia di Bergamo e di Brescia, cuore dell’industria meccanica italiana. A proposito di questa particolare situazione abbiamo già scritto.

Sono molti giorni che giustamente medici e operatori sanitari vengono definiti “eroi” per la loro abnegazione, e per il loro sacrificio. È indubbio, a loro deve andare il nostro ringraziamento. Ma se quella contro il coronavirus è una guerra, come viene definito da più parti, dobbiamo essere in grado di schierare un esercito all’altezza della battaglia. Sappiamo bene che sicuramente un esercito forte ha bisogno di soldati di valore, che sappiano combattere eroicamente alla bisogna. E questo, come abbiamo visto, non ci manca. Ma qualsiasi pivello uscito da una qualsiasi accademia militare sa che per vincere la guerra, un esercito deve essere anche adeguatamente attrezzato. E qui purtroppo casca l’asino!

Già. La sanità, o meglio il nostro SSN, come sta?
I dati storici ci presentano un quadro impietoso. Dal sito quotidianosanità.it apprendiamo che negli ultimi dieci anni in Italia sono stati tagliati 200 ospedali, 45.000 posti letto, 10.000 medici e 11.000 infermieri. Bisogna aggiungere che i tagli hanno riguardato in particolar modo la sanità pubblica, quella che disperatamente sta tentando di reggere l’urto dell’epidemia, mentre è relativamente cresciuto nel tempi il comparto privato accreditato (fino al oltre il 48% del totale), che solo oggi, dopo tre settimane drammatiche di scoppio della malattia, viene chiamato a svolgere un ruolo complementare a quello dei sanitari in prima linea, e non ugualmente in tutte le regioni italiane.
Peraltro oggi, dopo circa un mese dallo scoppio dell’epidemia nel nostro paese e dopo che per più due mesi avevamo visto i suoi drammatici effetti a Wuhan e nella provincia di Hubei in Cina, a medici e infermieri mancano addirittura i più elementari dispositivi di protezione individuale, ad esempio le mascherine.
In particolare il taglio selvaggio dei posti letto ne ha fatto crollare il numero ogni 1000 abitanti a 3,2, ben al di sotto della media OCSE di 4,7. Nella UE la parte del leone la fa la Germania, con ben 8 poti letto ogni 1000 abitanti. Mentre al contempo la Spagna, che vede una crescita dei contagi e purtroppo dei decessi molto simile alla nostra, conta un numero di solo 2,5 posti letto ogni 1000 abitanti, un numero addirittura inferiore a quello dell’Italia.
Soprattutto è interessante il confronto con la Corea del Sud. In questo Paese, come abbiamo visto, lo stesso virus ha determinato un evento epidemico ben diverso da quello italiano. Lì la mortalità da Covid-19, infatti, ad oggi si attesta intorno all’1%, contro 8,34% dell’Italia!
Ci chiediamo: è possibile che questo dato possa essere correlato non esclusivamente ma anche ed in maniera importante all’enorme differenza del numero di posti letto ogni 1.000 abitanti? In Corea del Sud questo numero è di circa 12 contro il misero 3,2 della sanità italiana!

Chiediamo al mondo scientifico, a quello politico e quello giornalistico se sia legittimo ritenere che in Italia il SSN, non certo per sua responsabilità, non abbia potuto ospedalizzare adeguatamente tutti i malati, quanto meno rispetto alla Corea del Sud, e pertanto ciò stia influendo in maniera importante, se non determinante, sull’elevatissima mortalità da coronavirus che si registra nel nostro paese.
Ora invece ci rivolgiamo al nostro mondo, quello che vogliamo rappresentare: il mondo del lavoro.
Care lavoratrici e lavoratori, vi domandiamo: se medici e infermieri sono eroi che affrontano l'epidemia a prezzo della propria salute e incolumità, non siamo forse autorizzati a pensare che chi in questi anni ha tolto loro risorse, mezzi e strutture per affrontare questa ed altre emergenze ha commesso un autentico crimine contro la popolazione italiana? 

La classe lavoratrice si deve risvegliare e scuotere un ordine sociale la cui classe dominante, quella dei capitalisti, la sta esponendo in questi giorni, in queste ore, al pericolo di contagio in nome della continuità della produzione a tutto profitto del padronato.
Deve combattere un sistema politico capace soltanto di produrre governi che, composti dalle più diverse forze politiche dell'arco parlamentare da destra a sinistra, hanno invariabilmente tagliato lo stato sociale e sottratto enormi risorse al sistema sanitario per ripagare il debito alle banche e all'interesse usuraio maturato nei loro confronti.
Governi che mentre procedevano ai tagli lineari a sanità, scuola e servizi, garantivano il profitto delle grandi imprese mediante massicce defiscalizzazioni, in ossequio alla competizione imperialistica internazionale (la tutela del cosiddetto made in Italy) e per attrarre investimenti da parte di multinazionali che hanno il solo l'intento di razziare ed andarsene. È il caso ad esempio di Ilva e Whirlpool. 

Per fare questo la classe lavoratrice deve cambiare radicalmente le direzioni delle proprie organizzazioni sindacali, a partire dalle maggiori, come la CGIL, la cui burocrazia invece di tutelarla sorregge oggi il governo delle elemosine sociali mentre al contempo si accoda al padronato nella strenua ricerca di una rinnovata forma di collaborazione di classe che ne garantisca il ruolo e i piccoli e meschini privilegi. 

Oggi più che mai è evidente che solo la classe lavoratrice può porre rimedio alla catastrofe della crisi capitalista, instaurando un ordine sociale che si basi sulla forza della sua organizzazione e sulla responsabilità della sua direzione.

Partito Comunista dei Lavoratori

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