Prima pagina

Per unire le lotte, per un programma di rivoluzione!

Un governo padronale di cartapesta si regge sul sostegno di Maurizio Landini, a tutto vantaggio di Matteo Salvini (e Meloni). L'intero scenario politico si riassume in questa verità

15 Gennaio 2020
unirelelotte


Il governo che si annunciava di svolta è in realtà il governo della continuità. Continuità non solo di un Presidente del Consiglio buono per ogni stagione, ma soprattutto delle politiche dominanti. Tutte le peggiori misure antioperaie dell'ultimo decennio, dal Jobs Acts alla legge Fornero, restano intatte, ed anzi si preannuncia il de profundis di "quota 100". Restano intatti nella loro sostanza i famigerati decreti sicurezza, usati come clava contro gli immigrati, ma anche contro i picchetti e i blocchi stradali di chi difende il posto di lavoro. Si salvaguarda l'accordo infame col governo libico, che finanzia i carcerieri di carne umana ammassata in luoghi di tortura e di stupri. Si rivendica la continuità di tutte le missioni militari ed anzi si amplia l'acquisto a suon di miliardi dei famosi F-35, mentre si assicura alla NATO l'aumento richiesto del bilancio della Difesa. Si rilancia ed anzi si accelera un progetto di “autonomia differenziata”, a vantaggio delle imprese del Nord e a carico della popolazione povera del Sud e di tutti i lavoratori del Sud e del Nord.


IL CAPITALE INGRASSA, I LAVORATORI PAGANO

Quanto alle politiche di bilancio, hanno onorato fedelmente i patti europei. Quattordici miliardi versati nel Fondo europeo di stabilità, una cassa di mutuo soccorso del capitale finanziario di tutta Europa a carico dei lavoratori di tutta Europa. Ventitré miliardi per disinnescare le clausole Iva nel 2020, ed altri quarantasette miliardi per disinnescare quelle del 2021 e 2022, in omaggio alle richieste dei creditori. Altri sette miliardi versati in forme diverse nel portafoglio delle imprese, le stesse che nel solo 2019 hanno fatto in borsa 21 miliardi di capitalizzazione e dividendi, cui si aggiungono un altro miliardo di soldi pubblici a beneficio dei grandi azionisti della Banca Popolare di Bari, ed altri miliardi annunciati a vantaggio di quegli acquirenti privati di ex Ilva e Alitalia, che già pongono come condizione d'acquisto nuove migliaia di esuberi e licenziamenti.

Chi paga il conto di tanta manna? I lavoratori e le lavoratrici: penalizzazione dei contratti pubblici, nulla su scuola e università, nulla in fatto di investimenti pubblici in opere sociali e risanamento ambientale (alla faccia della retorica sul clima!), mentre si fanno altri quattordici miliardi di deficit sul mercato finanziario da ripagare in futuro con tagli annunciati. Il tutto mascherato come in passato da piccole mance caritatevoli: una riduzione irrisoria del cuneo fiscale senza che i padroni versino un euro, il pannicello caldo del superamento del superticket in una sanità pubblica che resta allo sfascio, i bonus per gli asili nido in un paese che non conosce asili in quasi tutto il Mezzogiorno. L'unica differenza è che le mance sono più esigue di quelle non meno ingannevoli del passato.


MAURIZIO LANDINI, LA GUARDIA DEL CORPO DI CONTE

Il punto è che tutta questa politica non si regge sulla forza politica del governo. Il governo è anzi sotto ogni profilo un governo dai piedi di argilla che vive alla giornata, preso in ostaggio dalla disgregazione interna del M5S, dai rilanci destabilizzanti di Matteo Renzi, dalla crisi irrisolta del PD. La politica padronale si regge sulle spalle della sinistra. Di tutta la sinistra parlamentare, a partire da Sinistra Italiana di Fratoianni, che aveva giurato sei mesi fa “mai più col PD” e che oggi si ritrova al governo con Renzi. Ma soprattutto della burocrazia dirigente della CGIL, Maurizio Landini in testa, che offre al governo la propria ciambella di salvataggio attraverso l'ennesima proposta di “patto col governo e con le imprese”, un rilancio in grande stile della concertazione con l'avversario. Per di più nel momento in cui il governo perpetua tutte le misure di precarizzazione del lavoro, e i padroni rifiutano persino di discutere gli aumenti contrattuali rivendicati dai metalmeccanici. Il tutto accompagnato dalla rinuncia a qualsiasi mobilitazione vera, mascherata con la farsa innocua di qualche comizio ad uso telecamere.

Ecco, il governo del capitalismo italiano si regge su Maurizio Landini. Quello che dieci anni fa era l'eroe della sfida a Marchionne e che tutta la sinistra cosiddetta radicale (non noi) elevava a feticcio è diventato la guardia del corpo di Conte. E purtroppo la prostrazione umiliante della CGIL non ha solamente conseguenze sindacali, ma politiche, e di prima grandezza. Alimenta la ripresa di Salvini, e la scalata di Meloni, presso larghi settori di classe lavoratrice. E priva i movimenti democratici contro Salvini (le “sardine”) di un riferimento sociale di classe favorendo la loro subordinazione al PD.

Non c'è svolta possibile dello scenario italiano senza chiamare in causa la politica della burocrazia CGIL. Non è una questione sindacale, ma politica. Salvini non avrebbe la forza che ha tra i lavoratori senza il lasciapassare, a suo tempo, alla legge Fornero. Né oggi conoscerebbe la ripresa che ha senza la politica subalterna e passiva della principale organizzazione di massa del movimento operaio italiano.


PER UNA PIATTAFORMA DI LOTTA GENERALE, PER UN PROGRAMMA DI RIVOLUZIONE

Occorre dunque un cambio di rotta e direzione. Questo cambio va costruito in ogni singola lotta di resistenza, spesso oggi isolata e abbandonata a sé stessa. Ma va costruito anche e soprattutto dando battaglia ovunque per un'altra prospettiva generale. La grande lotta dei ferrovieri, degli insegnanti, degli infermieri, in Francia, nonostante anche lì una (diversa) resistenza delle burocrazie, indica le potenzialità di una alternativa. È falso che i lavoratori sono deboli, che le lotte siano destinate alla sconfitta. È vero invece che 17 milioni di salariati in Italia sono una forza enorme, che va semmai organizzata e impiegata, facendo emergere una piattaforma di lotta unificante, ponendo il tema di uno sciopero generale prolungato per sostenerla e di una grande assemblea nazionale di delegati eletti per approvarla. Il PCL si batterà in ogni luogo di lavoro, in ogni organizzazione sindacale di classe perché questa alternativa emerga, conquisti settori crescenti dell'avanguardia, sappia imporsi all'attenzione della grande massa dei lavoratori e delle lavoratrici.

È necessario che il coordinamento nazionale unitario delle sinistre di opposizione, emerso dalla grande assemblea del 7 dicembre, investa in questo lavoro. Finalmente si è prodotto un fatto unitario a sinistra, contro la logica settaria della frammentazione dell'iniziativa di avanguardia, o peggio ancora di veti incrociati e preclusioni reciproche. Ma ora occorre che l'unità d'azione diventi per l'appunto azione. Le campagne unitarie per la riduzione dell'orario, per la nazionalizzazione delle aziende che licenziano ed inquinano, per la cancellazione dei decreti sicurezza, per il ritiro delle missioni militari, possono dare un contributo importante, se sono sviluppate in una direzione coerentemente anticapitalista e se sono investite in una battaglia vera, concentrata, di massa in ogni luogo di lavoro, in ogni sindacato di classe, in ogni movimento progressivo.

Come PCL ci batteremo per questo. Abbiamo contribuito in modo determinante alla nascita del coordinamento unitario delle sinistre di opposizione, contro resistenze settarie o timidezze. Ci batteremo ora con ugual vigore perché il campo dell'unità d'azione si allarghi e perché cresca nell'avanguardia l'influenza politica di un programma di rivoluzione.
La costruzione e il rilancio del Partito Comunista dei Lavoratori sono per questo tanto più indispensabili.
La ritirata è finita. Inizia una stagione nuova.

Marco Ferrando

CONDIVIDI

FONTE