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La parola è alla lotta: sciopero generale!

Il protocollo d'intesa non tutela gli operai ma i capitalisti

15 Marzo 2020
Conte e sindacati


La stampa borghese plaude al protocollo d'intesa tra direzioni sindacali e padronato. Le parole auliche si sprecano: “testimonianza dell'unità nazionale nel momento del bisogno”, “grande prova di responsabilità delle parti sociali in un momento difficile”, “le fabbriche al servizio del Paese”, e così via discorrendo lungo i sentieri consumati della retorica d'occasione. Il tutto sullo sfondo scenico di chi applaude affacciato al balcone magari intonando l'inno d'Italia. Ma se si sfronda la confezione ampollosa che avvolge la merce si scopre la sua realtà, quella di una truffa bella e buona.


NESSUN OBBLIGO PER I PADRONI

Le norme per la sicurezza sono del tutto evanescenti, persino nei dettagli. Mascherine, guanti, occhiali, tute, cuffie e camici conformi – previsti peraltro solamente quando il lavoro imponga una distanza interpersonale minore di un metro – non sono vincolanti: dipendono dalla disponibilità “di commercio” (testuale). Concretamente significa che non vi sono e non vi saranno nei prossimi giorni, dato che lo stesso governo che ha incensato il protocollo dichiara candidamente di aver distribuito solamente 5 milioni di mascherine, a fronte di una necessità immediata di 90 milioni di capi. Del resto, mancano oggi le mascherine consone persino per il personale medico e paramedico, esposto per questo più di altri al contagio. Si dovrebbe credere che lunedì saranno disponibili nelle fabbriche o nei magazzini della logistica?

Lo stesso vale per le misure di sanificazione delle postazioni di lavoro, mense, spogliatoi, che richiedono la disponibilità di liquidi igienizzanti oggi largamente assenti o non usati. Il protocollo non dice affatto che in assenza di queste misure la produzione deve essere sospesa. No. Dice che in questo caso le aziende potranno sospenderla, disponendo di ammortizzatori sociali. In altri termini, persino nel dettato formale dell'accordo l'inosservanza delle norme non prescrive l'obbligo dell'arresto della produzione ma solo la facoltà padronale di sospenderla. Il che significa che il padrone lo farà quando ne ha convenienza, come già oggi avviene in molti casi (magari a fronte di una crisi acuta di mercato), o proseguirà imperterrito a sfruttare i suoi operai senza dotarli di protezione. In ogni caso la garanzia per il lavoro è inesistente.


NESSUNA SANZIONE PER I PADRONI INADEMPIENTI

L'argomento per cui “i lavoratori potranno far leva sull'accordo per esigere il rispetto delle misure previste” manca dunque del presupposto necessario: l'accordo non prevede misure vincolanti ma solamente possibili.

Ciò è talmente vero che il protocollo non prevede alcuna sanzione o misura deterrente per i padroni che dovessero ignorarle. Nulla di nulla. La produzione può continuare come prima, come può continuare anche in caso di accertato contagio nel reparto di riferimento. Anche in questo caso non si prevede alcun obbligo di sospensiva, magari per allargare l'accertamento sanitario e sanificare la postazione di lavoro, ma solamente l'obbligo per il lavoratore di segnalare la propria condizione in modo da predisporre il suo isolamento. Se dunque – come in tanti casi è accaduto – il padrone mantiene la continuità della produzione nonostante la presenza di contagi, non incorre di per sé in alcuna sanzione, tutt'al più una ramanzina, o un comunicato di denuncia. Da questo punto di vista suona grottesca l'argomentazione di Landini, riportata da Il Manifesto: «se non ci sono le condizioni, non si lavora: non è che se l'azienda paga una multa poi può produrre». Perché la realtà è esattamente opposta: l'azienda può continuare a produrre senza pagare neppure una multa, di cui infatti nel protocollo non c'è traccia.


CHI PAGA GLI AMMORTIZZATORI?

Non solo. Quand'anche il padrone dovesse sospendere la produzione per predisporre migliori condizioni, chi pagherebbe il costo della sospensione?

Il protocollo ribadisce e copre il possibile sequestro delle ferie da parte del padrone, come ha fatto in queste ore Fincantieri. Significa che gli operai, magari in quarantena, devono farsi le ferie tappati in casa per poi lavorare in agosto, cioè nei fatti rinunciare alle ferie. Significa scaricare sui lavoratori il costo della crisi sanitaria a vantaggio dei profitti del loro padrone.

Poi c'è l'aspetto economico. Il protocollo fa riferimento alla disponibilità di ammortizzatori, cassa integrazione ordinaria ma anche un’estensione della cassa integrazione in deroga. Bene. Il problema è semplice: chi paga? È un tema che si pone da due punti di vista.

Il primo: la cassa integrazione prevede la decurtazione dello stipendio. Ma con 940 euro non si campa. E in ogni caso non è accettabile che gli stessi operai che hanno subito negli anni l'impoverimento dei propri salari, e che oggi si vedono privati persino del rinnovo del contratto, debbano stringere ulteriormente la cinghia, a fronte di aziende quotate in Borsa che hanno fatto nel solo 2019 ventiquattro miliardi di utili netti.

Secondo: chi paga la cassa integrazione straordinaria? Se la si paga in deficit, e quindi aumentando il debito pubblico con le banche, si finisce con lo scaricare il costo sui salariati per pagare nuovo debito e interessi sul debito (che già ammontano a 70 miliardi l'anno). Se la si paga attraverso la fiscalità generale si finisce anche qui col farla pagare ai salariati, visto che assieme ai pensionati reggono l'80% del carico fiscale.

Il protocollo su tutto questo è muto. È la silenziosa confessione che a pagare il conto saranno chiamati come sempre i lavoratori e le lavoratrici.


LA VERA PARTITA DI SCAMBIO TRA DIREZIONI SINDACALI E CONFINDUSTRIA

Il protocollo d'intesa tra Confindustria e vertici sindacali ha un significato politico che va ben al di là del testo e che al tempo stesso lo spiega.

Confindustria ottiene dalle burocrazie sindacali la copertura necessaria per continuare a produrre, mettendosi al riparo da eventuali misure di governi regionali. Il concetto è che se un’azienda chiude o sospende la produzione lo decide appunto l'azienda, magari in rapporto con la sua organizzazione territoriale, non un soggetto esterno: è esattamente quel principio di “autodeterminazione” cui Confindustria teneva.

La burocrazia sindacale dal canto suo ottiene la ricercata legittimazione di interlocutore istituzionale di Confindustria e governo. Il concetto è: “cari padroni, avete bisogno di noi se volete continuare a produrre, ammortizzando e controllando il conflitto di fabbrica”.

Questa è la vera partita di scambio, il resto è contorno. Ma ora il vero banco di prova del protocollo saranno da domani proprio le fabbriche e i luoghi di lavoro.


LA SALUTE NON SI BARATTA. ALLARGARE GLI SCIOPERI. SCIOPERO GENERALE

Gli scioperi operai tra martedì e venerdì hanno espresso una carica combattiva importante, nella sorpresa generale. Lo stesso incontro nella notte di venerdì tra sindacati, padroni e governo, e il relativo protocollo, ha lo scopo di sedare il conflitto o di imbrigliarlo in una cornice concordata. Ma non sarà facile né tanto meno scontato.

Il controllo operaio sulle condizioni del lavoro è diventato un terreno centrale dello scontro di classe. Non è un terreno nuovo. Cinquant’anni fa l'autunno caldo operaio, dopo una lunga stagione di sconfitte, rivendicò il controllo della salute in fabbrica. Fu, all'epoca, una delle principali rivendicazioni dei consigli dei lavoratori. Cinquant’anni dopo, il dramma del contagio del coronavirus ripropone con forza, in un quadro diverso, lo stesso tema.

La salute in fabbrica non può essere affidata né ai padroni né al governo. Sono i lavoratori e le lavoratrici che debbono verificare autonomamente le condizioni sanitarie del proprio lavoro in fabbrica. Queste condizioni oggi non ci sono, come attesta l'esperienza generale quotidiana, né possono essere garantite da un protocollo di cartapesta.

Per questo è necessaria la lotta. Per questo è necessario lo sciopero. Per questo è necessario unificare il movimento di sciopero che si è sviluppato nelle fabbriche, spesso spontaneamente, in un vero sciopero generale. Non uno sciopero simbolico e rituale, ma uno sciopero capace di durare sino a che nelle fabbriche e nelle aziende vi siano accertate condizioni di sicurezza per i lavoratori. E l'accertamento dev'essere affidato ai lavoratori stessi, attraverso i loro organismi sindacali fiduciari, a partire da RSU e RLS.

Unificante dev'essere anche la piattaforma di lotta dello sciopero: blocco dei licenziamenti, no alle ferie obbligate, garanzia del 100% del salario per i lavoratori, controllo operaio sulla condizione sanitaria in fabbrica (dispositivi, sanificazione delle postazioni, igienizzazione di mense e spogliatoi, riorganizzazione dei turni, della produzione e del trasporto).

A pagare il conto del coronavirus siano i capitalisti, non i lavoratori e le lavoratrici!

Partito Comunista dei Lavoratori

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