Interventi

Revelli, il PCL e il fuoco amico sulle sardine

5 Dicembre 2019
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In un articolo (1) che ha almeno il merito di riassumere l’atteggiamento superficiale, presuntuoso e sostanzialmente piccolo-borghese dei tanti sinistrati d’Italia che si approcciano come bulldozer al movimento delle sardine, Marco Revelli cita anche il Partito Comunista dei Lavoratori.

Ci sono gli scorretti che sparano a zero, e sono per lo più gli stalinisti (ne azzeccassero una volta una...), Rizzo in testa e l’associazione Mao XXI alla coda. In mezzo, militanti duri e puri, No tav, antifascisti, antirazzisti, tesserati ANPI eccetera, il fronte popolare dei «militanti provati», come li chiama Revelli, provati da qualunque cosa tranne dalla classe operaia che non li ha mai provati manco come calzini bucati, ed ecco perché costoro non si distinguono molto dai Feltri e dai Belpietro, cioè dalla destra fascistoide che spara a zero sulle sardine. Chi non si cura di avere un legame con la classe operaia, convinto nella sua dabbenaggine di essere lui il fulcro della lotta anti-Salvini o antifascista, nel 99 per cento dei casi si approccia ai movimenti con le stesse colorite espressioni della classe opposta.

Impegnato giorno e notte com’è, pur nelle difficoltà, a ricercare un legame con la classe operaia, il PCL non è tra costoro. Il segreto del diverso atteggiamento del PCL nei confronti delle sardine è in fondo tutto qui. Chi sa che è la lotta di classe a decidere le sorti del mondo, e che il soggetto del cambiamento resta il proletariato, che non può essere sostituto in alcun modo da associazioni, sardine, comitati, partiti (compreso il nostro, che lo può solo dirigere), e l’infinità di militanti lazzaroni che pretende di farlo al solo scopo di sottrarsi al paziente e duro lavoro di conquista della sua fiducia, lavoro per il quale non si potrà mai avere l’atteggiamento da cattivo maestro col dito perennemente puntato dei professori di lotta di classe senza la classe.

Il PCL ha un approccio materialistico sulle sardine, non idealistico come i loro detrattori di sinistra. Per l’approccio materialistico conta l’indirizzo iniziale di un movimento, non rapportare il suo livello di coscienza con quello presunto superiore di chi vuol fargli la morale per le sue evidenti contraddizioni, identificando regolarmente il movimento con la sua direzione. Chi parte in questa maniera antimarxista dimostra in maniera inconfutabile che non è affatto più avanti delle sardine, come pretende la sua boria, ma infinitamente più indietro, ed è difficile pensare che possa colmare il ritardo, perché è appunto un eterno attardato di sinistra. Se avessero adottato questo metodo, i bolscevichi, avrebbero voltato le spalle alla rivoluzione russa del 1905, quando gli operai erano guidati da quella spia zarista di Pope Gapon. E pure nel 1917 avrebbero guardato con sufficienza i soviet di febbraio, diretti com’erano da menscevichi e socialisti-rivoluzionari. Per fortuna han fatto altro, e noi chissà perché preferiamo seguire loro anziché i ritardatari di sinistra.

Nessun movimento, neppure quello delle sardine, "nasce imparato", tanto meno in assenza di grandi lotte. Solo l’irruzione in piazza della classe operaia può far maturare le sardine. In altri termini, senza esperienza vera e propria di lotta che solo la classe operaia può fargli fare, le sardine sono destinate a rimanere quello che sono, un banco di pesciolini, grande finché si vuole ma tutto sommato innocuo. Non però più innocuo di comitati, associazioni e di militanti duri e puri che agiscono anch’essi slegati dalla classe operaia. L’unica differenza è che, al momento, le sardine, rispetto a questi, sono almeno un movimento di massa, cosa che che comitati e associazioni, per essere per lo più locali e pure felici d’esser tali, sono anche tecnicamente impossibilitati ad esserlo.

Il punto fondamentale, però, è che le sardine demarcano il campo, mettendo Salvini e quindi la destra da una parte, e la sinistra dall’altra, schierandosi di fatto con quest’ultima, per quanto larga. Questo indica che in attesa di grandi lotte si può e si deve intervenire nel movimento per arare il terreno e far sì che al momento giusto qualche germoglio di coscienza in più sia già cresciuto, per far sì insomma che non cresca proprio in grembo al PD o a Più Europa, strappandoglielo da sotto il naso. Questo è il senso della partecipazione del PCL al movimento delle sardine.

Anche così, però, a Revelli non sta bene. Questo metodo di intervento, il marxismo, secondo lui è “più corretto” degli scorrettissimi stalinisti, nondimeno appare alla sua miopia come il classico “entrismo” dei trostkisti. Va da sé che non sapendo cosa sia il marxismo, Revelli ignori anche il suo aggiornamento trostkista e parli di “entrismo” come parla di tutto il resto: per sentito dire, un tanto al chilo, in linea con la sua cifra di intellettuale spelacchiato, per menti mediocri e superficiali come la sua.

È grazie a questa analisi, mezzo pomposa mezzo ipocrita, che anche il marxismo si ritrova nel calderone del “fuoco amico”, cioè di coloro che ormai sono stati messi «fuori corso» dalla Storia. Revelli cita De André e la gente di “Bocca di rosa”, che non potendo più dare il cattivo esempio, si ostina a dare buoni consigli. Stalinisti e radicali duri e puri sono il cattivo esempio degli scorretti, noi marxisti il consiglio non richiesto dei più corretti.

Tutto questo forse potrebbe pure essere giusto, se Revelli si degnasse di dirci anche cosa sia lui. Ma l’autore se ne guarda bene, altrimenti la sardina inesperta a cui “casualmente” si rivolge, qualche dubbio sulla sua sbrodolata potrebbe anche farselo venire.

I trotskisti non vanno in piazza per fare entrismo nel movimento delle sardine. L’entrismo è un’altra cosa, per esempio (per quanto sui generis) è quello che hanno fatto stalinisti e riformisti tardo-keynesiani come Revelli dentro i partiti comunisti fino ad occuparli e dirottarli dall’altra parte della barricata. Revelli, però, trent’anni dopo la caduta del Muro e il trapasso del PCI in PD, ancora non se ne è accorto, e di conseguenza gli “entristi” restiamo noi.

I trotskisti vanno in piazza con le sardine per fare quello che hanno sempre fatto: i marxisti. Ci vanno, cioè, per quello che sono, esattamente come tutti gli altri. C’è chi ci va da piddino, chi da piùeuropeista, chi da cattocomunista, chi in altro modo ancora. La vera differenza sta nel fatto che i trostkisti non si mascherano da apartitici come gli altri, e dicono apertamente da che parte stanno.

Questa onestà intellettuale è chiamata «entrismo» da Revelli. A lui non va bene perché gli preferisce il “mimetismo”, il suo, che altro non è che il trasformismo con cui quelli come lui passano come se niente fosse da rifondisti ad arcobaleni, poi da tsiprioti a novelle sardine, dando però la colpa agli altri dei disastri prodotti dalle precedenti esperienze che li hanno visti sempre in prima fila, alleati e sostenitori di qualunque mezza cartuccia che non fosse marxista, perché il marxismo – e solo il marxismo e nient'altro – ha avuto la fortuna di non aver mai avuto Revelli dalla sua parte, ma regolarmente contro. Però è il marxismo che ha perso la piazza, non il revellismo di tutte le stagioni!

Il marxismo è “fuori corso”, dice Revelli, senza riflettere minimamente sul significato di un simile pensiero. In effetti, il marxismo, inscindibilmente legato alle sorti della classe operaia, è fuori corso grosso modo dal 1924, dalla morte di Lenin. Da allora la storia non ha permesso al marxismo di incidere prepotentemente nella sua carne come nel 1917. Questo significa solo che la classe operaia non è più riuscita a prendere le redini della società, se non in maniera distorta. Anche quando se le è trovate in mano, purtroppo, la classe operaia non aveva alla testa qualcuno che dirigesse per lei. Aveva i tanti Revelli che dirigevano contro, felici come una Pasqua di essere nel corso della Storia. Solo non si sono accorti, i Revelli, di essere stati nel corso della Storia non per darle un indirizzo proletario come avremmo tentato di fare noi, ma per mantenerla sul binario capitalistico. La Lista Tsipras, ultima grande trovata di Revelli, ne è il più fulgido esempio. Gran bella soddisfazione essere protagonista del corso borghese della Storia; non certo per noi, però, per chi sta con tutte e due i piedi in quello proletario può essere solo vergogna e ignominia, di conseguenza tanta gioia per niente la lasciamo volentieri ai Revelli, tanto più che non è evidentemente per meriti loro che si son trovati nel corso della storia capitalistica. È stata la borghesia ad ammetterli nella sua storia, quando ha visto che in determinati momenti come servi erano anche meglio di quelli che è solita usare per i suoi interessi. Il guaio è che una volta usati i Revelli, la borghesia dà loro il benservito, lasciando in braghe di tela non solo loro, che se lo meritano, ma anche il proletariato e i marxisti, che non hanno alcuna colpa.

È per questo che andiamo in piazza con le sardine in maniera attiva, non passiva come vorrebbe Revelli. Perché già è sempre più difficile risalire la corrente, dopo disastri della sua lista, figuriamoci quanto andremmo ancora più indietro seguendo i suoi consigli. Perché, in effetti, anche andare in piazza in maniera passiva, come di fatto predica lui, non è altro che un ulteriore consiglio dato al movimento, quello di chi accetta sempre le cose così come sono, che è in fondo il tratto distintivo di tutti i riformisti, compresi quelli più camuffati (ora da sardine) alla Revelli. I rivoluzionari vanno in piazza per cambiarle le cose, cioè per provare a vincere, non per continuare a perdere.

In piazza, comunque, De André lo canteremo anche noi, perché anche a noi piace, nonostante fosse anarchico. E però se le Sardine cantano “Crêuza de mä”, poiché è il più manierato e innocuo dei suoi dischi, e Revelli cita a sproposito “Bocca di Rosa”, noi che lo conosciamo meglio di tutti pensiamo che la sua canzone più adatta al momento sia ancora verranno a chiederti del nostro amore per il bolscevismo. È in quella canzone, riportata recentemente in concerto dal figlio Cristiano, che ai Revelli che han sempre fatto i comunisti distillando fiori, e che ora, bruciata una poltrona, sono in cerca di quella nuova, pronti a osannare il movimento delle sardine così com’è per ingraziarselo, Fabrizio ne anticipava la conclusione:

continuerai a sperare di farti scegliere dalle sardine
o finalmente sceglierai la lotta di classe





(1) Il neo-qualunquismo della sinistra radicale che attacca le Sardine

Lorenzo Mortara

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