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Nuovo governo di centrosinistra in Spagna

Acerbo e Ferrero brindano. A cosa?

12 Gennaio 2020
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Un nuovo governo di centrosinistra è nato in Spagna. Lo dirige il Presidente Pedro Sanchez in continuità col governo uscente, che già godeva prima delle ultime elezioni dell'appoggio parlamentare della sinistra cosiddetta radicale di Podemos. La novità è che adesso Podemos ha ottenuto i sospirati ministeri. Quelli che invano aveva chiesto in estate.

Governo “di svolta”? È la tesi sbandierata da Iglesias e da Alberto Garzon (Unidos Podemos), beneficiari dei nuovi ministeri, con tanto di lacrime di commozione in Parlamento. Soprattutto è la tesi ripresa con solidale entusiasmo da Rifondazione Comunista: «Per la prima volta dalla fine della guerra civile i comunisti tornano al governo in Spagna... È stata la forza, la determinazione e l’unità della sinistra radicale a costringere i socialisti a un accordo su un programma di discontinuità rispetto alle politiche neoliberiste dei precedenti governi». (Maurizio Acerbo, Paolo Ferrero).

Un "programma di discontinuità”?
In primo luogo, lo stesso programma formale del nuovo governo è assai più prudente di chi lo esalta. Lo sbandierato aumento del salario minimo è scaglionato lungo l'arco della legislatura. L'intervento sulle famigerate leggi del lavoro del governo del PPE resta vago e indeterminato quanto basta per non assumere impegni vincolanti. Le politiche sull'immigrazione sposano “attenzione umanitaria e sicurezza” nel classico frasario del centrosinistra continentale. L'Unione Europea è omaggiata come colonna d'Ercole insuperabile, naturalmente rivestita come si conviene di premurose preoccupazioni sociali e democratiche. La NATO, manco a dirlo, resta un pilastro intoccabile riverniciato da preghiere pacifiste. Quanto alla Catalogna, i suoi dirigenti restano in galera mentre il principio stesso di autodeterminazione è esplicitamente negato. Sarebbe questo un programma di discontinuità?

Ma il punto centrale non è questo. Il punto è che nessun governo può essere giudicato in base alla letteratura delle sue promesse. La natura sociale di un governo poggia sulla costituzione materiale delle sue relazioni col capitale finanziario e con gli apparati dello Stato, sulla composizione politica dei ministeri chiave, sui suoi rapporti con l'alta burocrazia, le gerarchie militari, i corpi diplomatici. Tanto più nel caso di un paese imperialista come la Spagna. Da questo punto di vista la teoria della discontinuità appare davvero grottesca.

Il “nuovo” governo Sanchez è guidato dallo stesso presidente uscente. Il suo partito è il PSOE, la socialdemocrazia di governo che per più tempo ha governato la Spagna dopo la caduta di Franco. Un partito di sistema che ha incardinato il "regime del '78", con le sue norme di garanzia per la monarchia spagnola e gli apparati militari: lo stesso sistema politico-istituzionale che ha consentito la repressione del movimento catalano e l'incarcerazione dei suoi leader. Un partito di sistema che dispone di una rete strutturata di relazioni materiali con la borghesia spagnola e con le istituzioni dell'Unione Europea.

Al PSOE, o alla sua area di riferimento, spettano non a caso, come in passato, le leve ministeriali fondamentali: il ministero chiave dell'economia, con Nadia Calviño, molto gradita negli ambienti del capitale finanziario, con una lunga carriera a Bruxelles; il ministero degli interni, con Fernando Grande-Marlaska, fiduciario delle Forze Armate e della Guardia Civil, tanto più importante nel contenzioso con la Catalogna; il ministero degli esteri, con Arancha Gonzalez Laya, una liberale esperta in commercio quale procacciatrice d'affari per la borghesia spagnola, a partire dalla America Latina; il ministero della giustizia, col giudice Campo, a tutela della magistratura, da sempre vicina alla monarchia, come si è visto con le sentenze infami contro l'indipendentismo catalano; il ministero di sicurezza sociale e migrazioni, con José Luis Escrivá Belmonte, uomo dalla lunga carriera all'interno della BCE, figura di tecnico indipendente stile Monti. El Pais (11 gennaio) parla di un governo semitecnico, tanto è il peso della presenza diretta di alti funzionari dell'apparato economico e statale. Di più, vede nel sovraccarico di figure tecniche, fiduciarie del grande capitale, un segnale di rassicurazione ai mercati. Come dire: “tranquilli, nulla cambia per voi, i ministri della sinistra radicale sono solo decorativi”.

In effetti. Podemos incassa una vicepresidenza (Pablo Iglesias), il ministero dell'università con Manuel Castells, il ministero del lavoro con Yolanda Diaz, il ministero del consumo (?) con Alberto Garzon, il ministero dell'uguaglianza con Irene Montero... Nel migliore dei casi i classici ministeri (come quello del lavoro) che nei governi di coalizione vengono riservati alle socialdemocrazie, con la funzione di abbellire l'immagine, di ammortizzare i conflitti e gestire le patate bollenti di misure sociali indigeste. Certo qualcosa di più significativo del ministero degli affari sociali riservato a Paolo Ferrero nell'ultimo governo Prodi. Ma ciò che conta in un governo è la corresponsabilità politica d'insieme. Come Ferrero cogestì la più grande detassazione dei profitti dell'intero dopoguerra voluta da Prodi (con l'IRES dal 34% al 27%), così Iglesias e Garzon cogestiranno la continuità delle missioni militari e delle politiche migratorie amministrate da Sanchez. Peraltro Iglesias non ha perso tempo per conformarsi al suo nuovo ruolo: «Emerge un profilo più moderato di Pablo Iglesias... Si appella alla Costituzione, al rispetto del Re... Applaude le parole di Sanchez... Si presenta come un uomo di Stato... né altera la sua voce quando qualcuno gli ricorda che appena cinque anni fa aveva promesso di rompere col regime del '78». Così El Pais (12 gennaio) commenta estasiato il discorso di Iglesias in parlamento nella veste di futuro ministro. È il plauso dovuto al ritorno del figliol prodigo. E siamo solo all'inizio.

Si obietta che un nuovo governo Sanchez-Iglesias è comunque migliore di quello della destra post-franchista, tanto più oggi con l'ascesa di Vox. Grazie. Ma cosa ha più concimato l'ascesa di Vox se non l'unità nazionale di PPE e PSOE a difesa della monarchia spagnola contro il movimento democratico catalano? Cosa ha legittimato di più la canea xenofoba contro i migranti dell'estrema destra se non la continuità delle politiche discriminatorie condotte dai governi a guida PPE e PSOE (da Zapatero a Sanchez) che hanno siglato col Marocco accordi infami, simili a quelli stipulati da Minniti e Salvini con la Libia?
In Spagna come ovunque la destra capitalizza i disastri della sinistra. Pensare che un “nuovo” governo capitalista a guida PSOE con qualche ministro di Unidos Podemos possa essere l'argine contro la destra significa rimuovere l'esperienza degli ultimi trent'anni in tutta Europa.

“I comunisti tornano al governo in Spagna dopo ottant'anni”. Vero. Salvo trarre da questo paragone temerario tutte le dovute implicazioni.
Ottanta anni fa, nel nome del fronte popolare antifascista, i ministri del PCE agli ordini di Stalin subordinarono la rivoluzione spagnola alla coalizione di governo con la borghesia repubblicana, anzi, come disse Trotsky, col “fantasma della borghesia” (perché industriali ed agrari erano schierati compatti col generale Franco). Il risultato della sconfitta della rivoluzione fu quello di spianare la strada al fascismo. Ottant'anni dopo, gli eredi sbiaditi di quella tragedia riformista, con un peso infinitamente minore, tornano al governo del capitalismo spagnolo per coprire a sinistra la socialdemocrazia e disinnescare il rischio di un'esplosione sociale. La differenza è che oggi accettano persino... la monarchia. Sarebbe questa la trincea contro la reazione?

Acerbo e Ferrero pensano forse che l'esempio spagnolo possa contagiare un domani anche l'Italia e riportarli al governo col PD.
Noi pensiamo che l'opposizione di classe, aperta e chiara, al nuovo governo del centrosinistra spagnolo sia non solo una questione di principio invalicabile, ma anche una necessità politica proprio in funzione della contrapposizione alla destra. È la linea sostenuta dai compagni e dalle compagne di Izquierda Anticapitalista Revolucionaria e della sinistra rivoluzionaria spagnola, cui va tutto il nostro sostegno.

Partito Comunista dei Lavoratori

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