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Sul Corriere si calunniano i trotskisti. Carlo Formenti segue a rimorchio

Colpi di sole ferragostani dell'intellettualità italiana

21 Agosto 2019
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Il Corriere della Sera all'attacco dei trotskisti, Carlo Formenti a rimorchio. Non è uno scherzo, è il combinato disposto di due articoli ravvicinati che in pieno agosto 2019 rispolverano le più grossolane calunnie contro il trotskismo. A dispetto non solo della verità storica ma più semplicemente di una minima serietà intellettuale.

Ha aperto le danze il 5 agosto il principale quotidiano della borghesia italiana. Un fantomatico Angelo Paratico – imprenditore del varesotto con ambizioni storiografiche – titola il suo pezzo, sulla rubrica blog La nostra storia, “I trotskisti alleati degli Stati Uniti”, e già si potrebbe finirla qui. Ma l'argomentazione di supporto è peggio del titolo. Prendendo spunto dalla recensione del libro Il processo Stalin in cui lo “storico” «Ruggero Giacobino» (sic) [in realtà Ruggero Giacomini] celebra la revisione dello stalinismo, Paratico ne riprende a pappagallo tutte le tesi, e vi aggiunge un condimento proprio.


LA CALUNNIA RICICLATA SUL CORRIERE

«Trotsky era legato alla grande finanza internazionale [...] Fu rimandato in Russia dagli inglesi ed è certo che promise loro che non avrebbe mai firmato una pace separata coi tedeschi [...] Inoltre, Trotsky avrebbe voluto concludere contratti con varie entità occidentali [...] anche grazie al supporto finanziario che suo padre gli aveva offerto a New York» (?).
La campagna contro il (“giudeo”?) Trotsky che per conto della finanza ebraica mondiale voleva affossare la Russia imperiale fu, per la cronaca, un asse propagandistico di tutta la peggiore propaganda della borghesia russa, ed in particolare degli ambienti controrivoluzionari più reazionari e antisemiti (i Centoneri), prima e dopo la rivoluzione d'ottobre. Stalin riprese questa spazzatura alla fine degli anni '20 e nei primissimi anni '30, quando per difendere la propria politica del “socialfascismo” (“socialdemocrazia e fascismo sono fratelli gemelli, nessun fronte unico contro i fascisti”), cui Trotsky naturalmente si opponeva, denunciò quest'ultimo come colluso con gli imperialismi “democratici” americano e britannico. Una calunnia infame che cambiò di segno a partire dal 1935, quando Stalin svoltò verso la politica dei fronti popolari non solo con la socialdemocrazia ma con la borghesia e gli imperialismi “democratici”: da allora Trotsky fu denunciato come colluso con la Germania nazista, e i trotskisti sterminati come filonazisti. Calunnia riciclata recentemente dal neostalinismo nostrano (1).


L'ELOGIO DI STALIN CONTRO IL BOLSCEVISMO

Tuttavia Paratico è rimasto fermo, guarda caso, alla calunnia antisemita degli anni '20. C'è una ragione: Paratico denuncia Trotsky per rivalutare il nazionalismo grande-russo di Stalin. Se Trotsky era l'agente della grande finanza mondiale, Stalin fu colui che «fece naufragare il progetto globalista degli Stati Uniti» che si sarebbe affidato... a Trotsky. Questo il suo merito storico. Ma non solo. Stalin fu colui che restaurò finalmente l'ordine naturale e patriarcale della vecchia Russia turbato dalla rivoluzione bolscevica. «Non appena ebbe il potere di farlo, Stalin cancellò molte delle riforme considerate “progressiste” dai bolscevichi: proibì l'aborto; cancellò le scuole autogestite dove i professori erano ostaggi degli studenti; rafforzò la famiglia patriarcale e concesse medaglie per le madri più prolifiche; promosse l'industrializzazione del Paese, mentre i bolscevichi la volevano riportare all'età della pietra [...]».
Tutto diventa chiaro. Paratico è un dichiarato reazionario nazionalista filorusso che plaude a Stalin con la stessa enfasi usata dall'emigrazione nazionalista grande-russa degli anni '30. Stalin restauratore della vecchia Russia contro l'internazionalismo rivoluzionario bolscevico, contro la rivoluzione d'ottobre, e contro la stessa rivoluzione antizarista del febbraio 1917. Per questo, scrive Paratico, «una parte della simpatia che oggi riscuote il presidente russo Vladimir Putin in Russia è dovuto al fatto che viene percepito come un continuatore delle politiche di Stalin». È vero: il nazionalismo grande-russo di Putin recupera il nazionalismo staliniano, al pari delle sue politiche reazionarie contro l'aborto e contro i diritti degli omosessuali. Putin vi aggiunge il matrimonio con la Chiesa ortodossa e la celebrazione della civiltà cristiana contro il modernismo dissoluto dell'Occidente, ma il ceppo culturale è affine.


VIVA I PROCESSI DI MOSCA, CHE HANNO LIQUIDATO I VECCHI BOLSCEVICHI!

Angelo Paratico va oltre: proprio perché restauratore dell'ordine e della natura, contro la follia del bolscevismo, Stalin eliminò i bolscevichi, a partire dai trotskisti. Paratico non lascia spazio al dubbio: «I processi di Mosca che hanno eliminato i trotskisti e i veterani bolscevichi sono stati le manifestazioni più evidenti della lotta di Stalin contro il marxismo alieno», scrive il nostro autore. Il quale garantisce per conto di Stalin circa la veridicità e regolarità dei processi: «Mentre molto è stato scritto a condanna dei processi di Mosca, come se fossero stati una versione moderna dei processi alle streghe di Salem, non esistono dubbi che i trotskisti, in alleanza con altri vecchi bolscevichi come Zinoviev e Kamenev, siano stati complici nel tentativo di rovesciare lo Stato sovietico sotto Stalin. Un'attenta analisi di tali purghe rivela che non ci furono torture o costrizioni, e che le accuse di collusione con alcuni servizi segreti stranieri al fine di sovvertire lo Stato, erano certamente fondate».
Lasciamo perdere le falsità grottesche (Trotsky lottava contro Stalin a difesa dell'URSS, e non contro di essa), le clamorose contraddizioni (se Trotsky era agente della grande finanza americana, perché sarebbe stato colluso coi servizi segreti nazisti, come i processi di Mosca stabilirono?), le patetiche rassicurazioni di Paratico sulla regolarità di processi che condannarono a morte centinaia di migliaia di comunisti innocenti, a partire dai dirigenti della rivoluzione d'ottobre: il più grande assassinio di comunisti nella lunga storia del Novecento. Lasciamo stare tutto questo, perché a Paratico non interessa la verità, e tanto meno la difesa dei comunisti. A lui interessa la ragione esattamente opposta. Paratico elogia i crimini di Stalin proprio perché eliminarono i trotskisti e i “vecchi bolscevichi”. Proprio perché estirparono la radice rivoluzionaria dell'Unione Sovietica, restituendola finalmente alla sua grandezza nazionale e tradizione imperiale. La stessa ragione per cui i processi di Mosca furono esaltati, guarda caso, dagli ambienti più reazionari dell'emigrazione russa degli anni '30.


I TROTSKISTI “GUERRIERI” DELL'IMPERIALISMO USA

Ma tant'è. Il povero Paratico, da nazionalista russo definitivamente arruolato, traccia una continuità criminale fra Trotsky e i trotskisti del dopoguerra sino ai giorni nostri. Se Trotsky fu agente della grande finanza internazionale, per chi mai si batteranno i suoi seguaci? Per le glorie dell'imperialismo USA, naturalmente!
«Un fatto al quale pochi hanno pensato sin qui [...] è che i seguaci di Trotsky negli Stati Uniti, e ne ebbe molti, divennero i più radicali “guerrieri freddi” nell'apparato americano. Tanto odiavano la Russia di Stalin da approvare la guerra in Vietnam e i più longevi si spinsero ad approvare l'invasione dell'Iraq. I loro nomi sono ben noti agli esperti di politica estera statunitense della fine del secolo scorso: Max Shachtman, Sydney Hook, John Chamberlain e tanti altri, con un passato di socialisti trotskisti, che sposarono in pieno la tesi di Trotsky e sua moglie, secondo cui Stalin aveva distrutto la rivoluzione bolscevica che si sarebbe dovuta esportare in tutto il mondo. Secondo loro l'unico Paese rivoluzionario al mondo erano gli Stati Uniti e andavano aiutati con ogni mezzo per distruggere l'Unione Sovietica».
Effettivamente... “pochi avevano pensato” prima di Paratico a falsità tanto idiote. Potremmo replicare che chiunque può documentare la lotta dei trotskisti americani e di tutto il mondo contro la guerra del Vietnam, contro la guerra in Iraq, e contro tutte le politiche criminali dell'imperialismo USA, e dell'imperialismo in genere. Chiunque può documentare che Shachtman, Hook, Chamberlain avevano rotto con Trotsky alla fine degli anni '30, e che attribuire a Trotsky e al movimento trotskista i loro approdi politici anticomunisti e antitrotskisti di decenni dopo è ridicolo da un punto di vista logico e storico (come attribuire Stalin a Lenin, o D'Alema a Gramsci). Che infine attribuire a Trotsky e ai trotskisti le guerre umanitarie dell'imperialismo USA quale esportatore della rivoluzione bolscevica internazionale è una tesi talmente demente da disarmare – lo confessiamo – ogni possibile risposta.

Ma tutto questo a Paratico non interessa. A lui interessa chiudere il cerchio della menzogna contro i trotskisti, tra il loro passato e il loro presente. Il pover'uomo, sotto l'ombrellone, ha letto due libri dell'ultimo storico neostalinista e li ha inquadrati nella cornice della propria “cultura” reazionaria. Tutto qui. Colpisce che un giornale come il Corriere della Sera possa ospitare articoli di questo livello. Anche questo è un segno della regressione culturale del liberalismo borghese.


CARLO FORMENTI RICOPIA, PARI PARI, LA CALUNNIA CONTRO I TROTSKISTI

Ma un problema diverso si pone quando queste assurde volgarità diventano pochi giorni dopo un riferimento politico di intellettuali di sinistra come Carlo Formenti, recentemente approdati al neosovranismo democratico. In un post del 10 agosto dal titolo “Il nemico del mio nemico è mio amico”, il nostro riprende l'articolo del Corriere e le sue enormità. Con piglio severo, Formenti denuncia «l'irriducibile odio di alcune correnti del trotskismo americano [...] nei confronti della Russia sovietica – odio che le ha indotte a schierarsi sistematicamente dalla parte degli Stati Uniti – cioè con la potenza egemone del capitalismo mondiale! – in tutti i suoi conflitti con il Paese guida del campo di un “falso” sistema socialista (fino ad appoggiare la guerra del Vietnam e l’invasione dell’Iraq) [...]» (!!??). Pari pari le menzogne assurde e calunniose di Paratico di qualche giorno prima, alle quali Formenti aggiunge un'ardita costruzione logica, che in poche righe assimila i trotskisti all'ala sinistra del Partito Democratico statunitense (!), denuncia una loro rete di relazioni con CIA e Pentagono (!!!), li accosta alle posizioni dell'area operaista (Toni Negri) e alle sue posizioni europeiste borghesi (!), e infine celebra la conclusione politica di tutto ciò: i trotskisti sono legati a «dogmi ormai privi di qualsiasi significato storico», perché non comprendono che «senza sovranità nazionale non si dà lotta per la democrazia e il miglioramento delle condizioni di vita delle classi subalterne», si oppongono a «tutte le forme di opposizione nazional popolare», non comprendono il ruolo antiperialista della Cina e della Russia di Putin, accecati come sono da un odio antisovietico (!?) che si è trasformato in odio antirusso (??). E dunque Carlo Formenti, dall'alto della sua cattedra, definisce i trotskisti “cialtroni”: «lasciamo che sfoghino la loro bile insultandoci. Non risponderemo colpo su colpo perché li riteniamo privi di qualsiasi influenza».

Il punto è che gli insulti e lo sfogo di bile sono solo di Formenti, che fa tutto da solo. Apre la polemica riprendendo una calunnia grottesca ospitata dal Corriere della Sera (“i trotskisti alleati degli USA”) e la chiude disprezzando anticipatamente ogni nostra risposta. Non sappiamo la ragione di questa aggressione. Forse Formenti non ha gradito l'aperta lotta del PCL contro il sovranismo di sinistra, nelle sue varie forme (2). Di certo questa lotta non si farà intimidire né da un Paratico né da un Formenti. I “dogmi privi ormai di qualsiasi significato storico” che Formenti ci imputa sono infatti riproposti dall'esperienza quotidiana della lotta di classe: la contrapposizione irriducibile tra capitale e lavoro, al di là delle frontiere; la necessità di una lotta internazionale del movimento operaio contro il capitalismo mondiale e gli imperialismi (tutti, a partire dal “nostro”), senza farsi arruolare dagli interessi nazionali delle proprie borghesie, oggi nelle guerre commerciali, domani in un nuovo macello; la necessità di ricostruire un partito internazionale della classe lavoratrice che si batta in ogni paese e su scala mondiale per un'alternativa rivoluzionaria e socialista.

Tutto questo, con buona pace di Formenti, non significa affatto disimpegnarci dalla difesa delle nazioni oppresse contro le aggressioni o minacce dell'imperialismo (di ogni imperialismo); al contrario: significa distinguere le nazioni oppresse da quelle che opprimono (la Cina è una potenza imperialista, per di più in ascesa, non una nazione oppressa e tanto meno un paese “socialista”), e ricondurre la lotta delle nazioni oppresse e il loro diritto di autodeterminazione – dalla Palestina, all'Irlanda, alla Catalogna – al rovesciamento dell'imperialismo che le opprime, lottando per un'egemonia di classe anticapitalista nei movimenti nazionali storicamente progressivi. Il nostro recente sostegno, da un'angolazione di classe, al diritto di autodeterminazione della Catalogna contro l'imperialismo spagnolo è solo l'ultimo esempio di questa impostazione.

Il sovranismo di Formenti fa l'operazione esattamente opposta: dissolve l'autonomia della classe lavoratrice sotto la bandiera della nazione, per di più in un paese imperialista come l'Italia; confonde nazioni oppresse e nazioni dominanti; riduce l'imperialismo al solo imperialismo USA, nascondendo il quadro della competizione imperialista su scala mondiale; semina nuove illusioni su una possibile sovranità democratica nazionale al di sopra delle classi, rispolverando il canovaccio del riformismo; finisce col subordinarsi di fatto, al di là delle intenzioni, all'egemonia politica e culturale del sovranismo reazionario, come è accaduto nella storia a tanti nazionalismi “di sinistra”, anche nel primo '900 italiano. Il sovranismo, nei paesi imperialisti, ha sempre una valenza reazionaria, ma l'ha tanto più in un quadro di rilancio dei nazionalismi imperialisti ad ogni angolo del pianeta, sullo sfondo della grande crisi capitalistica mondiale.

Per questo continueremo a batterci contro il sovranismo nazionalista – in tutte le sue diverse declinazioni – con la stessa intensità con cui lottiamo contro ogni europeismo borghese. La "sovranità" ha sempre un contenuto di classe, su scala nazionale e continentale: o comandano i lavoratori o comanda il capitale, con buona pace di Carlo Formenti. Al quale in ogni caso consigliamo di non affidarsi, per polemizzare coi trotskisti, a un qualunque Paratico di passaggio, sfogliando il Corriere della Sera. Non dovrebbe averne bisogno. Oppure sì?




(1) vedi l'impresa dei sostenitori dei "voli" di Pjatakov

(2) vedi l'intervista sul sovranismo

Partito Comunista dei Lavoratori

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