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A Gradisca morte e repressione nel CPR-lager di Conte

Perché Vakhtang Enukidze è morto?

1 Febbraio 2020

Un morto, pestaggi, allontanamento dei testimoni, fogli di via ai manifestanti, spin doctor mediatici: l’apparato dell’internamento etnico in piena operatività

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Quello “strano” edema polmonare. Quella evidenza in sede autoptica che appare in calce alle dichiarazioni televisive rilasciate dall’uomo di fiducia del Garante nazionale dei detenuti, il medico legale Lorenzo Cociani ("Per avere un quadro completo occorrerà attendere l'esito degli esami tossicologici e istologici, ma intanto, macroscopicamente possiamo dire che non ci sono lesioni traumatiche importanti") sembra quasi una sorta di casistica fisiologica, come fosse qualcosa che statisticamente nelle indagini cliniche può essere riscontrato, ma che non cambia il quadro complessivo di essere la causa del decesso. Un quadro complessivo, comunque, che per essere completato (e ufficializzato) richiede ancora due mesi.
Cosa avrà originato quell’edema? Si chiede la narrazione ufficiale soddisfacendo così il suo protocollo di “neutralità” informativa. Già, cosa l’avrà causato, ma in ogni caso Vakhtang Enukidze non è morto per eventuali botte ricevute, non è un caso Cucchi. E poi è morto all’ospedale di Gorizia, non nel CPR di Gradisca d’Isonzo. Questo è quanto ci dicono.
Il quotidiano triestino Il Piccolo del 24 gennaio aggiunge, per allargare il campo delle ipotesi, che “Nell'inchiesta spunta la pista del mix sospetto di farmaci”. "E adesso chiedete scusa ai poliziotti!" ha tuonato immediatamente il leghista Pierpaolo Roberti, assessore regionale alla Funzione Pubblica e alla Sicurezza, regista di quel dispositivo di presidio territoriale ai confini orientali della Venezia Giulia in funzione anti-immigrati messo in campo dalla giunta Fedriga.
Dobbiamo sottolineare che l’incaricato a condurre materialmente l’autopsia è stato il dottor Carlo Moreschi, e non Cociani, ma soprattutto che a fronte dei dati emersi da questo primo livello di indagine, il procuratore titolare dell’inchiesta, Massimo Lia, che da subito ha precisato che non ci sono indagati per omicidio, ha voluto mantenere un profilo prudente: «Non escludiamo al 100% cause di tipo violento» (Ansa, 27 gennaio 2020). Ma dal ventaglio ufficiale delle cause violente non viene rimossa l’eventualità che Vakhtang sia morto in seguito alle ferite riportate in una rissa con un altro internato.


LA RICOSTRUZIONE DEI TESTIMONI (E IL LORO TRASFERIMENTO)

Sulla grande stampa borghese è apparsa l’intervista all’europarlamentare di +Europa Riccardo Magi (La Repubblica, 27 gennaio 2020), che dopo aver visitato il Centro di Permanenza per i Rimpatri ha presentato una versione diversa della vicenda rispetto a quella delle veline ufficiali confezionate per legittimare a livello di opinione popolare il dispositivo dei CPR.
Ma il Comitato NO CPR e No Frontiere del Friuli-Venezia Giulia sin dalla manifestazione del 11 gennaio aveva a disposizione un’utenza telefonica con la quale poteva comunicare direttamente con gli internati. E così si sono potuti avere filmati e voci direttamente dall’interno di quell’universo concentrazionario. Ed è emersa una realtà fatta di reclusione dentro gabbie di sei persone in uno spazio di 6/7 passi d’aria; reti sopra le gabbie corazzate dalla corrente elettrica; gabbie che vengono aperte raramente; contatti con gli operatori e il personale sanitario che avvengono per lo più oltre le sbarre; cibo che viene consegnato sotto le sbarre come ai cani; la preoccupazione onnipresente di non poter inviare i soldi ai parenti a casa. E tante botte.
Già dopo il presidio dell'11 gennaio effettivi militari (impiegati come “aggregati” ai poliziotti e alla Guardia di Finanza) sono entrati nelle celle e hanno picchiato e sequestrato le sim card di alcune delle persone che avevano parlato con i manifestanti attraverso i cellulari. Il giorno dopo esplode una rivolta con una fuga di otto persone, la maggior parte delle quali viene catturata e riportata al CPR. Sin dal 16 dicembre scorso, giorno di riapertura dell’ex caserma Polonio di Gradisca sotto ordinamento CPR (in precedenza ospitava un CPT poi diventato CIE, ed è adiacente ad un CARA), si verificano quotidianamente atti di autolesionismo, dai tagli nel corpo alle testate contro il muro; più di venti casi, tra quelli conosciuti, sono finiti al Pronto Soccorso di Gorizia. Un disperato tentativo di uscire dal lager e poter respirare un po’ di aria libera e di non essere ingabbiati.
Ma cosa è successo a Vakhtang Enukidze? Una delle versioni dall’interno ce la fornisce un recluso mediante telefonata al Comitato NO CPR:

Suo telefono si è perso, lui non ricordava dove ha lasciato... da lì hanno cominciato a picchiare con il manganello, aveva tutto il corpo rosso, proprio di lividi... lo hanno buttato dentro e lui con la rabbia ha preso un pezzo di ferro, ha tagliato un po’ allo stomaco. Loro l’hanno lasciato, non lo hanno portato all’ospedale. Domani mattina quando lui sveglia ha cominciato a fare di nuovo casino perché sentiva male al corpo per quel manganello che ha preso tutto quella sera li. Poi mattina le ferite le faceva male, da lì sono entrati e hanno picchiato di nuovo. Dopo è venuto direttore e l’hanno portato in infermeria. Dopo neanche venti minuti è tornato ed è rimasto con noi un attimo e poi è andato a dormire poi quando ha svegliato, il giorno dopo mattina sono venuti e hanno detto “oggi deve partire in bus per andare via”, lui ha preso tutte le sue cose ed è andato via... La sera verso 8 lo hanno portato hanno detto che non ha voluto andare perché aveva tanti brividi e hanno avuto paura di mandarlo in quel modo lì al paese suo: sarebbe un casino lì, nessuno avrebbe accettato, avrebbero voluto capire cosa era successo.

Rimasto per due giorni e lui sentiva male e chiamava “aiuto aiuto!” perché usciva sangue. Può darsi qualche vetri rimasto dentro lo stomaco, non sappiamo. Da lì lui ha cominciato di nuovo a spaccare degli specchi davanti a loro, e lì ci stava un altro ragazzo da dietro, e la polizia hanno detto a quel ragazzo dietro di buttare un pezzo di ferro fuori, e quando lui si è girato ha visto che l’altro ragazzo stava buttando fuori i vetri che lui usava a spaccare e lì ha cominciato a litigare con lui. Quando sono entrati dentro hanno aperto la porta... Lui in mezzo circondato da otto poliziotti. D’improvviso quando lo hanno attaccato al muro, uno di loro gli è saltato addosso di forza e lui da lì la testa gli è caduta e ha sbattuto al muro. Un altro alla schiena da lì lo hanno ammanettato e lo hanno portato via, circondato da loro... e fino a oggi non lo hanno portato più indietro... Oggi, all’improvviso, uno di noi è andato in infermeria. ...Questo qua è venuto da noi e ha detto che “il ragazzo è morto”. Noi abbiamo cominciato a chiamare loro per avere più informazioni, nessuno è venuto da noi fino ad adesso a dire niente, noi abbiamo chiamato poi al paese suo, a sua moglie.” (1)

Sono stati i compagni di internamento di Vakhtang ad avvertire sua moglie in Georgia della morte del marito.
Dal CPR Enukidze era stato portato al tribunale di Gorizia, poiché denunciato per resistenza a pubblico ufficiale. Processato per direttissima, ha poi trascorso 48 ore nel carcere di via Barzellini. Alla domanda se è vero che il decesso sia attribuibile alla colluttazione avuta con un altro internato, la risposta è precisa:
No, non è vero. Non è vero perché loro invece ci fanno uscire, per esempio ci fanno uscire da soli e ci picchiano in cortile e ci portano dove vogliono loro, finché guarisci. E, siccome lui era grave, molto grave, è morto e loro stanno cercando qualche scusa per farla franca.

Cinque testimoni del pestaggio (o forse di più), disposti a deporre in sede giudiziale, sono stati con solerzia deportati nei loro paesi d’origine nei giorni immediatamente successivi alla morte.
Uno di loro, dal suo paese, ha raccontato ancora:
loro negano e tutto che lui è morto ambulanza però lui è morto lì…. Al CPR è morto lui... Perché io l’ho visto venerdì e poi sta [quella] notte era già... stava già malissimo. Poi domenica [domenica 19 gennaio, ndr] ci hanno picchiati con le spranghe e tutto, ci hanno spinto per ritirarci i telefoni che hanno visto sui giornali le foto e tutto... Per quello che non riuscivo io a mandare a voi niente, mi avevano preso telefono e tutto, perquisito tutto, buttato i vestiti per terra.”
Su come l’apparato repressivo interno al CPR reagisca in merito alla comunicazione tra gli internati e i manifestanti all’esterno:
Ma la polizia è uscita fuori io... perché io stava parlando con voi come faccio adesso e hanno entrato e hanno preso me. M’hanno messo fuori e picchiato a me, ho visto sangue. T’ho mandato su whatsapp le foto. Sangue tutti sangue... sto morendo qua. Tutto sangue sta arrivando nella mano, nella faccia, di tutto. Qua siamo con polizia assassini. Perché voi parlate con noi e a loro non piace che voi parlate con noi.”

A quattro militanti dell’Assemblea NO CPR e NO Frontiere del Friuli-Venezia Giulia è stato notificato il foglio di via dal territorio comunale di Gradisca d’Isonzo, pena l’arresto. A coloro che sono stati colpiti da quest’arma repressiva, interna al dispositivo reazionario complessivo utilizzato dalle classi dominanti contro le masse lavoratrici migranti e autoctone, va tutta la solidarietà del Partito Comunista dei Lavoratori.

Un altro aspetto che getta luce sulla realtà di questo sistema concentrazionario riguarda l’agibilità effettiva degli internati all’assistenza legale. Anche in questo caso lasciamo parlare una testimonianza diretta:
Qui loro ci hanno dato l’elenco degli avvocati. Noi quando chiamiamo questi avvocati, appena gli dici che sei in questo centro, dice “un attimo sto guidando dopo ti chiamo” e non ti chiama più. Tu chiami e non rispondono.


RIVOLTE E NARRAZIONE MEDIATICA

Sin dalla sua entrata in funzione, il CPR di Gradisca è stato luogo di proteste, finalizzate anche a tentativi di fuga. L’ultima di una certa intensità è maturata nelle prime ore del 26 gennaio, con un massiccio incendio di materassi. La narrazione mediatica che racconta questi fatti è improntata sull’impostazione degli spin doctor per educare l’opinione pubblica all’idea che i reclusi in quella struttura si trovano in tale condizione perché la loro presenza irregolare in Italia è conseguenza dei loro comportamenti tendenti all’intemperanza e all’asocialità. Il giornalista del TG3 Rai della redazione di Trieste, Antonio Di Bartolomeo, incaricato di seguire le vicende del Centro di Gradisca, nei vari servizi non ha lesinato nello svolgere questo esercizio: “...del resto molti degli ospiti del CPR di Gradisca provengono dai CPR di Bari e Torino dove hanno preso parte già a diverse rivolte” (TG3 FVG 15 gennaio); “gli accendini sono uno degli oggetti più vietati e anche più ambiti dai più facinorosi in particolare dai 35 arrivati dal distrutto CPR di Bari” (TG3 FVG 26 gennaio); “Sono stati banditi ad esempio i flaconi che contengono shampoo, per arginare il fenomeno dei cosiddetti shampisti, coloro che bevono il detergente per farsi portare al pronto soccorso” (ibidem).
“Facinorosi”: la banale riduzione della lotta contro un’istituzione totale a pulsioni caratteriali! “Shampisti”? Chi ha coniato un simile termine per degli internati in un lager? In corrispondenza, tra l’altro, della negazione di una risorsa per l’igiene personale! E questa narrazione ci viene elargita da un giornalista che ha vinto nel 2010 la sezione “Giovani” del Premio Internazionale Giornalisti del Mediterraneo raccontando la storia di un profugo somalo.

Ma i rappresentanti istituzionali non sono da meno. Il prefetto Marchesiello, sempre alle telecamere Rai, ricorre alla retorica: “Ai cittadini di Gradisca dico che ovviamente sono cose che creano preoccupazione. Ma sono sicuramente persone che non hanno tempo né voglia di rimanere nel territorio di Gradisca” (TG3 Friuli-Venezia Giulia del 15 gennaio). “Né tempo né voglia di rimanere”! Come se fosse un questione di libera scelta!
E lo stesso Di Bartolomeo ci informa che il prefetto si è attivato presso l’azienda sanitaria per ridurre il “disturbo al servizio del 118” in merito alle chiamate provenienti dal CPR: si vuole diminuire, cioè, l’assistenza medica d’emergenza agli internati.
Più sobrie, perché più in ottica operativa sul piano militare, le dichiarazioni del questore di Gorizia Gropuzzo (già dirigente dei NOCS), che sollevano questioni pratiche riguardanti la gestione dell’intero dispositivo concentrazionario: “il problema è che si tratta di una detenzione sui generis, e che la struttura di Gradisca è nata per altra finalità” (ibidem). Aggiungiamo che la saturazione operativa del CPR è prevista per 150 reclusi; attualmente la cifra si aggira sulla sessantina.
Non si può infine trascurare di menzionare il fatto che l’appalto per la gestione “umanitaria” del Centro è stato aggiudicato alla cooperativa Edeco, che già gestiva il campo di Cona (VE). La cooperativa, con sede legale a Battaglia Terme (PD), è al centro di indagini giudiziarie per maltrattamenti, corruzione, abuso d’ufficio, turbativa d’asta, falso e frode nelle pubbliche forniture.


IL PIANO MINNITI DEI CPR

Il governo M5S-PD-Italia Viva-LeU sta implementando l’universo concentrazionario dei CPR-lager secondo il piano nazionale stabilito dal decreto Minniti-Orlando del 2017.
Il PD conferma tutta la sua coerenza con il decreto, con buona pace di Sinistra Italiana, di Norma Rangeri e delle “Coraggiose” liste. L’ex governatrice regionale, Debora Serracchiani, in visita al Centro di Gradisca si è detta infatti contraria soltanto al completamento dei 150 internamenti, mentre ha rimarcato il bisogno di “regole chiare” vista la precarietà funzionale della struttura. Quindi, il Centro va bene purché non strabordi (TG3 regionale del 20 gennaio). La sua collega di partito, la sindaca di Gradisca Linda Tomasinsig (sostenuta anche dal PRC), da tempo si schiera per la chiusura ma non rompe con il partito di Zingaretti. Ha istituito una figura di garante comunale per gli internati, identificata sulla base di una professionalità di operatore sociale nelle situazioni di esecuzione penale, una figura che sarà però votata dal consiglio comunale e che non verrà stipendiata per la funzione che svolgerà: si tratterà verosimilmente di un operatore già impiegato da qualche organizzazione di assistenza, espressione di una volontà politica concertata (vista l’unanimità dei gruppi consiliari nell’istituirla), la cui facoltà di vigilanza su quanto accade nel CPR difficilmente avrà piena autonomia rispetto le autorità ministeriali.
Il piano Minniti non poteva che aprire il varco per lo sfondamento dei decreti Salvini, che hanno allargato le possibilità di internamento “amministrativo” (già dagli hotspot) oltre che prolungarne la durata di sei mesi.
Di più: senza nemmeno prevedere il procedimento di convalida, è stato introdotto l’intrattenimento amministrativo presso strutture nella disponibilità delle forze di polizia, dove, contravvenendo alla stessa normativa europea, la facoltà di accesso per familiari, avvocati e altre tipologie di assistenti del trattenuto diventa pressoché inagibile.
Gli effetti di politiche migratorie basate sulla chiusura dei canali legali di ingresso e sulle interpretazioni sempre più restrittive delle normative in materia di protezione internazionale (cui vanno aggiunti gli effetti del Regolamento di Dublino) generano una popolazione che alcune stime quantificano in 300-400 mila persone che, invece di poter completare un percorso di regolarizzazione, sono suscettibili di finire in un CPR. Si capisce quindi che le prospettive di una completa esecuzione del rimpatrio forzato sono praticamente nulle, sia per i costi insostenibili sia per l’aleatoria collaborazione dei paesi di origine. Un’impasse che i governi nasconderanno con ulteriori campagne securitarie. Ma la realtà è che si tratta di migranti privi di uno statuto legale, in gran parte senza precedenti penali ed alla mercé del sistema padronale (come dimostra anche il recente caso di San Mauro Torinese).

Oltre all’aspetto abrogativo sollevato dalle lotte di resistenza contro la normativa attuale, come l’abolizione dei decreti Salvini, della legge Turco-Napolitano e della Bossi-Fini, l’abolizione del decreto Minniti-Orlando fino all’abolizione del reato di clandestinità, le rivendicazioni avanzate dal Partito Comunista dei Lavoratori diventano fondamentali per arginare sistematicamente il rischio di clandestinizzazione. Ineludibile diventa la separazione del ricatto “contratto di lavoro-permesso di soggiorno”, autentico regalo all’ipersfruttamento padronale e alla criminalità organizzata oltre che strumento “crea clandestini”. Cittadinanza dopo tre anni per chi ne faccia richiesta, cittadinanza italiana per tutti i nati in Italia. Diritto di voto per chi risiede in Italia da un anno; 30 ore settimanali senza perdita di paga per ripartire tra tutti il lavoro che c’è.

Ma queste lotte non potranno acquisire il loro obbiettivo senza quei necessari salti qualitativi e quantitativi possibili solo con il pieno coinvolgimento del movimento operaio. L’unificazione in difesa del lavoro e dei diritti civili, sociali e politici dei lavoratori autoctoni e migranti rappresenta non solo l’unico fronte efficace per arginare il dumping delle condizioni lavorative e di vita prodotto dal capitalismo e propagandato dai reazionari, ma anche e soprattutto il viatico per la ricomposizione di classe e di quel blocco sociale anticapitalistico, unici in grado di ribaltare i rapporti di forza con la borghesia e aprire concretamente una prospettiva di potere politico della classe operaia e lavoratrice, nell’interesse delle stesse masse lavoratrici e di tutta la popolazione povera. Un governo dei lavoratori che diventi così anche un riferimento per il rilancio dell’antimperialismo rivoluzionario.
Il progetto del PCL della costruzione del partito dell’avanguardia di classe, come filo a piombo dell’orientamento di tale ricomposizione e prospettiva, emerge in tutta la sua necessità.



NOTE

(1) Le registrazioni delle comunicazioni integrali possono essere ascoltate al sito del Comitato NO CPR No Frontiere: https://nofrontierefvg.noblogs.org. Ovviamente le voci sono state alterate per tutelare i diretti interessati, il che va a discapito della qualità del sonoro, ma si possono comunque leggere le trascrizioni.

Partito Comunista dei Lavoratori - nucleo isontino

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