Interventi

Solidarietà al movimento dei rave party

15 Gennaio 2020
RAVE


Nonostante passino inosservati di fronte al dibattito attuale, non sono una leggenda metropolitana: la scena dei rave party (o free party) in Italia e nel mondo è tutt’ora esistente. Sembra quindi doveroso iniziare questa riflessione esprimendo solidarietà alle oltre 700 persone denunciate per la festa di questo capodanno a Cirié (Torino).
Una questione che di solito rimane estranea anche nel campo dell’estrema sinistra, ma che sarebbe opportuno considerare.
Cestinati ed etichettati come “schiavi sorridenti del capitale” dagli ambienti stalinisti e dalle loro campagne bigotte contro le sostanze stupefacenti, o ignorati dagli ambienti riformisti perché rappresentano una realtà scomoda, il popolo dei ravers purtroppo gode solo della propria forza per continuare la sua battaglia.
Nell’attuale situazione italiana è una scena cui va riconosciuto il suo valore di saper resistere: inserita nel riflusso più drammatico degli ultimi decenni del movimento operaio, e di conseguenza di tutti i movimenti e lotte sociali, le occupazioni dei rave party mobilitano migliaia di persone da tutto il paese e spesso anche dall’estero.


"FREE MUSIC FOR FREE PEOPLE"

I rave party fecero ingresso nello scenario europeo a inizio anni '90, a partire dalla Gran Bretagna con gli Spiral Tribe (una delle prime e più famose crew), poi emigrati verso sud (Francia, Italia, Repubblica Ceca, Spagna…) per sfuggire alla troppa repressione che stavano subendo (il loro fu uno dei processi più lunghi e costosi della storia legale inglese, durato quattro mesi e costato 4 milioni di sterline).
“Free music for free people” (“Musica libera per gente libera”), questo era ed è tuttora lo slogan che ricorre in queste manifestazioni, perché al di là della festa sono eventi che portano con sé delle rivendicazioni.
Lo spirito di ribellione viene tradotto nelle TAZ (zone temporaneamente autonome). Fabbriche abbandonate e lasciate al degrado ambientale prendono di nuovo vita, posti che prima rappresentavano lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo ora vengono occupati temporaneamente per acquisire un significato di liberazione. L’atmosfera creata dal ritmo martellante della tekno induce quasi automaticamente a ripensare al passato del posto, dominato dal ritmo disumano della catena di produzione.

Senza cercare aspetti mistici, di questi episodi sono chiari i segnali di denuncia sociale e ambientale verso l’amministrazione statale che lascia marcire intere zone industriali fregandosene dello smaltimento e riqualificazione dell’area. Così funziona l’attuale sistema di produzione: si sfrutta finché si può la forza-lavoro degli operai, poi li si licenzia per cercare un profitto superiore da altre parti, ed infine si abbandona il tutto senza prendersene responsabilità. Non è un caso che dopo lo shock sensazionalistico riportato sui giornali riguardo “il crimine” compiuto dagli organizzatori, vengano poi scoperti rifiuti abusivi di materiali altamente inquinanti, ovvero i veri crimini compiuti dai capitalisti, che però guarda caso passano in secondo piano di fronte alla giustizia borghese.

Tre aspetti caratterizzano questi eventi come spazi liberi e indipendenti dalla cultura dominante del profitto:
- l’aspetto ricreativo: per chi non vuole sottostare alle regole imposte dal mercato, da una società di padroni, che dice come, dove e quando le persone devono divertirsi;
- l’aspetto artistico e musicale: una musica indipendente, autoprodotta e sicuramente innovativa, che non è soggetta, per le condizioni stesse in cui viene creata, alle classiche logiche delle varie etichette discografiche. Arti coreografiche digitali, graffiti, giocolieri e molto altro ancora, sono alcuni degli aspetti preziosi di queste esperienze di autogestione;
- l’aspetto sociale: perché frutto di una società divisa in classi, dove i ricchi possono permettersi il divertimento nei loro locali e consumare le “loro sostanze” a prezzi inaccessibili per le classi subalterne.


UNA QUESTIONE DI CLASSE, UNA PROSPETTIVA DI LIBERAZIONE

Emerge un aspetto di classe nei rave party, dove è significativa la presenza di lavoratori e lavoratrici, di studenti e studentesse. È di classe quindi lo scontro che ne scaturisce tra chi si autorganizza e chi vuole reprimere, chi è sfruttato e chi sfrutta, chi lavora e chi comanda. Siamo dalla stessa parte della barricata, e chi lotta insieme a noi per una società più giusta e libera, contro i padroni del mondo, al di là delle divergenze strategiche politiche, è un nostro compagno e una nostra compagna. Gli infiltrati di destra, xenofobi e reazionari che possono fare comparsa nel movimento vanno cacciati!

La repressione negli ultimi anni, in Italia ma non solo, sta aumentando, l’autofinanziamento delle crew resiste ma non sarà sempre sufficiente, soprattutto per i piccoli gruppi che subiscono comunque processi e sanzioni ultracostose. Cambiare paese e spostarsi ancora? Le opzioni si fanno sempre più ristrette, la crisi sociale ed economica in ogni parte del globo si fa sempre più rilevante. Lo stato di polizia si fa più potente, la maggioranza della popolazione diventa sempre più povera e il bivio tra reazione e rivoluzione diviene quindi sempre più concreto. Allora di fronte a tutto ciò uniamo le lotte contro il vero nemico per una prospettiva che libererà veramente e permanentemente l’umanità. Una prospettiva per cui la maggioranza della società, gli sfruttati, i lavoratori, prendano in mano le redini del proprio futuro e si autorganizzino in un propria forma di governo che sappia imporsi per estinguere la macchina capitalista dello Stato. In questa società oppressiva che tende ad appiattire ogni forma artistica ed espressiva sotto la ricerca del profitto: “Make some fuckin' noise!” ("Fai un po' di maledetto rumore!")

Luca Gagliano

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