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Tre milioni di morti all'anno: un serial killer chiamato capitalismo

10 Novembre 2019
mortilavoro


7.500 persone al giorno, 1.000 sul lavoro e 6.500 per malattie professionali. È questo il bilancio diramato dall’ILO (International Labour Organization), a consunzione dell’anno 2017 per le morti sul lavoro. Un vero e proprio bollettino di guerra, la guerra incessante del capitale contro la forza-lavoro: 2,8 milioni all’anno, 365.000 per incidenti e 2,4 milioni per malattie professionali.

Dai 2,3 milioni del 2014, l’incremento solo negli ultimi tre anni è stato del 20%, un record destinato ad essere rapidamente battuto, visto che queste cifre altro non mostrano che il necessario tributo di sangue che la classe operaia deve versare, ogni anno, per garantire il profitto alla classe padronale.

In tempi di crisi, quando il profitto cala, non resta che spremere di più i lavoratori se non si vuole abbassare troppo il ritmo di accumulazione del capitale. E poiché una nuova crisi è alle porte, senza che quella vecchia sia stata minimamente risolta, possiamo già essere sicuri che il bilancio, tra dieci anni, sarà ben più pesante e drammatico di questo. Tra un dollaro in più e un morto sul lavoro di meno, sappiamo bene, infatti, cosa scelga da sempre il sistema capitalistico.

Nel frattempo, per guarire il capitale dal dissanguamento, la borghesia del mondo taglierà altre spese per ispezioni e controlli. Solo in Italia, infatti, sono diminuite del 9%, mentre in altri posti sono praticamente inesistenti, visto che in Africa e in Asia gli incidenti mortali sono 4/5 volte superiori rispetto all’Europa.

A fronte di un simile bilancio, cosa propone l’ILO come rimedio? Tecnologia, demografia e sviluppo sostenibile, cioè correggere l’incorreggibile capitalismo. In breve, per l’ILO, l’unica soluzione è presentarsi tra qualche anno con un altro bilancio ben più drammatico, per la semplice ragione che una soluzione sotto il capitalismo non c’è, duecento anni di storia del libero mercato sono lì a dimostrarlo.

Noi, invece, pensiamo innanzitutto che queste cifre debbano stimolare un paio di riflessioni. Ci hanno detto che il comunismo ha fatto milioni di morti, 85 per la precisione molto interessata del famoso Libro nero di Courtois e compagnia bella a servizio di lor signori. 85 in settant’anni, contando anche carestie non provocate e trenta milioni di russi ammazzati dal capitalismo nelle due guerre mondiali, eccetera. 85, insomma, più o meno raddoppiandoli, esattamente come quelli del capitalismo grosso modo vengono dimezzati per meglio farlo figurare, scaricandoli ora sul nazismo, ora sul fascismo, ora sul franchismo, come se dietro tutte le dittature di destra non ci stesse sempre lo stesso sistema economico.

Infatti, le cifre raccolte per i morti sul lavoro, secondo l’ILO, sono alquanto sottostimate. Basti pensare che neanche tanto tempo fa l’India, con una forza-lavoro superiore di cento volte rispetto alla Repubblica Ceca, dichiarava 222 morti sul lavoro contro 231. In pratica 40.000 in meno di quelli reali. E come l’India, mezzo mondo capitalistico. A occhio e croce, quindi, i morti sul lavoro sono ogni anno 4 o 5 milioni, e forse siamo ancora bassi.

Giratela come volete, al capitalismo bastano tra i 15 e i 30 anni per fare e ampiamente superare, solo dentro le fabbriche e sui posti di lavoro, i morti fatti dallo stalinismo in 70 anni. Questo la dice lunga sul pulpito senza vergogna da cui proviene la recente predica che equipara nazismo e comunismo.

È vero, anche lo stalinismo, con l’industrializzazione forzata e accelerata, fece versare alla classe operaia, un enorme esborso di sangue, raramente messo a bilancio nei crimini del “comunismo”. Tuttavia, senza giustificare lo stalinismo, non si può negare che l’industrializzazione sovietica, per il cordone sanitario che il capitalismo le fece tutt’intorno per strangolare la rivoluzione, fu costretta a partire da basi tecnologiche arretratissime. Dal punto di vista tecnologico, quindi, quell’esborso ha almeno una parziale giustificazione storica. Non così il capitalismo, il quale dispone, oggi e da sempre, dei migliori e più avanzati frutti del progresso scientifico.

L’altra riflessione che dobbiamo fare è: queste morti sono inevitabili? Stante il capitalismo, sì. Nessuna tecnologia, nessuna informatizzazione, nessuna industria 4.0, introdotta in tempi di vacche magre, potrà mai cambiare più di tanto l’andazzo, per la semplice ragione che la tecnologia usata per il profitto lavora per la salute del capitale, contro la forza-lavoro.

Tolta dalle mani del capitale, invece, ed usata per un piano collettivo di risanamento ambientale ed umano, la tecnologia ha un potenziale enorme da sprigionare. Anche qui non possiamo andare molto più in là di un’ipotesi. Ma pur con tutta la prudenza possibile, non abbiamo alcun motivo per dubitare che, messa davvero al servizio dell’uomo, vale a dire della rivoluzione socialista, la tecnologia già oggi disponibile ridurrebbe dell’80-90% le morti sul lavoro, e forse anche di più.

Ne segue che tutte le attuali morti sul lavoro, praticamente in blocco, vanno ascritte al capitalismo, la cui sete di sangue è superiore in efferatezza a quella dei khmer rossi cambogiani, non a caso portati in palma di mano dall’imperialismo statunitense quando facevano comodo.

E con questo crediamo di aver detto tutto.




Nota. I dati citati sono presi da un articolo pubblicato il 5 novembre 2019 da Il Fatto Quotidiano: Lavoro ecatombe mondiale. Ogni giorno 7.500 morti (articolo di Nicola Borzi). A questi dati abbiamo aggiunto, ad integrazione, altre cifre offerte dai rapporti dell’ILO.

Lorenzo Mortara

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