Interventi

Coronavirus. Landini agevola le imprese

Un commento al "protocollo sicurezza"

16 Marzo 2020
Landini


Dall’inizio dell’epidemia di coronavirus e fino a un paio di giorni fa, l’apparato sindacale si era dedicato alacremente al suo sport preferito: fare il consigliere pratico di governo e Confindustria. Fedele alla linea, la sua litania, ben più pestifera del morbo del momento, era: «bisogna far questo e bisogna far quello», purché lo facesse chiunque tranne il sindacato chiamando all’agitazione i lavoratori.

Come era ovvio, l’azione sindacale, demandata alla controparte padronale e al suo governo, ha ottenuto soltanto che al posto di mettere in sicurezza i lavoratori dal Covid-19, padroni e governo continuassero a mettere in sicurezza il profitto dal virus per loro letale delle pretese dei salariati.

Abbandonati a sé stessi dai vertici sindacali, in attesa di una parola che non fosse solo di commento ma anche d’ordine, i lavoratori, da Nord a Sud, hanno reagito proclamando scioperi in tutta l’Italia.

Invece di provare ad estendere ed unificare le lotte, generalizzandole con una piattaforma nazionale che chiedesse chiusura totale delle imprese inessenziali, la messa in sicurezza di quelle essenziali, la garanzia al 100% dei salari e magari – perché no? – un rinnovo decente dei contratti nazionali scaduti, la triplice sindacale, Landini in testa, ha usato questa due giorni di lotte per aprirsi l’ennesimo spazio di finta trattativa col governo Conte. Così, grazie ai lavoratori, lui, Furlan e Barbagallo hanno strappato l’unica cosa che conti davvero per loro: essere riconosciuti e ammessi ai tavoli di governo e padronato.

Conte, invece, il cui unico incubo è un attacco virale al profitto, di cui è fedele servitore, ottiene di ribadire sostanzialmente la sua linea, facendola passare come accordo tra le parti, con la benedizione della triplice chiamata a stoppare e a smorzare lo slancio dei lavoratori in sciopero.

È questa, in pratica, la sintesi della due giorni che va dagli scioperi “spontanei” nelle fabbriche al protocollo condiviso tra sindacati, governo e padronato contro il coronavirus.

Fin dalla pestilenziale premessa, il protocollo ci spiega che è atto “ad agevolare le imprese”, non i lavoratori. Purtroppo, come questi giorni di lotte e di sciopero dimostrano ampiamente, l’unica maniera per agevolare le imprese è ammorbare i lavoratori, almeno fino al 25 marzo, data più o meno di scadenza del protocollo. Poi forse non servirà più, perché nel frattempo Conte e Confindustria avranno ottenuto di infettare tutti i lavoratori sull’altare del profitto. Peraltro, fino a quel giorno tutto è scaricato sostanzialmente sulla capacità d’intervento delle RSU (dove ci sono, perché nei milioni di posti di lavoro con pochi dipendenti, dove sono assenti, è lasciato di fatto all’arbitrio del padrone), per dividere e indebolire i lavoratori, lasciando alle imprese di fare, fabbrica per fabbrica, più o meno come hanno fatto fino adesso.

Per agevolare le imprese, i lavoratori dovranno subire l’umiliazione della misurazione della febbre all’ingresso delle fabbriche, e se questo viola la privacy, i lavoratori potranno sempre fregiarsi del diritto veramente epocale che la misurazione non sia registrata.

Per non mettere a rischio il profitto, i lavoratori dovranno usare guanti e mascherine, ma solo qualora ci siano. Qualora non ci siano, dovranno accontentarsi di quello che c’è e di una dichiarazione di conformità dell’autorità sanitaria per quelli usati in loro sostituzione. In pratica, dovranno far finta che guanti e mascherine ci siano anche se non ci sono o non sono proprio a norma.

La distanza di sicurezza dovrà essere un metro, a meno che una simile misura non rischi di contagiare il profitto. In quel caso, i lavoratori potranno stare anche a un centimetro, purché ricorrano a guanti e mascherine. Ma siccome guanti e mascherine per il protocollo non sempre ci sono, già che fan finta di averli, faranno anche finta di essere a due metri, e per il protocollo avranno risolto il problema!

Naturalmente se per tutelare il profitto i lavoratori potranno stare anche gomito a gomito, al contrario, qualora si tratti di loro stessi, non potranno riunirsi in assemblea, neanche con la mascherina a norma, ammesso la trovino da qualche parte tra i proclami roboanti dell’autorità sanitaria.

Se per agevolare le imprese tutto questo non basta, i profittatori potranno sempre difendersi dal morbo delle richieste salariali dando ferie e permessi. A chi? Ai lavoratori? Ma no, al coronavirus! Infatti, mentre il morbo fa il giro d’Italia in vacanza premio offerta dalla “triplice intesa” governo-Confindustria-sindacati, i lavoratori andranno in ferie o in permesso per restare murati vivi in casa. Giustamente bisogna rimanere al fresco e in prigione oggi, come ad esempio in Fincantieri, per stare domani, ad agosto, sotto il sole cocente a sgobbare. Naturalmente il protocollo precisa «ferie arretrate e non ancora fruite», come se non sapessimo che una volta aperto alle ferie passate, le imprese giocheranno con le parole “non ancora fruite” e passeranno come un rullo compressore sulle ambiguità del protocollo.

A onor di cronaca, questa idea vile e meschina, figlia del servilismo più sordido, non è nemmeno di Landini, è offerta in dono a Conte dagli eterni appestati di sinistra, i Tonino Perna, i Piero Bevilacqua, gli Alfonso Gianni, eccetera, quelli che pur di non fare l’unica rivoluzione possibile, quella socialista, fanno appello a tutti gli spostati come loro perché rivoluzionino il calendario a misura delle imprese.

Dando ferie e permessi, Confindustria prende due piccioni con una fava. Infatti, se per caso i lavoratori hanno pure la disgrazia di avere un premio a forma di welfare, che come è noto i più non sanno come spendere, potranno sempre investirlo per un favoloso giro del mondo dalla cucina al bagno, e buttarlo direttamente dalla finestra per la gioia del padrone che starà lì sotto a raccoglierlo, per risparmiare anche quello.

E se di ferie e permessi fossimo a corto? Non preoccupatevi, signori padroni! In alternativa (per il protocollo «in via prioritaria», sic!), in attesa di sanificare una volta per tutte le fabbriche dal morbo degli scioperi, Landini e protocollo vi offrono la possibilità di ricorrere alla cassa integrazione. I lavoratori, presi tra due fuochi, devono essere costretti a scegliere: se proprio vogliono salvarsi dal coronavirus, devono accettare per forza di ammalarsi degli stenti e della fame della cassa integrazione.

L’idea che il padrone debba versare anche solo un obolo e perderci qualcosa non è contemplata né dal protocollo né da Landini né da quelli come lui. Comunque la si giri, deve pagare sempre il lavoratore, il capitale deve restare intangibile.

Doveva essere il protocollo della salute che viene prima del profitto, ne è venuto che al massimo la salute viene prima del salario, se per salute intendiamo quella del capitale, perché la salute del lavoratore non sarà mai indipendente dal salario. Anzi, più si abbassa il salario, più il lavoratore si ammala e rischia di morire molto più di miseria che di coronavirus.

Ben pasciuti da una carriera al riparo dai rovesci delle borse e dei virus, i sindacalisti burocrati il salario non lo nominano nemmeno più, non è un problema loro, è un problema dei lavoratori. Per loro, una volta messi in ferie o in cassa i lavoratori, non danneggiati i padroni manco di striscio, il problema coronavirus è risolto.

Tutto questo è chiamato difendere i lavoratori. Per noi, nella migliore delle ipotesi, è rimandare il problema non più in là di una decina di giorni, quando gli operai si ritroveranno nelle fabbriche con lo stesso problema coronavirus di prima, col salario però alleggerito da scioperi stoppati dalla burocrazia per ottenere la roboante vittoria delle ferie anticipate e della cassa integrazione.

Noi ribadiamo che a pagare devono essere i padroni. Se le burocrazie approfittano delle lotte spontanee che non hanno proclamato per mettere in cassa integrazione chi sciopera, tocca ai lavoratori riprendere la lotta fino a quando la salute dei lavoratori sarà tutelata dal coronavirus fin dentro il portafogli.

Sono il capitale ed il profitto che debbono essere messi in quarantena, non la forza-lavoro. In cassa integrazione ci vada Landini. Solo a casa, in totale sicurezza e a pancia piena, il salario potrà guarire dal coronavirus, dal morbo del capitale e da quello ancora più pernicioso della burocrazia sindacale che ci campa in mezzo.

Lorenzo Mortara

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