Teoria

Il biennio nazi-sovietico. La leggenda e la realtà

A ottant'anni dal Patto Molotov-Ribbentrop

26 Agosto 2019
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Un arco di "trionfo" sul confine di spartizione della Polonia, a Iwachnivce, coi simboli affiancati della falce e martello iscritte nella stella rossa e le svastiche naziste


Dopo la caduta del Reichstag, corse per lungo tempo la leggenda di uno stalinismo intemerato nemico del nazifascismo, ferreo stritolatore di serpi nere, sterminatore dei «più grossi battaglioni della reazione mondiale», ecc.
La mitopoiesi di propaganda non si fermò ai paesi del COMECON, ma venne fatta propria dai partiti comunisti stalinizzati del mondo.
Oggi, avendo esaurito il suo trasferimento al campo del nemico di classe, il potere stalinista stricto sensu non esiste più, pur rimanendone tutti i problematici effetti nella storia e nelle coscienze del proletariato universale.
Sia al di qua che di là del Muro di Berlino, tuttavia, quei partiti che abbandonarono fin gli ultimi abusivi richiami al socialismo per trasformarsi definitivamente nelle frastagliate cosche liberali della attuale sinistra borghese, non dovendo regolare da sinistra i conti con lo stalinismo, lo fecero da destra, mischiando in un calderone solo il comunismo con lo stalinismo.
Il compito di rispondere, allora, da sinistra alle fiabe nere dello stalinismo non può che spettare, oggi come ieri, ai comunisti di nome e di fatto.


GLI ANNI PRIMA DEL PATTO

Già dieci anni prima della sottoscrizione in calce, intercorrevano tra URSS e Germania patti informali, trattative segrete e ammiccamenti plateali.

Così si pronunciava l’organo ufficiale del Comintern il 15 giugno 1933:

«Gli antimarxisti consigliano all’URSS di concludere un’alleanza sul piano internazionale con le ‘grandi democrazie’ per lottare contro il fascismo. Questo gruppo di socialfascisti finge di dimenticare l’esistenza dell’imperialismo francese, di quello britannico, di quello americano».

Era, a distanza di dieci anni dall’ascesa del fascismo, il delirante "terzo periodo", ovvero la teoria del "socialfascismo" partorita dal genio dialettico di Stalin.
Essa consisteva nella linea seguente: in vista di un contenimento della minaccia ultrareazionaria, la politica rivoluzionaria e proletaria nei «paesi socialfascisti» (così Stalin definì tutti i paesi non fascisti) non era pensabile. Presso di essi, il terreno della democrazia praticabile per il proletariato venne completamente abbandonato dal PCUS dopo l’invalidamento dell’Internazionale Comunista, e fu la prassi che lubrificò la scalata al potere del revanscismo piccolo-borghese imperialista col conseguente eccidio di rivoluzionari. Quel terreno democratico praticabile si riconfermò abbandonato dopo il respingimento di una collaborazione con gli elementi progressivi delle socialdemocrazie occidentali, in quanto «socialfasciste».

Tuttavia, se lavorare negli interessi del proletariato per il mantenimento del terreno democratico e sociale minacciato di soppressione dalla metastasi nera, per lo stalinismo passato e presente avrebbe significato macchiarsi di socialfascismo, era un colpo di genio tattico – quello nient’affatto «socialfascista» – l’alleanza totale con Hitler, armato a schiacciare il proletariato mondiale.

L’opportunismo di Stalin non conobbe confini, spingendosi fino all’inversione assoluta di ogni posizione precedente. Dal considerare le ‘grandi democrazie’ come socialfasciste e nemiche tanto e più ancora del nazifascismo, nel momento in cui Hitler comincerà la guerra su ambo i fronti, Stalin, in un discorso del 7 novembre 1941, passerà a dire:

«I nemici giurati del socialismo, i più feroci reazionari e briganti che hanno privato la classe operaia e i popoli dell’Europa delle loro libertà democratiche elementari; per nascondere la loro essenza reazionaria e brigantesca, gli hitleriani attaccano il regime interno anglo-americano come un regime ‘plutocratico’. Ma in Inghilterra e negli USA esistono libertà democratiche, vi sono i rappresentanti operai dei lavoratori, vi sono i partiti del lavoro, vi è un parlamento, mentre in Germania il regime di Hitler ha abolito queste istituzioni».

Naturalmente, anche questa posizione verrà completamente sbilanciata dal versante antiproletario quando, da Yalta in avanti, si estenderà sull’Occidente la stessa politica staliniana spagnola, stabilendo che i paesi democratici capitalistici dovranno rimanere capitalistici in quanto democratici, donde seguirà il piano inclinato di tutto l’eurocomunismo revisionista lungo mezzo secolo.

È dal 1933 che Trotsky produce inconfutabili analisi sulla politica staliniana mettendo in guardia i comunisti del mondo dalla sicura evoluzione di quel corso: l’alleanza nazi-sovietica, provvidenziale per il nazifascismo, esiziale per il socialismo e persino per i suoi abietti tarli, gli empi burocrati riciclati dagli stati maggiori zaristi, che da quell’intesa non avrebbero salvato neppure la sola cosa che gli importava: gli scranni.

E così Trotsky scriverà fin dall’11 marzo 1939:

«Per completare l’abbandono della politica d’alleanza con le socialdemocrazie, Stalin striscia bassamente, in maniera umiliante, di fronte a Hitler e si appresta a pulirgli gli stivali con zelo».

Esattamente cinque mesi dopo, il 23 agosto, i giornali titolano con la clamorosa stipula di un 'Patto di non aggressione' tra URSS e Terzo Reich, gettando nel frastornamento i militanti comunisti del mondo. I filmati ci tramandano i rivoltanti sorrisi, soddisfatti e amichevoli, dei contraenti durante il rapido soggiorno del ministro degli Esteri nazista, barone von Ribbentrop, in Unione Sovietica.
Il plenipotenziario segretario, che ci tiene a mostrare di dirigere personalmente le trattative, brinda con champagne alla salute di Hitler, proclamando: “So quanto la nazione tedesca ami il suo Führer. Per questo desidero bere alla sua salute” (dal memorandum di Andor Hencke, redatto il 24 agosto).
Ribbentrop, nella convivialità e nel buonumore diffuso, si lascia addirittura sfuggire una battuta secondo la quale i tedeschi si aspettano che lo stesso Stalin si associ al Patto anti-Comintern.
E Stalin chioserà: «Il governo sovietico prende il patto molto sul serio… Io stesso posso garantire sulla mia parola d’onore che l’Unione Sovietica non tradirà mai il proprio partner» (dalla relazione di un membro della delegazione tedesca).

La Pravda del 24 agosto non tarda a pubblicare la notizia. Ma rimane segreto il testo del protocollo aggiuntivo in quattro punti, dove si stabilisce la “delimitazione delle sfere di interessi reciproci in Europa orientale”, separate – così si conviene – dalla frontiera nord della Lituania, che rimane nella sfera di interessi tedesca. Alla Russia il documento riconosce gli interessi in Bessarabia (annessa dalla Romania nel 1918) e assicura il controllo dei tre paesi baltici (Estonia, Lettonia e Finlandia) e della Polonia orientale. L’ultimo punto, il quarto, impegna gli alleati alla massima segretezza del Protocollo (fino al processo di Norimberga, il generale russo Rudenko dell’accusa si rifiuterà di far leggere in aula il testo dell’accordo). La Pravda definisce il patto uno «strumento di pace» e un «atto pacifico». Hitler, ora sicuro che l’URSS non si unirà alla Gran Bretagna e alla Francia in una guerra contro la Germania, ha il via libera per l’invasione dello Stato polacco, che avverrà una settimana dopo. La Russia, per parte sua, si associa all’aggressione per la sfera riservatale nel Protocollo segreto. È ufficialmente il primo capitolo della ‘pacifica’ Seconda Guerra Mondiale.


LA GUERRA E LA QUARTA SPARTIZIONE DELLA POLONIA

La Germania prova subito l’espansione, già pestando i piedi al compagno. Vi sono, fin dall’alba del Patto, tutti i prodromi per capire quale sarà la condotta futura del Reichstag nei confronti del Cremlino.
Mentre le operazioni militari sono ancora in corso, Ribbentrop chiede all’alleato che la linea di demarcazione nella regione dell’alto San venga modificata a favore della Germania. A Hitler interessa la regione petrolifera di Borislav-Drohobycz. Molotov respinge la richiesta, ma zucchera la pillola concedendo al partner il controllo sul triangolo di Suwalki, tra la Prussia orientale e la Lituania.
Il Protocollo segreto chiarisce i confini ma non lo statuto della nuova Polonia. I tedeschi sono intenzionati a lasciare una Polonia superstite con 12-15 milioni di abitanti (quella che non apparterrà a loro), così da farne pegno in vista di futuri negoziati con gli alleati.
Stalin è contrario, in quanto ciò comporterebbe un arretramento dei confini sovietici. La Polonia sarà così interamente ostaggio di Hitler da una parte e di Stalin dall’altra. Il nuovo Stato polacco non esisterà. Un telegramma del 20 settembre inviato da Molotov a von Schulenburg a Berlino porrà il punto finale:

«L’idea originaria concepita dal governo e da Stalin personalmente di permettere l’esistenza di uno Stato polacco residuo ha lasciato il posto all’idea di spartire la Polonia secondo la linea Pissa-Narew-Vistola-San. Il governo sovietico desidera iniziare subito i negoziati a tale riguardo»

La parte di Polonia indipendente sarà una richiesta non concessa alla Germania. Per consolarla ulteriormente, Stalin cede ai tedeschi la provincia di Lublino e una parte della provincia di Varsavia.
Hitler insiste di nuovo con la regione del San. Stalin nega ma assicura che il petrolio di cui la Germania necessita sarà fornito dalla Russia stessa in quantità corrispondente alla produzione annuale della ambìta regione di Borislaw-Drohobycz. Hitler accetta. Le Polonie sono fatte. Rimane da curare al meglio i rapporti di buon vicinato e terrorizzare la popolazione per scongiurare i tentativi di resistenza popolare definiti «cospirazioni indipendentiste».

«I due governi non tollereranno, nei rispettivi territori, attività di agitatori polacchi rivolti contro i territori dell’altra parte. Nei propri territori soffocheranno in germe ogni attività del genere e si informeranno a vicenda per quanto riguarda le misure più adatte da prendere a tale riguardo»,

è quanto prescrive un altro documento segreto tra le due parti.
È anche un modo per condannare al silenzio i comunisti polacchi rifugiati in zona sovietica; quei pochi sopravvissuti, si intende, alle purghe staliniane e allo scioglimento del Partito Comunista Polacco del ’38.


UNA COLLABORAZIONE TOTALE

La collaborazione tra Terzo Reich e Unione Sovietica sarà totale, non limitata all’UFO della geotattica, come vuole l’impostura staliniana.

1) Collaborazione economica

I fornimenti dell’URSS alla Germania, la cui economia si reggeva sull’importazione, nel biennio che seguirà il Patto consisteranno di:

- 900.000 tonnellate di petrolio
- 140.000 di manganese
- 14.000 di rame
- 3.000 di nichel
- 101.000 di cotone grezzo
- più di un milione di legname
- 11.000 di lino
- 100.000 di cromo
- 500.000 di minerali ferrosi
- 15.000 di amianto
- 184.000 di fosfati
- 2.400 chilogrammi di platino
- 1.462.000 tonnellate di cereali
e molti altri prodotti: benzina e gomma dall’Oriente e dalla Scandinavia, grafite del Madagascar, tungsteno, caucciù dell’Indocina francese, latticini, grassi e soia arrivavano in Germania solo grazie alle ferrovie sovietiche.
Cifre impressionanti (si veda in proposito I generali di Stalin di Seweryn Bialer), che non lasciano dubbi sul fatto che, senza il mostruoso Patto, la Germania non sarebbe mai stata capace di dichiarare la Seconda Guerra Mondiale.

2) Collaborazione militare

Liberata dalla preoccupazione rossa e anzi garantita, con giuramento di sangue, contro ogni eventuale incidente, la Germania poté concentrare tutte le sue forze nell’aggressione a occidente, tentando di attaccare l’Inghilterra. Fallito il colpo, avendo perso ingenti risorse e il sogno di affondare gli artigli sul bottino britannico, è ancora l’Unione Sovietica a venirle in aiuto. Stalin fa da tramite, chiedendo al Regno Unito i rifornimenti necessari al Reich per passarli sottobanco all’alleato.
Per ovvi interessi, e avendo anche imposto il blocco commerciale alla Germania, l’Inghilterra vorrà da Stalin la garanzia di non far circolare quei materiali se non in territorio sovietico. E Stalin, mentendo, darà la sua parola.
Arturo Peregalli riporta ne Il Patto Hitler-Stalin e la spartizione della Polonia:

«Tra gli episodi di collaborazione militare attiva, lo storico tedesco Fabry ne ha descritto uno in particolare, avvenuto durante l’aggressione alla Polonia:
“Su richiesta del generale Stumff, comandante in capo dell’aeronautica, Stalin si dichiarò disposto a trasmettere dalla stazione di Minsk, durante il corso del programma, ogni tanto la parola ‘Minsk’ e anche a prolungare di due ore il programma a tale scopo… L’obiettivo della richiesta tedesca si capisce se si tiene conto che Breslavia fu la base principale per l’unità dei bombardieri tedeschi che attaccarono Varsavia. Se si traccia una linea retta da Braslavia a Varsavia, Minsk si trova esattamente sul prolungamento della linea. Bastava così un segnale di chiamata della radiostazione russa perché le unità da bombardamento si dirigessero senza difficoltà su Varsavia” (pp. 186-7; Shirer I, p. 494).
In questo modo i sovietici aiutano i bombardamenti notturni della capitale polacca, collaborando di fatto all’aggressione tedesca contro la Polonia, ancora prima del proprio intervento diretto. E proprio riguardo alla Polonia, in seduta del Soviet supremo del 31 dicembre 1939, Molotov vanta la collaborazione militare tedesco-sovietica, affermando che “è bastato assestare un rapido colpo alla Polonia, prima ad opera dell’Armata Rossa, perché non ne rimanesse più niente di questo mostruoso parto del Trattato di Versailles”
».

3) Collaborazione poliziesca anticomunista

Tutti i comunisti e gli antifascisti tedeschi rifugiati in Russia per scampare alla bestialità nazista verranno consegnati ai patri aguzzini dall’NKVD del Paese della Rivoluzione.
Si ricordano il poeta Erich Mühsam, il compositore Hans David (che morirà nella camera a gas di Majdanek) e i due scienziati atomici tedeschi, “arrestati come spie”, Fritz Houtermans e Alexander Weissberg.
Senz’altro, operazioni geotatticamente obbligate!
Quale abisso di sangue e di vergogna separa la controrivoluzione bonapartistica di Stalin dalla rivoluzione bolscevica nel nome della quale il Sovnarkom salvava gli operai carcerati dai propri stessi governi, come lo scozzese Mac Lean, attraverso il conferimento di titoli di consoli generali dell’URSS, valendogli l’immunità diplomatica!

4) Collaborazione culturale

Si passano al setaccio le librerie dello Stato, epurando ogni scritto anteriore al patto che presenti caratteri antinazisti; i giornali satirici prendono di mira esclusivamente inglesi e francesi, dismettendo ogni caricatura sulle “iene fasciste”; Beria proibisce addirittura che nei gulag si appellino i prigionieri con l’insulto di “fascisti”, giacché il termine non reca più alcuna accezione negativa; Ejsenstein deve vedersi ritirata la sua opera “Alexander Nevskj” in lode alla vittoria del popolo russo sui “barbari teutonici” e, in compenso, dovrà dirigere, dinanzi ai membri dell’ambasciata tedesca, le Walkirie di Wagner per la gloria del popolo germanico; il giorno del suo assassinio, Trotsky, calunniato come “spia nazista” fino a poco prima, verrà definito dalla Pravda semplicemente come “spia internazionale e assassino”.
Chi seguiterà a vedere nel nazifascismo il nemico numero uno sarà guardato con sospetto o, come György Lukács, arrestato.
Il lealismo si spinge al surreale: Nikolay Ivanov, dal Cremlino incaricato d’affari all’Ambasciata di Parigi, verrà richiamato a Mosca e... arrestato come “nemico del popolo”!
E mentre la Pravda riporta puntualmente i dispacci nazisti e i discorsi di Hitler, i carri armati tedeschi si preparano all’attacco.

Quanto al contraccambio dalla Germania?
L’URSS avrebbe dovuto riceverne dotazioni ed equipaggiamenti militari. Ma lo scambio non fu mai molto proficuo. Ne è emblematico il caso dello Lützow, dalla Marina Sovietica ribattezzato Petropavlovsk, incrociatore tutto da finire, tanto che la Germania inviò nel cantiere di Leningrado di Kronstadt ben settanta tecnici tedeschi a finire i lavori. E quando scoppiò la guerra, l’incrociatore non solo non sarà completo che al 70% (e non lo sarà mai più), ma la Germania si troverà in debito con l’URSS per un quantitativo di merci pari a 299 milioni di marchi.


LA ROTTURA DEL PATTO

Quando la Germania somministra all’Italia e al Giappone la sottoscrizione del Patto Tripartito (27 settembre 1940), con l’obiettivo principale che il Giappone ostacoli l’Inghilterra sui suoi paesi coloniali, Stalin si preoccupa che il testo possa contenere clausole antisovietiche. Chiede pertanto di poterne prendere visione interamente. L’articolo 5 del Patto esclude qualunque mossa antisovietica: è solo un patto – rispondono gli alleati – contro i guerrafondai inglesi e che funga da deterrente anche per gli USA. Ribbentrop invita Stalin a mandare Molotov a Berlino a parlare con Hitler in persona, anticipando che il Patto può fruttare anche all’URSS. Hitler chiede a Stalin di partecipare al suo progetto di spartizione del mondo proprio mentre pianifica l’aggressione all’URSS: non essendo riuscita nel sacco inglese, la Germania pensa di rifarsi ad Est.
Ed è proposta che sposa alla menzogna sfacciata di esser lì lì per dare l’affondo finale all’aviazione inglese.

Molotov parte a colloquio con Hitler, e lo interromperà soltanto per esprimere il suo accordo su tutti i punti.
Segnala però gli interessi dell’URSS in Turchia, per il libero accesso agli Stretti; in Bulgaria e in Romania, dove a Stalin preme l’occupazione della Bucovina meridionale; e in Finlandia che rivendica, come da Protocollo, propria alle sue sfere di influenza.
Mosca è decisamente allettata da un Patto Quadripartito, vi sono giusto le questioni dei Balcani – cui mira la stessa Germania – e di Finlandia e Romania il cui petrolio, al momento, rifornisce la macchina da guerra nazista, mentre Hitler si limita a impostare così lo scenario postbellico mondiale: a Germania e Italia sarebbero spettate Europa e Africa; al Giappone l’estremo oriente; all’URSS non oltre i paesi situati al sud delle sue frontiere, in direzione dell’Oceano Indiano (dalle testimonianze di Berezhkov, interprete sovietico presente all’incontro).
Per Hitler è questa e solo questa la prospettiva vantaggiosa, distogliendo da un lato l’URSS dagli interessi in Europa e, dall’altro, costringendola ad entrare in conflitto con la Gran Bretagna.
Quindi, alle controproposte di Stalin, egli non risponde e prosegue indifferente nella guerra.

L’1 marzo 1941, la Bulgaria aderisce al Patto Tripartito.
Il 16 aprile, la Germania invade la Jugoslavia e la Grecia.

Il Cremlino è preoccupato, ma non leva un accenno di condanna a queste mosse.
Sulla guerra che infiamma il continente, la Prava stende in quei mesi un velo di meschino silenzio.
È Stalin in persona, invece, a moltiplicare le sue piaggerie verso il partner. Il 13 aprile accompagna in stazione il ministro degli esteri giapponese, Yosuke Matsuoka, abbracciandolo alla presenza stupefatta di diplomatici e corrispondenti, e così rivolgendosi a von Schulenburg: «Dobbiamo restare amici! E voi dovete fare per questo tutto quello che vi è possibile».
Non solo: Mosca si dichiara disponibile ad accettare alcune delle condizioni tedesche in precedenza respinte. Quanto alla questione finlandese, particolarmente tesa, auspica una distensione momentanea.
Così rifornirà ancor più zelantemente la Germania di materie prime fondamentali (come le migliaia di tonnellate di grano, il petrolio e il caucciù dall’estremo oriente che, da un accordo stipulato ad hoc il 12 aprile, arriverà in dosi e trasporti straordinari), ben prima dello scadere del termine stabilito con gli stessi futuri aguzzini.
Da parte sua, Stalin diviene perfino meno esigente per le contropartite tedesche. E per ingraziarsi ulteriormente il Reich caccerà da Mosca i rappresentanti diplomatici del Belgio, della Norvegia, della Grecia e della Jugoslavia, nascondendosi dietro la giustificazione che i loro governi, dopo l’occupazione tedesca, non esistono più.


L’OPERAZIONE BARBAROSSA E LE CONDIZIONI DELLA RUSSIA AL MOMENTO DELL’ATTACCO

Il 15 giugno, sette giorni prima dell’attacco nazista, la TASS, agenzia di stampa sovietica ufficiale, emana un comunicato in cui si accusa l’ambasciatore inglese di «diffondere voci circa una imminente guerra tra l’URSS e la Germania» e definisce queste come «una evidente assurdità», «una manovra propagandistica delle forze schierate contro l’Unione Sovietica».
Il 18 giugno Molotov tenta inutilmente di mettersi in contatto con Hitler. Il giorno prima dell’attacco ripiegherà sull’ambasciatore tedesco, in questi termini: «Vi sono molti segni che il governo tedesco non è contento del governo sovietico. Corrono perfino voci sull’imminenza di una guerra fra Germania e Unione Sovietica. Il governo sovietico non riesce a capire le ragioni dello scontento della Germania».

Il 22 mattina, von Shulenburg legge a Molotov la dichiarazione di guerra. L’operazione Barbarossa è partita.
A mezzogiorno, le truppe tedesche hanno già distrutto circa 1.200 aerei sovietici, di cui almeno 800 a terra. Dopo 48 ore il numero è salito a 2.000. La Wehrmacht riesce a penetrare per cinquecento chilometri.
Una catastrofe militare: circa tre milioni di soldati morti o prigionieri e una perdita enorme di risorse, equipaggiamenti e armi finite in mano al nemico. Stalin, plausibilmente in preda a un trauma psichico dopo aver visto vanificarsi la linea che ha sostenuto fuor d’ogni pudore per due anni, si rifà vivo solo due settimane dopo l’inizio della tragedia, il 3 luglio.
Nel suo primo discorso alla nazione, d’incanto i fascisti tornano fascisti e «i popoli dell'Europa e dell’America, compreso il popolo tedesco asservito dai caporioni hitleriani» diventano «alleati fedeli», «fronte unico dei popoli che sono per la libertà, contro l'asservimento e la minaccia d'asservimento da parte degli eserciti fascisti di Hitler».

Ogni posizione prima socialfascista di un Churchill si ribalta ex abrupto nello «storico discorso del signor Churchill, primo ministro della Gran Bretagna, sull'aiuto all'Unione Sovietica e la dichiarazione del governo degli Stati Uniti d'America di essere pronto a prestare aiuto al nostro paese, discorso e dichiarazione i quali non possono che suscitare un sentimento di riconoscenza nei cuori dei popoli dell'Unione Sovietica, sono del tutto comprensibili e significativi».

Per medesimo riconoscimento di Stalin, la vittoria sul nazifascismo, lungi dall’avvenire splendidamente solo grazie al mitologico «esercito d’acciaio», avvenne grazie all’indebolimento di Hitler procuratogli da tutte le potenze in guerra, e non avvenne affatto «splendidamente».
L’improbabile soggetto che il peggior fumetto non avrebbe lo squallore di allestire, secondo cui la Russia accettò il Patto in funzione... tattica (nel tempo intercorso avrebbe potuto attrezzarsi per rispondere al tradimento già bello e previsto), si sbriciola davanti alla tragedia militare che tolse alla Russia, non solo colta di sorpresa ma recalcitrante ad accettare i primi abbagli di verità, quantità abnormi di forze.
Ciò, comunque, se mai fosse possibile – e non lo è assolutamente – che i comunisti abbiano per alleato qualcun altro che non siano gli stessi comunisti e la classe operaia internazionale. Figurarsi gli imperi fascisti!


I PARAGONI STRAMPALATI CON BREST-LITOVSK

Il negazionismo staliniano è solito ricorrere al paragone tra il patto Molotov-Ribbentrop e la pace di Brest-Litovsk, con la proverbiale toppa che peggiora il buco. Perché vedendo cosa fu la pace di Brest-Litovsk, le ragioni, i termini, persino i tempi in cui venne perseguita, balza agli occhi con ancor più evidenza tutta la differenza tra Lenin e Stalin.
A Brest-Litovsk Trotsky non firmò «patti di non aggressione» con la Germania; dovette accettare una pace imposta da un esercito già in marcia sul suolo russo e che avrebbe spazzato via, in breve tempo, il neonato potere sovietico. La Russia «bisognosa di accumulare forze» della melopea staliniana, godeva, al momento del Molotov-Ribbentrop, di venti anni di economia pianificata. Rispetto alle forze di cui disponeva "l’imperialismo straccione" del fascismo tedesco, nell’eventualità di un attacco, ve n’era più che a sufficienza, e la dimostrazione è nella storia: la Russia in due anni non registrò affatto crescite decisive, e fu più quel ci rimise di forniture ai nazisti che quanto ne guadagnò.
Ma la vittoria su Hitler è un fatto.

Il trattato di Brest-Litovsk inoltre non consegnò comunisti ai tedeschi (fece anzi il contrario), non fu una “partnership” ma un “armistizio” condizionato; non portò a nessuna concertazione territoriale e venne presentata al popolo non come un'alleanza vantaggiosa, ma come una resa, tristemente dovuta al momento e ai rapporti di forza. Fu, inoltre, prodotto di un sofferto dibattito democratico, ed è risaputo che, benché Lenin fosse da subito favorevole alla firma, non lo fossero altri bolscevichi, come lo stesso Trotsky, e la giustezza della mozione del dirigente bolscevico fu evidente a tutti quando, rimanendo sul fronte e tentando qualsiasi altra mossa diplomatica, l’esercito bolscevico continuava solo a indebolirsi.
Sul piano strettamente strategico, poi, le debolezze imputabili all'esercito russo, nel ’39 come nel ’41, non furono che il frutto delle infami purghe staliniane, dove persero la vita tutti i più valenti quadri militari della leva bolscevica.
Prodezze dello stalinismo!

Si aggiunga che se la Russia non avesse concesso alla Germania tanti e tali territori, questi, al momento di un’aggressione, avrebbero avuto la funzione di Stati-cuscinetto, non solo dando la possibilità alla Russia di poter rispondere a tempo (non trovandosi direttamente i tedeschi in casa), ma affiancando ai comunisti russi tutti quei comunisti invece consegnati alle mitraglie delle SS.

«Fu lo stesso Stalin, nel corso del '41, a rammaricarsi più volte che non vi fosse in Europa un secondo fronte a tenere impegnati i tedeschi e che l’URSS fosse praticamente sola a sostenere l’urto di quasi tutto il loro esercito. Eppure nel 1939 esisteva ancora un fronte occidentale, che avrebbe potuto trattenere parte delle truppe tedesche davanti a una resistenza ancora più forte del popolo polacco: e la Polonia non sarebbe stata sconfitta in 25 giorni, se invece di aggredirla a loro volta e colpirla alle spalle, i sovietici l’avessero aiutata a resistere» (A. Peregalli)


RAGIONI STORICO-DIALETTICHE DEL PATTO

Ma quali furono le vere ragioni della scellerata fratellanza nazi-sovietica?
Non la mostruosa personalità di un singolo (che, in dose eccezionale, certo non mancò), non l’abiezione di uno Stalin divenuto capo indiscusso dello Stato. Ma le ragioni sociali che, tramite esso, un determinato strato sociale andava affermando.
La rivoluzione d’ottobre fu la rivoluzione del proletariato per il proletariato, con conseguenze luminose e irreversibili su tutto il mondo. Ma la nazione che la partorì si trovava in pesanti arretratezze economiche e sociali (il proletariato era meno diffuso che il ceto contadino) e per di più logorata da anni di guerra.
Fu su questi fattori che fece leva, dopo gli anni della rivoluzione (che, sia detto di passata, non è l’allegra festa da ballo di qualche slogan, ma un evento drammatico), della guerra civile e della faticosa industrializzazione, l’affermazione di una politica controrivoluzionaria.
Sfruttando la stanchezza delle larghe masse, lo strato sociale di un particolare tipo di funzionari – la burocrazia politica e militare – soddisfatta del vantaggio per sé ottenuto sia dal nuovo tipo di assetto economico che dal posto di comando personalmente acquisito, non si diede altra cura che mantener quello e combattere tutto ciò che, da destra o da sinistra, potesse minacciarne la stabilità.

Non si trattava più della dittatura del proletariato – che più non decideva, direttamente né indirettamente, sulle commissioni di lavoro come di politica internazionale – ma della dittatura del segretariato. Trotsky, pur nella poca simpatia che nutriva per Stalin, ci tenne sempre a spiegare come non si potesse parlare dello stalinismo nei termini di un ritorno al capitalismo. La classe borghese in URSS era stata soppressa e, benché ai vertici di comando fosse stata sostituita dal potere burocratico, la burocrazia politica né parassitò né mai avrebbe potuto parassitare in misura anche lontanamente assimilabile all’impresa privata e alla sua capillare e sistematica estorsione di plusvalore.
In URSS, pur con tutte le piccole ruberie di segretari, ministri e sottoministri, di uomini di fiducia e sbirraglia varia, il prodotto del lavoro seguitava ad essere generalmente redistribuito. Finché presentava tale struttura economica, la Russia rimaneva uno “Stato operaio”, benché “deformato” da una amministrazione politica in vorace riflusso, la “sovrastruttura” staliniana.
Ma certamente, quando struttura e sovrastruttura non coincidono, vuol dire che vi è un conflitto. Che l’una rema contro l’altra. Fu purtroppo la seconda ad avere la meglio sulla prima, prima che quest’ultima potesse adeguatamente riorganizzarsi contro l'altra.

Le ragioni dell’affermarsi dello stalinismo, quindi, furono queste: l’interesse a preservare il potere d’ufficio ormai assunto, e ad esso sacrificare il sogno di un secolo. L’abolizione dell’Internazionale Comunista ebbe due motivi, strettamente legati: togliere la propria ingerenza dalle convulse vicende di politica internazionale, dai luoghi presso i quali non si deteneva il potere, per preoccuparsi, piuttosto, di rinsaldarlo in patria; e liquidare ogni opposizione internazionale alle proprie politiche, che venivano moltiplicandosi inarrestabilmente.
Chiudendo le porte, nessuno avrebbe visto. E la controrivoluzione avrebbe avuto meno intralci.
Si capisce che, su questa via, la casta staliniana incontrava molti più nemici nei comunisti traditi che nei fascisti, coi quali poter trattare tutto il necessario allo scopo.
E che i due scopi non fossero combinabili, fu più Hitler a capirlo e farlo capire che Stalin.


CONCLUSIONI

Se al bivio tra rivoluzione (internazionale, nel caso dello stalinismo degli anni ’30 e ’40) e reazione non è di sicuro la prima che si vuole imboccare, rimane – di necessità e al di là dall’abiezione individuale più o meno accentuata del politico di turno – la seconda.

Lo stalinismo in senso stretto, si è detto in principio, non esiste più. Con stalinismo in senso stretto intendiamo Paesi a economia di piano che si rifanno ai simboli e alle parole della rivoluzione d’ottobre mentre all’ombra degli uffici politici in riproduzione osmotica perseguono, riforma dopo riforma, la restaurazione capitalistica.
Ma esistono diversi cugini ormai maggiorenni, come una Cina imperialista ancora dietro bandiere rosse, nipotini come il juche nord-coreano o come il bonapartismo latino-americano.

Vi è una lezione viva da trarre, allora, dalla parabola dello stalinismo, ceppo d’origine di tutti questi rami.
I partiti che di fronte alla alternativa, cogente oggi come ieri, tra rivoluzione e capitolazione escludano categoricamente la prima, svolteranno, secondo legge storica, per la seconda.
Le forme clamorose nelle quali questa legge trovò conferma al tempo di Stalin, il poco tempo che lo separava dall'Internazionale Comunista e dalla rivoluzione, il fatto stesso di venire dopo una rivoluzione tanto gloriosa riuscendo nondimeno a portare l'arretramento a livelli simili, rende ancora più intuitivo cosa oggi vi sia da aspettarsi da chi, partendo già senza parlare di rivoluzione o parlando di rivoluzione mentre descrive altro, promette addirittura "quinte internazionali"!

Il partito dei rivoluzionari non può allora essere un partito antirivoluzionario (si riconoscano qui i medio-progressisti, i riformisti di tutte le cromature, gli antiliberisti più e meno radicali, gli stalinisti d’ogni dove che sono i menscevichi in ritardo), perché un partito non-rivoluzionario sarà, al potere in special modo, un partito sempre più fermamente reazionario.

I partiti antirivoluzionari, complici passati, presenti e futuri della reazione, si combattono e si scalzano sempre con il partito rivoluzionario.
Costruire la soggettività rivoluzionaria del nostro partito (nazionale nel PCL, mondiale nella rifondazione della Quarta Internazionale) è conditio sine qua non per la possibilità della rivoluzione stessa.

Salvo Lo Galbo

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