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La fabbrica ai tempi del coronavirus. Intervista a un operaio di FCA

19 Marzo 2020
FCA_coronav


L'emergenza sanitaria che ha colpito l'Italia e altri paesi ha creato dei grandi problemi ai proletari di tutto il mondo. Molti lavoratori sono costretti a lavorare in condizioni sanitarie precarie. Un operaio di FCA di Torino ci ha parlato del suo contesto lavorativo durante la pandemia.

Da quanto tempo lavori come operaio in FCA?

Oramai sono passati svariati anni. Sono entrato come interinale per poi essere definitamente assunto con il contratto a tutele crescenti del Jobs Act. Appena si entra in questa realtà, ci si rende velocemente conto della differenza di diritti fra i nuovi assunti e quelli che lavorano con il vecchio contratto a tempo indeterminato. Col quale contratto si veniva tutelati grazie all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Non è un caso che, nonostante la crisi, si continui a cercare personale per disfarsi di quei lavoratori che sono ancora sotto le tutele garantite dal vecchio contratto.


Cosa è cambiato nella fabbrica dopo lo scoppio dell'emergenza Covid-19?

Inizialmente poco e niente, nel senso che appena iniziò la crisi in Cina ci fu un picco di lavoro e un aumento dei volumi. Con l'arrivo del virus in Italia la gente incominciò a spaventarsi: arrivarono le prime mutue con l'effetto di avere praticamente un intero reparto chiuso per assenza di lavoratori. Poi nel mio reparto abbiamo incominciato a chiederci cosa ne sarà di noi come operai e azienda. Così si sono riuniti i sindacati e hanno incominciato a parlare di questa cosa qua. Inizialmente non hanno detto praticamente nulla, visto che non c'era nessuna ordinanza; in un secondo momento, circa una settimana fa, avevano detto che avrebbero intensificato un po' di più la pulizia (due giri di pulizie per turno) e hanno poi cambiato le dispense del sapone in bagno. Tuttavia avevano detto che avrebbero preso la temperatura corporea all'ingresso dell'azienda, cosa mai fatta, e avrebbero controllato il flusso negli spogliatoi, uno dei luoghi più pericolosi per il contagio assieme alla mensa, dove si crea sempre affollamento. I flussi in spogliatoio non sono mai stati controllati, e l'unica cosa che è stata fatta in mensa fu il disporre delle strisce a terra per segnalare un metro di distanza. Quindi, come avevano chiuso tante attività commerciali, pensavo che potessero chiudere la nostra, ma così non è stato. L'ordinanza di Conte non ha cambiato niente: in fabbrica si continua a lavorare. Stamattina [13 marzo] vengo a sapere che chiudono i colossi di FCA come Pomigliano, Melfi, Grugliasco e persino la Maserati a Modena; nel mentre ci dicono che dal momento che noi produciamo i motori non si può chiudere.


Hai detto che alcune precauzioni sono state prese. Tuttavia sono insufficienti, giusto?

Esattamente. Per esempio, i dispenser per il sapone igienizzante, in teoria, dovevano essere sparsi per tutta l'azienda, quando invece sono rimasti i soliti due o tre che avevo visto. Di mascherine non ce ne sono più da tanto tempo, e anche se le postazioni sono ben distanziate, rimane sempre il problema dello spogliatoio. Non ci hanno dato neanche tute e guanti ad hoc per contrastare il contagio. Il tutto rende il posto di lavoro poco sicuro, e nessuno ci ha dato delle soluzioni, a meno che uno per iniziativa personale decida di rimanere a casa. So che diverse aziende hanno fatto una riunione con gli operai per fare informazione. A noi non hanno detto nulla di ciò, nemmeno ci hanno informati sul fatto che c'è la possibilità della cassa integrazione, pagata dallo Stato, per affrontare l'emergenza. Evidentemente non gli interessa, perché vogliono sfruttare questo picco di lavoro per aumentare i profitti finché è possibile.


Quindi immagino che nel tuo posto di lavoro ci sia una forte preoccupazione. Come stai vivendo tu e i tuoi colleghi questa situazione?

Sì, c'è una grande preoccupazione. Anche il capo stesso capisce perché molti stanno a casa. Mi tengo in contatto con i colleghi tramite Whatsapp, dove mi mandano notizie sulla situazione. Ci si chiede: vado o non vado? Ho preferito mettermi in mutua e, se tutti decidessero di non andare, si potrebbe avere un impatto importante e magari convincere della necessità di chiudere.


Quali sono i sindacati presenti in azienda? I vostri rappresentanti sindacali si stanno muovendo a tal proposito?

I sindacati sono i soliti che ruotano intorno a CGIL, CISL e UIL. Durante tutto questo, i sindacalisti non è che sono venuti a informarci o chiedere se avevamo bisogno. In generale vengono solo quando si tratta di raccogliere i loro voti e gareggiare per avere i permessi e non andare a lavorare. Inoltre, proprio oggi ho saputo che uno di loro è risultato positivo al coronavirus.


E nonostante un lavoratore sia risultato positivo, l'azienda non ha fatto nulla?

Praticamente nulla: c'è stato giusto un comunicato venerdì per informarci della chiusura dell'impianto per disinfettare e tornare a lavorare poi di martedì.


Recentemente ci sono stati vari scioperi spontanei da parte degli operai, come quello di FCA a Pomigliano. Scioperi fatti proprio per denunciare le condizioni di lavoro non sicure. Pensi che sia possibile e utile replicare questo tipo di esperienze dove lavori adesso?

È molto difficile, soprattutto per il Jobs Act, che è stato creato proprio per queste evenienze. A Pomigliano non hanno paura di fare quegli scioperi lì. Noi invece abbiamo paura delle ritorsioni, vieni minacciato continuamente in maniera indiretta dal capo-officina che fa battutine e che se gli stai antipatico ti manda a fare i lavori più schifosi. Un altro problema è che anche quando si vogliono fare le cose, ci si ritrova sempre in due o tre. Il fatto di non essere tutelati dal licenziamento paralizza tutti.


L'ultima dichiarazione di Conte ti rassicura un po'? Credi che quelle disposizioni verranno applicate anche se non vincolanti?

Non mi rassicura per niente, perché continua a dare credito alla mia tesi che sono le multinazionali che decidono anche per lui. Anche se i decreti portano la sua firma, è sempre la multinazionale che decide. Mi sembra una buffonata che si chiuda a Pomigliano e Melfi, che assieme alla Maserati formano parte del cuore di FCA, e noi no perché produciamo i motori. Motori che stanno riempiendo magazzini interi continuamente, quelli che stanno mandando in Polonia adesso sono di settembre, per dire. Questo per far capire che fermare la produzione per l'emergenza coronavirus non creerebbe quel danno enorme che ci vogliono far credere.


In precedenza hai parlato della paura di scioperare per le ritorsioni del padronato. Cosa ne pensi però della prospettiva di uno sciopero generale organizzato?

Si potrebbe fare. Il punto è che dev'essere corposo e partecipato. Purtroppo, nella mia realtà da qualche anno si è creato un clima piuttosto brutto, dove i capo-reparti più che avere dei collaboratori hanno delle spie che mettono paura ai lavoratori, soprattutto quelli più giovani. Da quando è iniziata la produzione di motori ibridi questo aspetto è peggiorato ancora di più: con i turni notturni facevamo tre turni con riposo, sabato e domenica pagati come giorni normali; inoltre non permettono cambi turno in modo che il notturno venga usato come una sorta di punizione.


Hai qualche parola da dire ai lavoratori, anche di altri settori, che stanno in una condizione simile alla tua?

Un buon inizio per migliorare sarebbe parlare fra tutti noi e organizzarci e far presente certe cose al personale. Se riuscissimo a ottenere qualcosa prima di dover andare ad attaccarci ai cancelli per farci sentire e rifiutarci di lavorare, sarebbe ottimo. Se no significherebbe che i veri scioperi fatti in passato e le lotte degli anni '70 non sono servite a nulla.

Juan Catracho Malverde, PCL Torino

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