Interventi

L'insostenibile leggerezza del settarismo manicheo intorno alle sardine

10 Dicembre 2019
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Le campagne e i movimenti di massa nella storia si distinguono in due segni: i reazionari e i progressivi. Tertium non datur.
Se veniamo all’esempio recente dell’indipendenza della Catalogna, ci è chiaro come, in certe circostanze, parole d’ordine impugnate dalla destra (l’indipendentismo), possano innescare, a livello sociale, un effetto valanga di criticità fino a verificarsi che elementi di frizione con l’ordine vigente, elementi prima organici alle contraddizioni tra capitalisti e perciò impugnati dalla destra, trovino una declinazione conflittuale, una risposta a sinistra.

La storia è un processo dialettico, muta, trasborda, certo, secondo le condizioni. Ma come pure nel caso indicato, non cambia la sua legge, il suo fondamentale discrimine di classe: o si sta da una parte o dall’altra. O coi lavoratori o coi padroni, o con gli oppressi o con gli oppressori.
I cittadini che componevano le piazze della autonomia capitalistica non erano quelli che composero di lì a breve le piazze dell’indipendenza nazionale nella prospettiva della conquista di diritti sociali e civili che il governo spagnolo, presieduto da Sua Maestà, calpesta col ferro della Benemérita littoria, nel quale veniva blindata, per reazione alla sollevazione operaia, l’annessione della Catalogna alla Spagna negli anni Trenta del secolo scorso.
Le piazze della scorporazione liberale antistatale non erano le piazze dell’autodeterminazione nazionale nel senso sociale, antiliberista e anticapitalista. Le piazze avanzano o indietreggiano; o esprimono ragioni di superamento dello status quo o di arretramento.

Venendo all’oggi e all’Italia, che tipo di piazze sono quelle delle sardine?
Anzitutto nessuna lettura può prescindere dal contesto generale che origina un fenomeno sociale e politico. In un proscenio di egemonia internazionale di destre intolleranti, sempre più oscenamente fascistoidi, xenofobe, autoritarie, securitarie, sovraniste, militariste, bonapartiste, e il peggio del peggio della destra radicale sullo sfondo della grande crisi del capitalismo, dell’arretramento del movimento operaio e nel mondo riunificato nel segno del capitale dopo l’89, le sardine scendono in piazza dicendo “basta al populismo”, si intende ovviamente il populismo di destra.
“Basta alla violenza”: si intende ovviamente la violenza del momento, quella che mette nel mirino di Traini persone di colore per il solo motivo di essere di colore; la violenza ideologica e fisica contro i lavoratori freddati dal caporalato nelle campagne del Sud, contro le minoranze etniche e culturali, le donne, persino i bambini, se si pensa all’odio diffuso contro Simone di Torre Maura o la giovanissima Greta.
“Basta al razzismo e al fascismo”; che assume tanto più valore se si considera che, per certa sinistra “radicale” con falce e martello a tutto campo, non sono più delle linee di displuvio scontate, guadagnando i plausi di CasaPound e di Fusaro.
Chi sarebbe, a tal proposito, più a sinistra tra le sardine che vogliono s-legarsi e Rizzo che dice che il Salvini del coro contro i napoletani è «il solo a pensare che la povera gente non puzzi»? Tra le sardine che fanno ritirare la bandiera rossa ma sull’immigrazione assumono l’inequivoca posizione dell’accoglienza, e il “rossissimo” Rizzo che, sul tema, dribbla e gioca viscidamente di benaltrismo? Chi tra i due persegue davvero obiettivi elettorali, le prime che si contrappongono apertamente alla gran parte del senso comune proponendosi di cambiarlo o l'altro che lo asseconda opportunisticamente? Non è affatto un interrogativo fuori tema.

Ora, è vero che l’esplosione sardine avviene in un momento in cui la Lega non è più ufficiosamente al potere, ma solo un politicismo miope può non vedere come la Lega conservi pressoché intatto il suo consenso tra ampi settori di lavoratori, adesso coadiuvato da Meloni; come continui a disseminare narrazioni tossiche pseudo-nazionalpopolari che riempiono nelle masse proletarie e proletarizzate il vuoto lasciato dalle narrazioni della sinistra di classe trasformatasi nel PD et similia; e solo una ottusità evenemenziale può trascurare come la “caduta” dell’aspirante plenipotenziario Salvini non si debba a una sollevazione popolare, ma alle incompatibilità interne con lo stesso governo borghese; e può, in ultimo, ignorare come, esattamente al contrario, al prossimo giro elettorale l’ex ministro orbanista miri a capitalizzare questo scacco giocato dal “Palazzo”, consolidando tanto più il proprio abusivo credito di “nemico dei poteri forti”.

Da Palermo a Torino centinaia di migliaia di persone affollano le piazze cantando “Bella ciao” e sollevando striscioni con su scritto che la propria città “non si Lega”.
La collocazione dal lato amico della barricata di un tale movimento appare chiara.
Le piazze delle sardine sono piazze che esprimono ragioni storiche progressive in cui i rivoluzionari devono scendere, naturalmente portando le loro parole d’ordine per spingere assai più avanti del guado in cui si trova un movimento da un manifesto programmatico che definire pieno di aporie, incoerente e ingenuo – col suo appello alla politica di chi la sa fare, alla bellezza della normalità e alla democrazia che però non ammette bandiere in piazza, mentre condanna il qualunquismo (!) – è poco.

Invece di improbabili dietrologie, allora, la domanda giusta da porsi è perché questo movimento, pur così largo, pur di segno progressivo, sia tanto aporico, incoerente e ingenuo da presentare ambiguità e difficoltà di non poco conto per l’intervento dei comunisti.
Diverse organizzazioni della sinistra “radicale” rispondono sostanzialmente a un modo: la ragione è che i leader delle sardine sono ispirati dal PD. “Dietro ci sta il PD!”: questo è il punto su cui quasi tutte convergono. Alcune poi inferiscono da ciò l’indiscutibile antagonismo di quelle piazze, e quindi non vi prendono parte; altre vi intervengono comunque cercando di strappare le masse ai “capi” ormai tutti manicheisticamente bollati come filogovernativi.

Noi pensiamo che se tra gli ideatori delle sardine c’è chi ha fatto campagna per il sì al referendum sulle trivelle, c’è anche chi risponde che Steve Jobs non può essere un punto di riferimento per un movimento innovatore essendo il fondatore di una multinazionale che calpesta i diritti dei lavoratori. Che se tra questi “capi” c’è chi bercia di ammainare la bandiera rossa in piazza (una scena orribile), c’è chi esprime nostalgia per i fasti della socialdemocrazia al tempo di Togliatti e Berlinguer e per la capacità di quella sinistra di raccontare il “paese vero” e di “garantire diritti che i giovani di oggi non hanno mai visto”.
Su quanto Togliatti e Berlinguer siano stati amici del proletariato e di quale “paese vero” abbiano fatto il gioco, dir non è mestieri. Ma chiaramente è già, nella sprovvedutezza politica generale di tante giovani sardine, una presa di posizione se non altro simbolica, un'indicazione generale, un collocarsi da una parte politica contro un’altra.

Noi pensiamo soprattutto, e questo conta maggiormente, che a prescindere dalle suggestioni politiche per il PCI o il PD dei capi-sardine (ed è ovvio che il PD cerchi di affondare le mani sulle piazze per ghermirne la buonafede), le centinaia di migliaia di persone che riconquistano le piazze reali di tutta Italia, abbandonando quelle virtuali e chiedendo la scomparsa definitiva di una certa parte politica e la soppressione di determinate ideologie, siano dalla parte giusta.

Viene assai difficile immaginare come tante persone, giovani soprattutto – specialmente dopo aver registrato la morte politica del PD alle elezioni del 5 marzo – stiano rimpiangendo Renzi o facendo propaganda surrettizia di sostegno all’attuale esecutivo.
I giovani sono stati i più colpiti dalle controriforme capitalistiche sul lavoro e dai tagli alla spesa pubblica varati dal centrosinistra in tutte le stagioni del suo governo. Ne pagano le conseguenze ogni giorno. Sostenere che tante piazze in Italia si siano improvvisamente svegliate piddine è semplicemente ridicolo.
Quelle piazze cercano, senza esplicitarlo, una soluzione ai problemi che denunciano. E il rifiuto dei partiti, seppure è oggettivamente una posizione qualunquista, non può non far pensare alla legittima sfiducia che queste piazze nutrono nei confronti di tutti i partiti che hanno governato il Paese negli ultimi trent’anni, Berlusconi, Prodi, col sostegno di Rifondazione e dei sindacati confederali.
Questo è lo sfondo di tutta l’ambiguità e la parzialità della politica delle sardine che, se certo non la giustifica in assoluto, relativamente la motiva.

Il grande rimosso in queste piazze, che porterebbe ben più chiarezza, è il mondo del lavoro. Ma ciò non è che l’effetto dell’arretramento profondo del movimento operaio stesso nel Paese.
Ma proprio a proposito di arretramento: quando si tratta di riconoscere la crisi di coscienza e di lotta della classe operaia in Italia, generalmente le sinistre radicali concordano. È inspiegabile quindi come, appena rispetto a quel livello di arretramento qualcosa muova i passi poco più oltre – poco più, ma sicuramente oltre! – per queste sinistre non sia ancora il momento di raccogliere la domanda e di dirigerla verso sbocchi rivoluzionari. Talché viene seriamente da chiedersi, tra un’avanguardia che si rifiuta di dirigere e una retroguardia che riempie le piazze, quale parte si configuri come la più avanzata.

Ma niente e nessuno obbliga a rassegnarsi all’una o all’altra. La terza strada c’è, ed è quella che abbiamo sempre indicato. Partecipare alle mobilitazioni di massa progressive per egemonizzarle in una prospettiva marxista e rivoluzionaria. La sola politica che offre, a chi davvero le cerca, soluzioni.

Salvo Lo Galbo

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