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Perché Rifondazione dice no al coordinamento delle sinistre di opposizione?

27 Gennaio 2020
assemblea7.12


La risoluzione della Direzione Nazionale di Rifondazione Comunista del 19 gennaio ha dato una risposta negativa alla proposta di unità d'azione che le è stata rivolta dall'assemblea nazionale del 7 dicembre a Roma e dal coordinamento che da essa è nato.

Come PCL ne prendiamo atto. Ma gli argomenti che l'accompagnano non reggono alla prova della logica.

La risoluzione votata dalla Direzione Nazionale del PRC propone «alle forze promotrici dell’assemblea del 7 dicembre scorso di individuare obiettivi concreti su cui sviluppare campagne politiche e mobilitazioni comuni» ma respinge «cartelli di sigle» e «sommatoria di partitini».

È una contorsione incomprensibile.
Il coordinamento nazionale delle sinistre di opposizione non è affatto “un cartello di sigle”. È un coordinamento dell'unità d'azione su cinque temi concreti: la riduzione generale dell'orario di lavoro; la nazionalizzazione senza indennizzo delle aziende che licenziano, inquinano, delocalizzano; l'abolizione dei decreti sicurezza e degli accordi stipulati con la Libia; l'abolizione della legge Fornero; l'opposizione a ogni disegno di autonomia differenziata; il no alla guerra, la rottura con la NATO, il ritiro delle truppe italiane da tutte le missioni.
Su ognuna di queste campagne, com'è ovvio, possono realizzarsi convergenze e pratiche d'azione, nazionali e locali, che vanno al di là del coordinamento. Ma il coordinamento nazionale delle campagne è essenziale per dare ad esse una cornice d'insieme e definire i loro contenuti. Sull'insieme delle campagne, e su ciascuna di esse, il coordinamento nazionale ha discusso nel modo più aperto e con un metodo inclusivo, cercando il coinvolgimento più largo di tutte le organizzazioni disponibili, secondo le decisioni dell'assemblea del 7 dicembre. E infine ha prodotto i materiali delle campagne unitarie – un volantone di impostazione generale e cinque testi tematici – proprio per dare il via all'azione comune. Che senso ha dire che si è disponibili all'azione comune ma non al suo coordinamento unitario perché sarebbe un «cartello di sigle»!?

L'obiezione è tanto più curiosa perché il PRC, dopo il successo del 7 dicembre, ha partecipato alle riunioni del coordinamento con una rappresentanza della propria Segreteria nazionale. Ha dunque partecipato per un mese a un... cartello di sigle? È stato chiarissimo sin dall'inizio che le firme d'organizzazione attorno al volantone non prefigurano alcun nuovo soggetto, non alludono a sbocchi elettorali, tanto meno a un partito comune. Indicano semplicemente, in piena trasparenza, la paternità politica delle campagne unitarie e dell'indirizzo di merito proposto. Ogni organizzazione doveva scegliere se promuovere nazionalmente le campagne oppure no, se condividere i loro contenuti oppure no, se aderire al loro coordinamento oppure no. Una scelta libera, rispettosa dell'autonomia di ogni soggetto, e persino dei suoi tempi di decisione. Al punto di lasciare aperta, anche nazionalmente, la possibilità di aderire al coordinamento in un momento successivo al varo dei testi.

La Direzione Nazionale del PRC, dopo lunghe oscillazioni, ha scelto il no. È legittimo. Ma perché giustificare questo no evocando cartelli inesistenti o mascherandolo dietro finti rilanci unitari proprio nel momento in cui si respinge il coordinamento dell'unità d'azione?

La vera ragione del no sta, a nostro avviso, in altro. Sta nel fatto che la maggioranza dirigente di Rifondazione non condivide, com'è suo diritto, l'impostazione programmatica che è stata data alle campagne. Non vuole problemi con i vertici della CGIL. Non vuole rompere i ponti con la sinistra di governo (Sinistra Italiana). Continua a cercare di legittimarsi come sinistra “radicale” ma “responsabile”, a futura memoria, come mostra per ultimo la firma all'appello pacifista che difende l'Unione Europea e persino la NATO, o il plauso alla subordinazione di Podemos al governo della socialdemocrazia spagnola con la benedizione della monarchia. Un plauso su cui si chiude, non a caso, la risoluzione della Direzione Nazionale.

Sì, è vero, il nostro è un giudizio severo. Ma è il nostro giudizio. Esso non muta di una virgola la piena disponibilità del PCL all'unità d'azione col PRC come con altri soggetti riformisti. Perché il fronte unico non lo si fa con se stessi (come vuole Rizzo). Lo si fa tra forze diverse che scelgono di unire la propria azione su obiettivi comuni al servizio del proprio campo sociale, riconoscendosi al tempo stesso reciproca autonomia, compreso il diritto di critica. Questo è, per noi, il coordinamento unitario delle sinistre di opposizione. Né più, né meno.

Il rifiuto del PRC di farne parte è negativo, ma certo non disarma il lavoro del coordinamento su scala nazionale e sui territori attorno alle campagne decise. E forse costituisce un'occasione di riflessione e di bilancio politico per tante/i comuniste/i del PRC, a partire dai tanti/e che in molte parti d'Italia sono e restano parte integrante dei coordinamenti unitari, nonostante le scelte della propria Direzione Nazionale.

Partito Comunista dei Lavoratori

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