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La situazione politica e l'iniziativa del PCL

Risoluzione politica del Comitato Centrale del 22-23 febbraio

8 Marzo 2020
risoluz_CC_02/2020


La lunga stagnazione economica dell’Italia si sta incrinando. Il PIL italiano dell’ultimo trimestre 2019 dai primi calcoli evidenzia un segno negativo (è stato così per due trimestri nel 2018 e, precedentemente, solo nel 2014). Un segno negativo collegato al pesante calo della produzione industriale lo scorso anno: meno 1,3 per cento. Nel solo mese di dicembre 2019 il calo è stato del 2,7% rispetto al mese precedente, dell’1,4% rispetto al trimestre precedente e addirittura del 4,3% rispetto al dicembre 2018. Un calo così forte non si registrava dal 2012, anno della seconda recessione italiana nel quadro della Grande Crisi aperta nel 2008-'09. Questa nuova e negativa stagione economica italiana si inserisce nel quadro delle tensioni internazionali e dell’incubazione di una nuova precipitazione mondiale della Grande Crisi, che registravamo allo scorso CC di dicembre 2019. Un tempo sospeso, in cui sebbene la crescita mondiale negli ultimi anni si sia stabilizzata intorno al 3%, si moltiplicano i segnali di una possibile prossima recessione (inversione dei tassi USA sui titoli del tesoro, stagnazione crescita e produzione industriale mitteleuropea, rallentamento cinese, tensioni tra potenze con le relative guerre monetarie e commerciali).
È in questo quadro che stanno precipitando le fragilità sul sistema produttivo ed economico italiano, sempre registrate nella risoluzione dello scorso Comitato Centrale. In un tessuto già frammentato, in cui da tempo è venuto a mancare un asse di riferimento, il capitale italiano evidenzia sempre più la sua dinamica centripeta, muovendosi su diverse traiettorie e prospettive (non a caso proprio in queste settimane emerge l’ennesimo scontro per le elezioni dei prossimi vertici confindustriali). Si moltiplicano in ogni caso le situazioni di crisi industriale e i processi di ristrutturazione: dal perdura della crisi Ilva al costante ritorno di quella Alitalia, dall’improvvisa liquidazione di Air Italy all’acquisizione di Auchan da parte di Conad. Una dinamica che interessa in modo particolare la filiera dell’automotive, interessata da riconversioni e acquisizioni di ampio spettro (il passaggio all’elettrico, la fusione FCA-PSA), arrivando a colpire imprese e stabilimenti non toccati negli scorsi anni (dalla GKN alla Continental). Una dinamica che, dalla fabbrica alla grande distribuzione, intensifica la pressione sul lavoro, sia in relazione al suo controllo (organizzazione e tempi) sia in relazione al salario (spingendo per una sua maggior flessibilità ed indebolendo i rapporti di forza). Una dinamica che arriva a lambire o colpire anche realtà e settori di avanguardia, che avevano tenuto nell’ultimo decennio alti livelli di organizzazione e di combattività. Una dinamica che, per il momento, non sembra innescare però né una reazione di massa né ancora un risveglio tra i lavoratori e le lavoratrici di una tendenza spontanea e inarrestabile all'unità.
La situazione politica resta segnata da un quadro generale di instabilità. Il governo Conte bis non è riuscito a trasformarsi in una alleanza politica di prospettiva. La crisi profonda del M5S minaccia la sua principale base d'appoggio parlamentare. La nascita di Italia Viva dalla scissione del PD introduce un elemento di fibrillazione e rilancio negoziale obiettivamente logorante. Il quadro economico, in nuova flessione, restringe lo spazio di manovra sociale del governo. La risultante d'insieme è un galleggiamento precario dell'esecutivo, esposto a continue incognite. Il principale fattore di tenuta del governo resta l'ostilità ad elezioni anticipate dei diversi attori della maggioranza e le pressioni del Quirinale per arrivare al 2022 con l'attuale Parlamento, mentre resta intatta la forza del blocco sociale di centrodestra, nei suoi numeri e nella sua composizione.


IL VOTO REGIONALE IN EMILIA E CALABRIA

Il voto in Emilia-Romagna e in Calabria è ricco di indicazioni. I due blocchi sociali di centrodestra e di centrosinistra sono reciprocamente impermeabili. In Emilia-Romagna la vittoria del centrosinistra non è dovuta a uno spostamento dal blocco sociale della destra, ma alla capitalizzazione del crollo del M5S, e alla rimotivazione al voto contro Salvini di una parte di elettorato di centrosinistra precedentemente passivizzato. Una rimotivazione su cui certo ha influito il movimento democratico delle sardine (viceversa ininfluente in Calabria). Il centrodestra registra una battuta d'arresto di Salvini sul piano politico per l'effetto boomerang di una vittoria annunciata in Emilia, per la caduta elettorale della Lega in Calabria, per l'ascesa di Fratelli d'Italia anche a scapito della Lega. Ma il blocco sociale del centrodestra e della Lega stessa resta saldamente impiantato nelle masse popolari, a partire da larga parte dei lavoratori salariati, dei piccoli paesi, della provincia profonda. La tesi di una sconfitta della destra è dunque elettoralmente e politicamente infondata. Il crollo del M5S in Emilia e Calabria ha valenza generale. Dopo la vittoria del 4 marzo 2018 il M5S registra una caduta libera e accelerata. Prima prevalentemente in direzione della Lega (elezioni europee del 2019), ora in Emilia verso il centrosinistra. Il crollo del M5S spinge a un ritorno alla dinamica bipolare e ne è esso stesso effetto. Le elezioni in Emilia e Calabria sono cariche di effetti politici. Il PD vede rafforzata la segreteria Zingaretti e la sua ambizione a ricomporre attorno a sé un “campo largo” di centrosinistra, col coinvolgimento di soggetti civici, una relazione più stretta col mondo delle sardine, il consolidamento dei rapporti a sinistra (tra confluenza nel PD del grosso di Articolo Uno e lo sviluppo di una sinistra del centrosinistra attorno all'esperienza della lista Coraggiosa e a Sinistra Italiana). Nel centrodestra la battuta d'arresto di Salvini e l'ascesa di Fd'I aprono una fase di rinegoziazione degli equilibri tra le componenti. Fd'I si presenta come la forza della coalizione col maggior potenziale di crescita a danno sia della Lega che di Forza Italia, e quindi alla ricerca di un maggior accreditamento su scala nazionale e internazionale, mentre la Lega reagisce alla nuova concorrenza insistendo sulla proiezione nazionale del partito nel Sud e allargando il lavorio verso gli ambienti dell’establishment italiano ed europeo. Il crollo elettorale del M5S accentua la sua crisi verticale. Crisi di ragione pubblica identificabile, di prospettiva politica, di catena di comando interna, lungo una dinamica potenzialmente esplosiva aperta a ogni possibile scenario (ricomposizione e tenuta in un quadro di netto ridimensionamento, scissione, polverizzazione).


LA PRECARIA SOPRAVVIVENZA DEL GOVERNO CONTE

La risultante d'insieme di tutti questi fattori è una sopravvivenza precaria dell'attuale quadro di governo, sospeso in una crisi virtuale. Da un lato la precipitazione della crisi di governo è ostacolata da diversi elementi: la difficoltà a individuare una soluzione politica di ricambio all'interno della maggioranza di governo, e l'ostilità al voto anticipato di tutti gli attori politici della maggioranza; la prossima spartizione delle nomine di un vasto settore di aziende pubbliche; le pressioni della Presidenza della Repubblica per la continuità della legislatura sino al rinnovo della carica della Presidenza; la contrarietà alla crisi di una larga parte dei parlamentari attuali, tanto più a fronte dell'annunciata riduzione per via referendaria del loro numero; l'accordo di maggioranza attorno ad una legge elettorale proporzionale che nelle intenzioni del PD vuole offrire al M5S uno spazio virtuale di tenuta e di governo delle sue contraddizioni. Dall'altro lato, la sopravvivenza del governo non corrisponde a un consenso sociale maggioritario, né a una forza politica proporzionale ai suoi numeri parlamentari, né ad oggi ad una prospettiva politica di sbocco. In più, l'asse tra PD e M5S, già di per sé terremotato dalla crisi di quest'ultimo, diventa il bersaglio di Italia Viva, che investe apertamente nelle contraddizioni del PD e al tempo stesso punta all'elettorato di Forza Italia, lungo una politica corsara che apre contenziosi su ogni passaggio e che mira a capitalizzare la delusione verso il governo di un vasto settore di padronato.
Il quadro economico complica ulteriormente la navigazione dell’esecutivo. Il combinato disposto della guerra dei dazi, del rallentamento tedesco, degli effetti indotti del coronavirus sull'economia cinese e dunque sull'economia mondiale ricadono sull'industria europea, e di riflesso sull'industria italiana, già segnata da un arretramento sensibile (-4,3% nel 2019). Le politiche di bilancio restano gravate dall'enorme peso delle clausole di garanzia sull'Iva (47 miliardi nel prossimo biennio) e da uno stretto margine negoziale all'interno dell'Unione, dove fatica ad emergere un nuovo accordo sulle politiche di spesa, anche per via delle ricadute della Brexit. Il governo Conte cerca un rilancio d'immagine ai fini della propria tenuta attraverso un'operazione combinata di riforma dell'Irpef, del sistema pensionistico, di misure familistiche. Ma i ristrettissimi spazi di manovra economica pongono una seria ipoteca sugli effetti reali dell'operazione. Le ipotesi di finanziamento dell'uscita pensionistica flessibile attraverso il ricalcolo contributivo dell'intera pensione e l'anticipo al 2020 della fine di quota 100 ne sono un indizio, assieme alla negazione di uno spazio economico reale per i contratti pubblici in scadenza, giustificato dalle mini-concessioni sul cuneo fiscale. Il risultato è che il governo non riesce ad espandere la propria base sociale di sostegno né in direzione della piccola borghesia né in direzione del lavoro salariato.


IL DISTACCO DEL PADRONATO, IL SOSTEGNO DELLA CGIL

Le organizzazioni confindustriali del Nord accentuano il proprio distacco e lontananza dall'esecutivo. La lotta di successione ai vertici di Confindustria fra tre concorrenti dell'industria del Nord (Bonomi, Mattioli, Pasini) si gioca non a caso sul comune terreno della polemica antigovernativa. Non sono bastate a ricucire il legame le misure a sostegno di Industria 4.0 (super-ammortamenti e vantaggi fiscali di vario tipo). Il padronato chiedeva e chiede al governo un piano straordinario di investimenti infrastrutturali finanziati da tagli di spesa e dalla cancellazione del reddito di cittadinanza: ciò che il governo, per la sua composizione e la sua fragilità, non è in grado di offrire. Il principale sostegno in campo sociale all'attuale governo viene dunque dalla burocrazia sindacale, ed in particolare per la sua rappresentatività dalla burocrazia CGIL. Il “patto con l'impresa e col governo” rivendicato da Maurizio Landini si concretizza nel recupero di una politica organica di concertazione ad ogni livello. Nei confronti del padronato prevale la rinuncia ad ogni forma di mobilitazione reale, anche in presenza di un sostanziale rifiuto negoziale, come nel caso centrale del contratto dei metalmeccanici, mentre prosegue la politica del cedimento in ordine sparso sui mille fronti delle aziende in crisi o in ristrutturazione (Whirlpool...). Nei confronti del governo si pratica la politica della copertura e abbellimento delle sue elemosine (come sul cuneo fiscale), in cambio dell'incasso di audizioni prevalentemente platoniche ad ogni tavolo (pensioni, rappresentanza sindacale, salario minimo, politiche del lavoro, scuola), in un quadro in cui la crisi capitalistica e le convulsioni interne al governo abbattono lo spazio di concessioni reali e spesso di una reale negoziazione. L'assenza di mobilitazione sul versante dei contratti pubblici è l'unico vero risvolto della politica di concertazione con l'esecutivo.
Su questo sfondo continua la lunga fase di ristagno del movimento operaio. Le lotte di resistenza delle vertenze aziendali restano prive di un punto unitario di riferimento, e spesso ripiegano sul proprio stesso terreno. Nel settore pubblico, non solo per l’azione confederale, domina quel profondo ripiegamento che ha contrassegnato l’insieme della categoria nell’ultimo decennio, nonostante il lungo blocco dei contratti, l’introduzione del comando delle direzioni con la riforma Brunetta e la riforma Madia, il peggioramento delle proprie condizioni di lavoro (dai giorni di malattia all’introduzione del salario premiale individuale). Una dinamica che segna anche la scuola, anche se in modo differente dopo il grande movimento del 2015 contro Renzi e le sue (contro)riforme. La sconfitta di quella lotta, interrotta dall’estate e dalla successiva capitolazione sindacale (che non ha più ripreso l’iniziativa nazionale di lotta con l’autunno) ha inciso profondamente nella categoria, diffondendo pratiche di resistenza diverse scuola per scuola, territorio per territorio. Così, negli anni successivi, si sono diffuse esperienze di conflitto tendenzialmente isolate (dalle maestre magistrali ai ricorsi precari), che hanno permesso da una parte lo sviluppo di un sindacalismo corporativo e opportunista (ANIEF), dall’altro pratiche di lobbismo collettivo nei confronti delle rappresentanze politiche (senza nessuna distinzione sulla loro matrice e sulla loro politica, dal PD a Forza Italia, dalla Lega ai 5 stelle). In questo quadro complesso, nel quadro di una fallimentare vertenza nazionale sul precariato condotta dai principali sindacati (CGIL, CISL, UIL, SNALS e GILDA), che interessa solo un settore limitato della categoria (60/70 mila precari storici, 60/70 mila precari recenti o intermittenti), negli ultimi mesi abbiamo stimolato l'attivazione di processi di autorganizzazione, che sebbene positivi (sciopero del 14 febbraio), interessano ancora un settore molto disomogeneo e limitato all'avanguardia.
Mentre le ricadute dei decreti Salvini si fanno sentire sul terreno della repressione di forme di lotta radicali (blocco stradale, picchetti), concentrandosi in particolare sulle avanguardie (fogli di via, multe esorbitanti, etc.).
La parabola del movimento delle sardine riflette questo scenario generale. La natura democratica del movimento, assieme ai suoi limiti, confermano l'inquadramento d'analisi che la maggioranza del CC ha fatto del fenomeno delle sardine, e il conseguente metodo d'approccio. La loro pulsione democratica, in assenza di lotta di classe, finisce col disperdere parte delle proprie energie proprio a ridosso del successo emiliano, mentre avanza un più esplicito collateralismo del suo gruppo fondatore verso il PD, il centrosinistra, e lo stesso governo: ciò che provoca al loro interno resistenze e contraddizioni interne. L'episodio della foto coi Benetton ha rappresentato, in questo contesto, un colpo serio all'immagine pubblica del movimento e un forte fattore di tensione nelle sue file. Il paracongresso di metà marzo a Scampia sarà una cartina di tornasole della sua capacità di tenuta ed evoluzione. Il blocco sociale delle destre è in ogni caso il principale beneficiario, sul piano politico, di questo scenario generale.


LA NOSTRA LINEA POLITICA E IL COORDINAMENTO DELLE SINISTRE DI OPPOSIZIONE

La nostra linea generale di intervento e proposta, a livello di massa e di avanguardia, è più che mai quella del fronte unico sul terreno dell'opposizione al padronato e al governo. La necessità di rilanciare il conflitto sociale, di superare il quadro di frammentazione delle lotte, di unificare e comporre un fronte di massa attorno al una piattaforma generale di mobilitazione, di una svolta nelle forme di azione e organizzazione delle lotte, di una assemblea nazionale di delegati eletti che abbia il potere di decidere su piattaforma e lotta, è riproposta dall'intero quadro politico e sociale, ciò che implica una contrapposizione chiara e coerente alla politica generale della burocrazia CGIL. In ogni lotta particolare si tratta di ricondurre le rivendicazioni parziali e di settore a questa prospettiva generale. Che a maggior ragione ci deve caratterizzare nell'ambito dell'avanguardia. La proposta e costruzione del coordinamento nazionale delle sinistre di opposizione si muove dal nostro punto di vista in questo quadro. Il coordinamento nazionale è nato grazie alla iniziativa determinante del PCL. Esso rappresenta per noi un coordinamento dell'unità d'azione tra organizzazioni d'avanguardia sul terreno comune dell'opposizione al governo. La formazione a settembre di un nuovo governo segnato dal coinvolgimento di tutta la sinistra parlamentare ed esplicitamente appoggiato dalla burocrazia CGIL ha creato lo spazio politico per questa proposta e iniziativa. L'assemblea nazionale del 7 dicembre ne ha rappresentato il primo coronamento. Il successo dell'assemblea sta nel fatto di essersi mossa controcorrente rispetto alla dinamica di estrema frammentazione dell'avanguardia e di aver intercettato una sua domanda elementare di unità (per quanto ingenua e confusa) nel momento stesso in cui quella domanda non trovava più un riferimento né in Rifondazione né in Potere al Popolo, entrambe attraversate per ragioni diverse da una crisi politica, più o meno profonda. Il coordinamento ha un assetto obiettivamente fragile, sul piano sociale e sul piano politico. Le organizzazioni del sindacalismo di classe hanno visto o un esplicito disinteresse (USB), o ad oggi una disponibilità all'interlocuzione senza coinvolgimento (opposizione CGIL, SGB, SI Cobas). Sul terreno politico, la Direzione Nazionale del PRC, dopo lunghe giravolte, ha scelto la rottura polemica col coordinamento nazionale, in aperto contrasto con l'adesione della minoranza di sinistra ("Comunisti in movimento"), mentre PaP ha optato per il disimpegno, pur mantenendo nella componente Cremaschi un rapporto di dialogo e non belligeranza. La risultante è l'assenza dal coordinamento delle due principali sinistre politiche di opposizione. Esso si fonda essenzialmente sulla presenza del PCI, del PCL, di Sinistra Anticapitalista, di Comunisti in movimento. Altre organizzazioni e gruppi minori hanno un ruolo assolutamente marginale. Nonostante la sua fragilità il coordinamento nazionale ha tenuto, con la nascita dei coordinamenti territoriali, la definizione delle campagne nazionali e dei loro materiali di riferimento (volantone e volantini), la prima sperimentazione di una iniziativa nazionale (giornata nazionale contro la guerra del 24-25 gennaio), lungo un processo segnato nei territori da tempi, relazioni e composizioni molto diverse tra loro, ma anche dal coinvolgimento di strutture locali di Rifondazione (al di là del perimetro della sua minoranza) e in alcuni casi di PaP; o dalla presenza di strutture del sindacalismo di base di diverso segno.


IL COORDINAMENTO COME UNITÀ D'AZIONE

Il nostro partito è attivamente coinvolto sul piano nazionale con un ruolo centrale e propulsivo, e in numerosi coordinamenti locali. È un'esperienza positiva che pone il partito in un crocevia di relazioni, amplia il suo bacino di riferimento all'interno dell'avanguardia, rompe con un prolungato isolamento. Al tempo stesso proprio la novità di questa esperienza, e al tempo stesso il ruolo che vi svolgiamo, richiede una sua razionalizzazione nell'ambito della nostra impostazione generale, ciò che significa innanzitutto una distinzione dall'impostazione degli altri soggetti politici coinvolti, riformisti (PCI) e centristi (Sinistra Anticapitalista). Il PCI intende il coordinamento come un campo di relazioni politico-diplomatiche che gli consenta di reggere alla pressione concorrenziale del PC di Rizzo, e nel quale perseguire l'assimilazione al partito di organizzazioni satelliti, reali (Fronte Popolare) o presunte (Città Futura). Sinistra Anticapitalista ha inteso il coordinamento sin dall'inizio come una forma transitoria di approssimazione ad una nuova organizzazione politica centrista fondata su una qualche forma di ricomposizione con Rifondazione. Una sorta di PaP 2.0, democraticamente rivisitato. Da queste impostazioni conseguono scelte diverse. Il PCI tende in particolare su scala locale a rappresentare il coordinamento come una sorta di “unità dei comunisti” in gestazione sotto la propria direzione. Sinistra Anticapitalista, dietro una veste movimentista, ha teso a porre il coinvolgimento del PRC come l'alfa e l'omega delle proprie proposte (prima la promozione del 7 dicembre come iniziativa sociale, poi la insistenza nell'indicare da subito il PRC tra i promotori nonostante le sue contraddizioni col governo, poi la proposta di non firmare i materiali nazionali delle campagne con le sigle di organizzazione, poi il tentativo di smussare i contenuti politici di questi materiali o di rivisitarli sui territori per renderli adattabili al PRC, etc.). La nostra impostazione politica è stata ed è diversa. Per noi il coordinamento delle sinistre di opposizione è esattamente ciò che dichiara: il coordinamento dell'unità d'azione sul terreno comune dell'opposizione attorno a determinate campagne unitarie. L'unità d'azione dell'avanguardia in un quadro di riflusso, in funzione e nella prospettiva di una ripresa dell'opposizione di classe e di massa. Dentro l'unità d'azione il PCL porta naturalmente la propria impostazione, che combina la più larga propensione unitaria con la radicalità della propria proposta programmatica.


UNITÀ D'AZIONE E RADICALITÀ DI PROPOSTA

Proprio perché ci battiamo per un fronte unico di classe e di massa, ci opponiamo ad ogni autorecinzione minoritaria del coordinamento, sia essa in termini di soggetto politico, sia essa in termini di autorappresentazione quale fronte di massa. Al contrario, lavoriamo ad ogni livello per la massima estensione del fronte unitario d'azione. Così è stato in preparazione dell'assemblea del 7 dicembre come nella vita successiva del coordinamento. Sul piano nazionale e locale lavoriamo ad estendere l'unità d'azione alle organizzazioni e tendenze del sindacalismo di classe, cercando e proponendo l'interlocuzione più ampia. Su ogni campagna lavoriamo alla più ampia convergenza di merito con tutti i soggetti disponibili, anche al di là del perimetro del coordinamento, come mostra la relazione col SI Cobas attorno ai decreti sicurezza. Lo stesso coordinamento, nazionale e locale, è e resta aperto al coinvolgimento successivo di organizzazioni e soggetti che ad oggi hanno scelto di non farne parte o di uscirne, inclusi Rifondazione e Potere al Popolo. Parallelamente portiamo come sempre in ogni sede la nostra proposta politica e programmatica. Sia in termini di proposta di mobilitazione (unificazione delle lotte, vertenza generale, assemblea nazionale dei delegati eletti per decidere democraticamente). Sia in termini di rivendicazioni (impostazione transitoria dei materiali delle campagne su riduzione dell'orario, nazionalizzazioni.). Nell'attuale situazione di riflusso del movimento operaio si tratta prevalentemente di proposte di propaganda. Ma esse corrispondono alle necessità oggettive della classe sul terreno della ricomposizione della propria forza e della propria indipendenza, e al tempo stesso alla nostra esigenza di caratterizzazione sul terreno del confronto all'interno della sua avanguardia, politica e sindacale. I materiali delle campagne nazionali varati a gennaio portano il segno dell'influenza del PCL, soprattutto nella impostazione generale. Si tratta di valorizzare questa influenza e di far leva su quei contenuti avanzati per svilupparli nella direzione loro propria e ricondurli al programma generale del nostro partito e alle sue ragioni, puntando ad avvicinare al partito gli elementi più radicali dell'avanguardia. In questo quadro è importante battersi perché i coordinamenti territoriali presentino pubblicamente, attraverso assemblee pubblicizzate, i materiali delle campagne e il loro indirizzo. Non c'è alcuna contraddizione tra l'impianto rivendicativo del 7 dicembre e la necessità dell'azione. Senza la definizione di contenuti concordati non sarebbe possibile nessuna campagna comune, tanto più nel quadro dell'attuale riflusso generale. Al tempo stesso quei contenuti vanno investiti in una iniziativa politica reale che non può limitarsi alle assemblee territoriali di presentazione (necessarie). È il tema che abbiamo posto come partito nel coordinamento nazionale e nei coordinamenti locali. A Napoli insistendo sull'intervento attivo nella vertenza Whirlpool, che è esemplificativa di un possibile spazio di agitazione sul tema nazionalizzazione. A Genova intervenendo nella lotta dei lavoratori portuali a sostegno di una azione di classe contro la guerra. A Milano intervenendo nello sciopero dei lavoratori e lavoratrici precari/e promosso da una struttura d'avanguardia di fatto diretta da compagni del PCL. Lo stesso vale sul terreno nazionale. Abbiamo proposto di accogliere e verificare il patto di unità d'azione avanzato dal SI Cobas per la cancellazione dei decreti sicurezza e di intervenire alla loro assemblea nazionale (8 febbraio). Abbiamo proposto di lavorare ad un'assemblea operaia nazionale attorno ai temi delle campagne sociali, verificando forme e tempi della sua promozione e convocazione, anche attraverso l'interlocuzione col sindacalismo di classe, per far emergere da quella assemblea il rilancio di una proposta di svolta del movimento operaio in fatto di rivendicazioni e forme di lotta, secondo le linee definite dai materiali nazionali, su cui poi costruire una più larga campagna di sostegno tra i lavoratori e le lavoratrici.


L'AUTONOMIA DEL NOSTRO PARTITO

Questa linea generale implica la piena autonomia politica del nostro partito. Proprio nel momento di una inedita estensione delle nostre relazioni politiche sul terreno dell'unità d'azione è essenziale rimarcare la nostra piena indipendenza politica anche rispetto ai nostri attuali “alleati”. Unità d'azione, libertà di confronto, diritto di critica debbono marciare insieme. Anche per questo riproporremo che a latere dell'unità d'azione e delle campagne il coordinamento nazionale definisca una tribuna di discussione e di confronto on line aperto al contributo di tutte le realtà dell'avanguardia. È essenziale combinare l'unità d'azione col lavoro di costruzione del partito, diffondendo regolarmente e attivamente la nostra stampa alle riunioni congiunte e nelle iniziative unitarie, coltivando i contatti individuali con gli interlocutori più interessati e interessanti, attivando nostre iniziative di partito cui invitare a confronto i nostri interlocutori, curando la campagna di tesseramento del partito anche in rapporto al bacino più ampio di relazioni di cui oggi disponiamo. Ogni subordinazione della costruzione del PCL all'unità d'azione rovescerebbe i termini della nostra impostazione: lo sviluppo dell'unità d'azione è anche in funzione della costruzione del partito, e va a questa finalizzata. Dentro questa impostazione generale va sviluppata una linea di intervento sulle contraddizioni che la nostra linea ha aperto in altre organizzazioni. È in particolare il caso di Rifondazione. Dopo la rottura con PaP e la ricollocazione al governo di Sinistra Italiana, il PRC versa in una nuova crisi di ruolo e prospettiva. Dobbiamo da un lato continuare a incalzare il partito con le proposte di unità d'azione, polemizzando apertamente, come già abbiamo fatto con la sua scelta di rompere col coordinamento unitario; dall'altro, coltivare la relazione e interlocuzione con quei settori di base e strutture territoriali del partito già coinvolti nell'esperienza unitaria. In questo quadro un'attenzione particolare va riservata all'ambiente della minoranza di sinistra del PRC. Le posizioni e tradizioni politico-culturali dei suoi gruppi dirigenti nazionali (tra loro oltretutto disomogenee) oscillano tra movimentismo radicale ed ecumenismo “comunista”. Ma attorno a loro gravitano i settori di base più avanzati del PRC. Da qui una proposta di incontro e confronto sul piano nazionale con Comunisti in movimento che possa agevolare la relazione con questi settori, e segnalare ai loro occhi il PCL come possibile alternativa di riferimento nel caso della rottura col PRC.


L'IMPEGNO DEL PCL NELLE PROSSIME ELEZIONI AMMINISTRATIVE

Nell'ambito della costruzione del PCL si pone l'impegno sul terreno elettorale. Con la consapevolezza delle difficoltà oggettive (normative) e soggettive (nostra debolezza), ma anche con la volontà di non disertare questo terreno. Nel caso delle prossime elezioni regionali (Liguria, Toscana, Veneto, Puglia, Marche, Campania), le regole previste dalle leggi per la raccolta delle firme (numero, quantità di collegi provinciali) rendono quasi impossibile una nostra presentazione. Non si può escludere tuttavia la possibilità di una raccolta firme di tipo propagandistico, denunciando poi le leggi antidemocratiche che hanno impedito la nostra presentazione. Un eventuale impegno su questo terreno è affidato alla scelta delle sezioni e dei coordinamenti regionali. Nel caso invece delle elezioni comunali, il Comitato Centrale chiede alle sezioni un impegno particolare. Le elezioni comunali sono oggi il terreno più agevole di presentazione del partito. Numerosi sono i comuni che andranno al voto in primavera, per lo più in combinata con le elezioni regionali. Ciò in quasi ogni provincia. È importante che ogni sezione, nei limiti delle proprie possibilità, si ponga l’obiettivo della presentazione del partito in alcuni comuni della propria provincia, individuati con criteri politici e soprattutto di fattibilità. Ogni rinuncia preventiva a questo terreno di battaglia politica lascerebbe ad altri soggetti, ed in particolare oggi al PC di Rizzo, uno spazio indisturbato di monopolio, a danno della nostra costruzione. Naturalmente la segreteria nazionale e la commissione nazionale di organizzazione daranno supporto, in tutte le forme possibili, all'azione di presentazione del PCL. Ma essenziale e prioritario è l'impegno delle sezioni. Ad oggi è stata già attivata la presentazione del PCL a Reggio Calabria e in un comune della provincia di Milano, e progettata a Venezia. È uno sforzo che può e deve essere esteso.


SUL REFERENDUM DEL 29 MARZO

La legge costituzionale per la riduzione del numero dei parlamentari muove da un corso politico populista reazionario. L'argomentazione che la supporta è “il taglio del costo della politica attraverso il taglio delle poltrone”, secondo lo spartito propagandistico che oppone “il popolo” ai “politici” e alla “casta”. È lo stesso canovaccio truffaldino che ha sospinto la campagna per la cancellazione dei partiti minori (“ci sono troppi partiti”) e il privilegiamento dei poteri esecutivi a ogni livello a scapito della rappresentanza e della democrazia. Esso peraltro si salda con proposte di legge elettorale fondate su più alti sbarramenti antidemocratici (5%), elevandone ulteriormente la soglia. Questa legge, fortemente sbandierata dal M5S, è sostenuta da un vasto schieramento politico che va da M5S, Lega, Fratelli d'Italia, che già la votarono sullo sfondo del primo governo Conte, per arrivare a PD e LeU, che hanno convertito in sì il loro primo voto negativo come partita di scambio con M5S ai fini della costituzione del secondo governo Conte. Ad essa si oppone con l'indicazione del no l'insieme delle sinistre di opposizione e lo schieramento liberaldemocratico progressista che si spese per il no al referendum Renzi nel 2016, ma si oppone sulla base di argomenti di stampo borghese liberale e costituzionale.
Il PCL dà indicazione di voto per il no, ma da una angolazione classista e democratica conseguente. Votiamo no in contrapposizione a un corso politico populista reazionario che la legge esprime, e come forma di partecipazione e interlocuzione con la campagna del no. Ma non difendiamo il parlamentarismo borghese e l'ipocrisia della retorica costituzionale.
Ci battiamo per il potere reale dei lavoratori, delle lavoratrici, della maggioranza della società, quindi per una democrazia dei consigli dei lavoratori basati sul principio della permanente revocabilità degli eletti e sulla cancellazione di ogni loro privilegio sociale. Al tempo stesso rivendichiamo a ogni livello il principio della rappresentanza democratica contro ogni criterio di governabilità borghese, e dunque la legge proporzionale pura, criticando la lunga subordinazione alla logica della governabilità e del bipolarismo dei gruppi dirigenti della sinistra negli ultimi trent'anni, a danno degli stessi principi democratici. Infine, poniamo uno stretto legame tra battaglia democratica e ripresa dell'opposizione sociale di classe e di massa, la sola che può sviluppare la coscienza dei lavoratori sullo stesso terreno democratico.



23 febbraio 2020

Partito Comunista dei Lavoratori

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