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Marco Rizzo sulla via della seta

Clamorosa svolta del PC a sostegno del capitalismo cinese

13 Settembre 2019
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«Auspichiamo, quindi con la visita del Presidente Xi Jinping, che le relazioni tra la Cina e l’Italia vadano nella direzione di un effettivo vantaggio reciproco, della pari dignità e di una maggiore conoscenza e comprensione reciproca.»

«In un’ottica meno generale, auspichiamo un rafforzamento di fraterne relazioni bilaterali, nel rispetto delle reciproche posizioni teoriche e politiche e nello spirito dell’internazionalismo proletario, tra il PCC e il nostro Partito, dall’azione comune dei quali in larga misura potrà essere assicurato anche il corretto sviluppo delle relazioni tra i nostri Paesi, nell’interesse della classe operaia e dei lavoratori.»

«Nel nostro paese esistono settori di borghesia capitalistica che guardano alla Cina come ad una grande opportunità, sia in termini di mercato di sbocco per le proprie merci, che in termini di potenziale investitore estero in Italia.»

«[...] dobbiamo rilevare che questo tipo di accordi sta mettendo in crisi l’egemonia statunitense, aprendo contraddizioni nel fronte imperialista che i Partiti Comunisti dovranno essere in grado di utilizzare a vantaggio della classe operaia [...]»

«[...] vogliamo dialogare con il Partito Comunista Cinese, con cui siamo disponibili, fin da ora, a discutere su tutti gli aspetti politici, culturali e pratici di interesse reciproco.» (1)


Sono alcune citazioni tratte dalla lunga intervista rilasciata da Marco Rizzo alla stampa cinese e ampiamente reclamizzata in Italia. Sbigottimento generale. Ma come!? Il Partito Comunista non aveva sinora affermato che la Cina è un paese capitalista con proiezioni imperialiste? Non era stato questo fino a ieri un elemento di scontro frontale con le posizioni filocinesi di un'altra parte dell'arcipelago stalinista, non solo in Italia ma nel mondo? Contrordine compagni! Il Segretario Generale del PC ha svoltato. Quello che era vero ieri non è più vero oggi. Deliberazioni congressuali, innumerevoli articoli, feroci polemiche anticinesi... tutto materiale cestinato. Lo ha deciso Marco Rizzo, e questo basta. I compagni che non comprendono se ne facciano una ragione. Così funziona il PC, conforme alla tradizione stalinista.

Ma lasciamo perdere il metodo e passiamo al merito, perché il merito è molto più grave del metodo.

Tutta l'intervista, che invitiamo a leggere per intero, afferma che lo sviluppo della Cina e la Via della Seta approfondiscono le contraddizioni tra gli imperialismi, indeboliscono l'egemonia USA nel mondo, aprono spazi al proletariato e al socialismo che vanno utilizzati.
Soffermiamoci per un attimo sul lato teorico della questione. La Via della Seta approfondisce le contraddizioni imperialiste? È indubbio. Ma le approfondisce esattamente perché la Cina è oggi un paese imperialista, ed anzi un paese imperialista in ascesa: la prima potenza manifatturiera del mondo, la principale esportatrice di capitale finanziario, la potenza egemone nelle nuove tecnologie, la potenza che più sta espandendo la propria area d'influenza su scala internazionale. La Cina domina larga parte dell'Africa, estende la propria presenza in Asia, si proietta in America Latina. Il saccheggio di terre fertili, l'accaparramento di materie prime, il supersfruttamento della mano d'opera locale, l'uso dell'indebitamento dei paesi asiatici e soprattutto africani come leva di sottomissione, sono pratiche imperialiste di cui la Cina abusa.
Naturalmente l'imperialismo USA resta politicamente e militarmente dominante su scala mondiale, ma l'ascesa dell'imperialismo cinese insidia le sue posizioni. Il conflitto commerciale tra USA e Cina è solo un risvolto della più ampia lotta tra vecchie potenze dominanti e nuove potenze emerse per la conquista del mondo. Sarà questa la linea centrale di scontro sul piano mondiale nel nuovo secolo. Si può non vederlo?

Ma se le cose stanno così, e così stanno, i comunisti non possono parteggiare per nessuna delle potenze imperialiste in conflitto. Naturalmente i comunisti che operano nei paesi imperialisti dell'occidente si batteranno innanzitutto contro l'imperialismo di casa propria: contro l'imperialismo USA, contro gli imperialismi europei, contro la NATO. Ma non schierandosi dalla parte dell'imperialismo rivale, non rimuovendo la sua realtà, e tanto meno presentandolo come “socialista”. Semmai rivendicando l'indipendenza degli interessi del proletariato internazionale dai poli imperialisti in conflitto, che è poi l'unico modo di capitalizzare le loro contraddizioni in una prospettiva rivoluzionaria e socialista, in ogni paese e su scala mondiale.

Marco Rizzo fa esattamente l'opposto. Benedice la Cina come paese socialista in costruzione. Benedice la Via della Seta come la via del progresso. Benedice il Partito Comunista Cinese (dove oggi figurano migliaia di nuovi capitalisti miliardari, spesso provenienti dalla vecchia burocrazia stalinista) come partito comunista con cui avere «fraterne relazioni», naturalmente «nel rispetto delle reciproche posizioni teoriche». Ma se la posizione "teorica" del PC è quella per cui l'attuale Cina è un paese socialista guidato da un partito comunista, il rispetto fraterno è assicurato in partenza. Non c'è bisogno né di richiederlo, né di garantirlo.

Colpisce nella lunga intervista l'assenza di ogni riferimento al proletariato cinese, la classe operaia più numerosa al mondo, la più concentrata nell'industria (Guandong), protagonista di uno straordinario ciclo di lotte a partire dal 2011 contro lo sfruttamento capitalista e la negazione dei diritti sindacali più elementari. Se la classe operaia cinese ha migliorato il proprio livello salariale lo deve alle proprie lotte contro il capitalismo cinese. Ma il PCC con cui Rizzo vanta relazioni fraterne stava e sta dall'altra parte della barricata, dalla parte dei capitalisti, non degli operai. Ai quali tuttora vengono negate le libertà sindacali e le protezioni sociali fondamentali. Al punto che uno dei principali problemi del capitalismo cinese dal punto di vista dell'espansione del mercato interno sta nel fatto che le famiglie operaie debbono risparmiare per pensioni e salute, non avendo copertura sociale, e dunque non possono spendere. “Come anche da noi”, qualcuno dirà. Appunto, stiamo parlando di capitalismo. Ma per Rizzo tutto questo improvvisamente scompare. Era forse vero sino a ieri, ma ora la verità è cambiata. Ora la Cina è socialista, il suo proletariato si rassegni.

In realtà la posizione “teorica” di Rizzo è figlia della cultura politica staliniana. La classe operaia è per noi classe nazionale, afferma Rizzo nelle prime righe dell'intervista. Qui sta l'omaggio alla tradizione di Stalin. “Gli operai non hanno patria”, “Proletari di tutti i paesi unitevi”, affermava Il Manifesto di Marx. La Terza Internazionale comunista fu fondata da Lenin e da Trotsky contro la deriva nazionalista della Seconda Internazionale, proprio nel nome dell'internazionalismo di Marx. Stalin l'ha prima tradita e poi sciolta, nel 1943, per gli interessi della burocrazia sovietica e delle sue relazioni con gli imperialismi. Rizzo è dunque seguace fedele del suo mentore. Il suo internazionalismo si riduce alle relazioni diplomatiche fraterne con altri partiti cosiddetti comunisti, anche quando oggi gestiscono una potenza capitalista e imperialista. Ma cosa ha a che fare tutto questo con l'interesse della classe operaia internazionale?

Il punto è che non ha nulla a che fare neppure con gli interessi della classe operaia italiana. E qui veniamo a un altro aspetto dell'intervista di Rizzo: l'ambiguità verso il capitalismo e l'imperialismo italiano. Non solo un'ambiguità teorica, ma soprattutto una grave ambiguità politica, con una valenza di classe.
L'intervista non nega formalmente (seppur di fretta, e non a caso) la realtà dell'imperialismo italiano. Al tempo stesso riconosce che settori della borghesia capitalistica italiana guardano alla Cina come opportunità di mercato e potenziale investitore finanziario. Effettivamente è un'evidenza che non si può negare. Aggiungiamo che sono proprio i settori di punta dell'imperialismo italiano a guardare alla Cina come opportunità. Perché la Cina è un mercato immenso, i proletari cinesi sono più a buon mercato, i sovraprofitti per gli investimenti in Cina sono assicurati. Ma anche perché l'espansione dell'imperialismo cinese, in particolare in Africa, offre ai maggiori monopoli capitalistici italiani forme diverse di cooperazione e coinvolgimento finanziario e produttivo. Di Maio, il nuovo ministro degli Esteri del governo (imperialista) italiano, guarda con interesse in quella direzione proprio perché glielo chiedono quei capitalisti italiani ai quali deve procacciare affari. Naturalmente non è in discussione la collocazione atlantica dell'Italia all'interno della NATO, alla quale si rinnova l'inossidabile fedeltà. Ma l'imperialismo italiano non vuole farsi ingabbiare dall'imperialismo USA, né vuol farsi fregare dagli imperialismi europei suoi concorrenti assai proiettati verso la Cina: da qui l'apertura alla Via della Seta dell'imperialismo cinese da parte dei governi Conte, e le relative tensioni con gli USA.

L'intervista di Rizzo assume qui il suo vero significato. L'esaltazione della Via della Seta non è solo una grottesca apologia del “socialismo” cinese e del suo ruolo progressista nel mondo. È anche una forma di subordinazione di fatto all'imperialismo di casa nostra: l'avallo di un aspetto importante della sua politica estera e dei suoi interessi. Che poi questo venga detto e fatto nel nome del socialismo, della classe operaia, del futuro della rivoluzione, non ha alcuna valenza concreta, come non l'avevano sulla bocca di Stalin nel mentre trucidava i dirigenti dell'Ottobre in URSS e nel mondo. Conta la realtà di una posizione, non la sua autorappresentazione ideologica. E la realtà della posizione di Rizzo è (anche) di fatto una forma di subordinazione alla propria borghesia. Né più né meno. La teoria della classe operaia come "classe nazionale" copre la subordinazione all'imperialismo “nazionale”, come è sempre avvenuto nella storia. Cosa c'entra il comunismo con tutto questo?

In conclusione. Noi non sappiamo il perché dell'improvvisa svolta di Marco Rizzo sulla Cina. Sappiamo solo che... nel nome del proletariato rivendica «il corretto sviluppo» di «buone» relazioni tra l'imperialismo italiano e l'imperialismo cinese, esattamente come fa il governo italiano contro cui il PC manifesta. Sappiamo che chiede un dialogo più intenso e fraterno col PCC «su tutti gli aspetti politici, culturali e pratici di interesse reciproco». Ora, che l'interesse «pratico» dell'imperialismo cinese sia avere buone relazioni con l'imperialismo italiano usando ogni possibile canale di pressione e di entratura è assolutamente evidente. Ci sfugge al momento l'interesse pratico di Rizzo, al di là delle supposizioni che ognuno può fare. Ma se la verità cambia dall'oggi al domani, qualche ragione “pratica” ci sarà. La custodisce naturalmente in gran segreto il Segretario Generale. E così sia.




(1) Intervista della stampa cinese a Marco Rizzo sulla Via della Seta e relazioni italo-cinesi

Partito Comunista dei Lavoratori

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