Internazionale

Intervista a un marxista cinese

19 Luglio 2019
jinping_mao


Qui di seguito l'intervista realizzata (e tradotta dall'inglese) da un nostro compagno, che dall'inizio dell'anno vive a Budapest, a Zhang Zhuchi, un intellettuale marxista cinese, che lavora nell'ambito delle organizzazioni di difesa dei lavoratori nel suo paese, sottoposto al dominio totalitario del PCC.

Commissione internazionale del PCL



Compagno Zhang, grazie per aver accettato la nostra intervista. Per cominciare, permettici di farti una domanda generale. Come definiresti l’attuale sistema politico cinese? Ha qualcosa a che fare col comunismo o col marxismo?

Secondo me la natura dell’attuale sistema politico cinese può essere vista come una forma emergente della prossima fase del neoliberismo, che è meglio non definire semplicemente “capitalismo di Stato”, some sentiamo spesso dall’estrema destra degli USA, perché questo implica un doppio fraintendimento, se non abuso, dello stesso termine e del sistema cinese.
Il capitalismo di Stato nella sua originale definizione leninista ha due caratteristiche prominenti: una politica statale mercantilista per organizzare e sviluppare un’economia arretrata, e una fase di trasformazione verso un’economia socialista. Niente di tutto ciò rientra nell’ambito della realtà della Cina oggi.
Da una parte, l’economia della Cina è ancora arretrata? Sì e no. Rispetto alla produttività del lavoro, il suo livello è ancora il 10% di quello degli USA, ma questo aspetto dipende largamente dalla situazione della divisione internazionale del lavoro, nella quale la Cina ha forse l’unica catena industriale integrale nel mondo attuale. Probabilmente, la Cina ha già vinto il secondo posto accanto agli USA nel livello scientifico e tecnologico generale. Questi fattori permettono alla Cina di diventare una delle economie più dinamiche, vibranti e sperimentali del mondo. Ci si può aspettare che nuove forme economiche come l’economia delle piattaforme, big data e "internet delle cose" continueranno a esplodere nel futuro più prossimo. In un certo senso, la funzione principale del sistema politico cinese non è più quella di proteggere un’economia interna arretrata, ma fiancheggiarla per promuoverla e rafforzarla a un livello ancora superiore.
D’altra parte un tale progresso economico, almeno nel breve periodo, non presenta nessun segno di trasformarsi in socialista, in nessuna possibile definizione. Ci si potrebbe ragionevolmente aspettare che un mercato altamente omogeneo equipaggiato con le forme economiche più all’avanguardia potrebbe fornire un focolaio per un livello senza precedenti di produzione socializzata di massa, e quindi la dinamica per un fondamentale cambiamento nelle relazioni di produzione e nel sistema di proprietà. Tuttavia, al momento queste tendenze incombenti possono essere solo remotamente percepite. Realisticamente, sia la logica dei rapporti socio-economici sia la sua estensione in ambito politico devono essere considerati solo neoliberiste, dato che seguono rigorosamente la razionalità economica weberiana.
Credo che il segreto fondamentale del “miracolo economico” cinese stia nelle condizioni complessivamente favorevoli per questo neoliberismo, incluso il sistema politico. Queste condizioni possono essere giustamente attribuite all’enorme eredità della Rivoluzione cinese nel XX secolo e al periodo comunista. È stato a causa di cambiamenti sociali così giganteschi che quasi tutti i fattori che avrebbero piuttosto bloccato la crescita economica, come la struttura sociale tradizionale, divisioni culturali, religioni, identità etniche e regionali, sono stati in gran parte cancellati. Quindi, per assicurare la continuità nella crescita economica e per rivendicare il diritto di eredità sull’ordine generale, l’attuale regime deve aggrapparsi a tutta la narrazione di legittimità storica. Questo, se proprio ce ne deve essere uno, è il più grande collegamento con il marxismo o il comunismo dell’attuale sistema politico cinese che potrei suggerire.


Cosa ne pensi dell’imperialismo cinese? Prima di tutto, pensi che si possa parlare di “imperialismo cinese”? Se sì, ci puoi fare qualche esempio della strategia globale cinese?

La Cina sta trasformando l’imperialismo dalla particolarità dell’introversione alla generalità della globalità: si tratta di uno Stato semi-periferico collocato nel corrente sistema mondiale dominato dall’egemonia occidentale. Come un asse, ha trasferito e sta piegando l’attuale sistema mondiale in una struttura a due corsie nella quale, confrontandosi con i paesi del terzo mondo, la Cina mostra i suoi caratteri imperialisti, mentre rivela il suo carattere semi-periferico quando affronta l’occidente. Prima o poi questa struttura a due corsie dovrà finire, con il risultato della contesa di Cina e USA per l’egemonia.
La precondizione per questa dualità dell’imperialismo è il fatto che la Cina ha la più grande popolazione industrializzata della storia, quindi il più grande spazio interno per il mercato, la forza lavoro e l’intellighenzia industriale. Diversamente da paesi emergenti prima della seconda guerra mondiale, come la Germania e il Giappone, non ha un bisogno molto urgente di espansione esterna. Nelle industrie che sono principalmente determinate dalla bilancia di utenti e consumatori, coloro che dominano il mercato interno cinese possono già essere in cima alle classifiche mondiali, basti guardare per esempio i massimi concorrenti nel settore bancario, internet, comunicazioni, petrolio, elettricità, ecc. Come risultato, la visibilità del capitale cinese nel mercato globale potrebbe sembrare insufficiente per una politica imperialista, quindi la sua “aggressività” sembra moderata dato che per adesso garanzie politiche e militari per il mercato internazionale non sono diventate un bisogno urgente. Tuttavia, a questo livello di popolazione e scala commerciale, dobbiamo sublimare il vecchio paradigma di cosa è “nazionale” e di cosa è “internazionale”, e riconoscere una verità piuttosto interessante: ci sono nazioni che possono essere “internazionali” anche se normalmente se ne stanno a casa. Gli schemi di globalizzazione e espansione dovrebbero essere riconsiderati e re-immaginati. La trasformazione e l’oppressione in aree con minoranze etniche all’interno del territorio cinese possono essere viste come un indicatore di questo carattere imperialista. Intanto, anche campagne globali come la Belt and Road Initiative (Nuova Via della Seta, ndr), anche se sono diverse dal tradizionale modello imperialista che si concentra sulla lotta di mercato e forza lavoro facilitata da misure militari e politiche, fanno presagire una nuova serie di espansione globale e amministrazione imperialistiche.


In Cina c’è una critica del PCC (Partito Comunista Cinese) da sinistra? Cerca di organizzarsi in qualche modo? È pericoloso opporsi al PCC da sinistra?

Sì. Nel contesto cinese, normalmente il PCC non viene considerato di sinistra, a meno che il pensiero pan-nazionalista che sostiene un approccio unilaterale all’industrializzazione e alla modernizzazione possa essere considerato di sinistra, ma certamente non dovrebbe essere così. A parte questo, la sinistra ha un’agenda di disaccordi con il PCC molto ampia, dalla democratizzazione politica alla protezione dei diritti dei lavoratori.
L’organizzazione della sinistra è frammentata a causa di un contesto storico nel quale il PCC possiede ancora la legittimità della rivoluzione cinese e dei continui rapidi cambiamenti nel generale ambiente sociale ed economico. Ovviamente, le restrizioni del governo giocano un ruolo enorme nel bloccare un’organizzazione più ampia, ma anche la mancanza di solidarietà nella teoria e nel linguaggio pubblico, l’instabilità degli strati sociali e la mancanza di una visione internazionale più ampia sono fattori vitali che impediscono una unità universale a sinistra. Soprattutto, diverse fazioni useranno piattaforme online, circoli accademici e mediatici, ONG, mostre e attività a breve termine come strumenti per acquisire un certo grado di organizzazione.
Il PCC ha una linea piuttosto forte per tutti i tipi di opposizione, e questo può essere il vero rischio nella mobilitazione e nell’attivismo. Sinché i dissensi rimangono fuori dalle strade, ci saranno sempre approcci del potere per sopprimerli e neutralizzarli, di modo che le opinioni e le attività d’opposizione non diventino “troppo pericolose” per gli individui coinvolti.


Qual è la visione della sinistra anti-PCC sulla storia della Cina contemporanea? Come vengono considerati Mao e il maoismo?

Grosso modo, anche i maoisti in Cina possono divisi in una sinistra e una destra. I maoisti di sinistra nella vecchia generazione credono che la politica di “riforma e apertura” dall’era di Deng Xiaoping sino a oggi sia una deviazione dal comunismo. Invece i maoisti di destra, ammesso che possano ancora essere considerati un tipo di maoisti piuttosto strano, sono in realtà più concentrati sulla legittimità del regime attuale che è stato lasciato in eredità da Mao e dalla rivoluzione. In realtà, sostengono generalmente le politiche e le strategie dello Stato come un approccio effettivo di opposizione all’imperialismo occidentale.
Nella generazione più giovane, negli anni recenti c’è stata una tendenza rinascente basata su premesse storiche, sociali e psicologiche largamente diverse. Infatti i giovani sono tutti nati e cresciuti in un contesto sociale post-Mao, e questo non ha lasciato loro nessun contatto diretto con il reale periodo di Mao in tutti gli aspetti. Per loro, Mao, la sua teoria e le sue azioni stanno diventando molto più simbolici. Dall’accelerazione dell’industrializzazione in Cina, le principali questioni sociali si stanno spostando verso una fase dove l’analisi e la rivelazione comunista diventano radicalmente, enormemente plausibili e rilevanti. Nel caso della Cina, forse Mao è la fonte più vicina a riguardo. Questo può spiegare molto dell’impennata del maoismo tra di loro, anche se in questo momento la sua portata e la sua profondità non andrebbero sopravvalutate.


Cosa ne pensi delle riforme economiche di Deng Xiaoping e del corso politico-economico che la Cina ha preso fin da allora?

In realtà, Deng è sarà ancora il contesto più pervasivo e importante di tutte le ulteriori possibilità per i movimenti di sinistra, a prescindere dalle fazioni. Il suo punto più controverso potrebbe essere che lui si erge come una svolta a destra, ma allo stesso tempo anche come un enorme cambiamento progressivo per la Cina, date le circostanze del suo tempo. Io penso che tutte le persone autenticamente di sinistra non dovrebbero semplicemente ignorare o negare tutto ciò. Lui e i suoi successori hanno promosso il problema della Cina dalla liberazione di un paese del terzo mondo al paradosso mondiale della trasformazione socialista di una superpotenza in costante ascesa, all’interno della quale, in larga misura, gli attuali sistemi politici ed economici possono essere ancora giudicati “progressivi” sia per la produttività che per i rapporti di produzione. Questo fatto certamente differenzia Deng da, per esempio, le riforme di Reagan e Thatcher in Occidente. Per fare nuove esplorazioni, dobbiamo prima affrontare e ammettere la realtà con onestà e valutarne le sue componenti essenziali con un franco approccio dialettico, e non con mera immaginazione per cancellare via gli elementi storici costitutivi.


Cosa pensa la sinistra cinese di oggi di Trotsky? È famoso, letto, o conosciuto in Cina?

Al tempo di Mao, la posizione ufficiale verso Trotsky prendeva rigorosamente parte per lo stalinismo più ortodosso. Nel periodo di riforma e apertura divenne meno importante perché tutta la storia e il significato della rivoluzione divennero secondari. In anni recenti, con la pubblicazione di molti dei suoi lavori più famosi, compresi Storia della rivoluzione russa, La rivoluzione tradita, la sua autobiografia e anche la trilogia di I. Deutscher, il nome di Trotsky è stato “riabilitato”, ma solo in un senso storico, accademico e intellettuale, dato che fra la gente comune pochi ne sono davvero interessati. A livello ufficiale, ancora Trotsky non viene menzionato affatto né in positivo né in negativo.
Fra le persone di sinistra, circoli e individui stanno re-imparando sempre più cose di lui in un contesto sociale completamente diverso. Anche se Mao è indubbiamente predominante fra le persone di sinistra almeno a livello iniziale, Trotsky ha certamente attirato un gran livello di attenzione e interesse fra loro in una maniera relativamente politica, dato che i suoi punti teorici chiave furono composti e portati avanti in circostanze sociali curiosamente simili alla Cina di oggi. Inoltre, potrebbe anche servire come una risorsa in termini di richiamo teorico e storico e di ispirazione a Lenin, la cui eredità, ancora occupata dall’ideologia ufficiale, è privata della sua carica e del suo carattere rivoluzionario, essendo come imbalsamata.


Cosa pensa la sinistra cinese di oggi di Gramsci? È famoso, letto o conosciuto in Cina?

Per le persone di sinistra, Gramsci è senza dubbio famoso, letto e ampiamente conosciuto. Diversamente da Trotsky, non è mai stato “demonizzato” in Cina per ragioni politiche, e i suoi libri non sono stati mai “vietati”. D’altra parte, nel passato, veniva considerato una delle maggiori origini del marxismo occidentale, il quale ha una implicazione “apolitica” in Cina, per questo veniva criticato di tanto in tanto. Tuttavia, estratti dei suoi lavori assieme a diverse sue grandi opere furono tradotti e pubblicati negli anni ’80. Negli ultimi dieci anni, le sue Lettere dal carcere, Il moderno principe e altri lavori sono stati ritradotti e pubblicati. I suoi lettori e seguaci, rispetto a Mao e Trotsky, sono spesso più “accademici” o “intellettuali”, se è il modo giusto per dirlo. Molto probabilmente, molti di loro l’hanno incontrato prima con i cultural studies e attraverso percorsi critici.


Cosa pensi della stratificazione di classe nella Cina di oggi? In occidente i media spesso presentano il “miracolo cinese” come un arricchimento generalizzato e un miglioramento delle condizioni di vita per tutti. È davvero così? In realtà, potremmo dire che si sta formando una nuova borghesia cinese?

Sino a un certo punto, la stratificazione e l’”arricchimento e miglioramento generalizzati” sono veri simultaneamente. Tutte le cifre che provano l’eliminazione della povertà, la rapida crescita del Pil pro capite, il reddito medio per famiglia, l’aspettativa di vita ecc. indicano il progresso da un paese rigorosamente da terzo mondo a una nazione che presumibilmente ha il gruppo di reddito medio e il mercato del consumo al dettaglio più ampi, e che è il secondo investitore straniero globale. Allo stesso tempo, anche se l’esatto indice Gini (coefficiente di Gini, ndr) della Cina è un numero ancora fortemente discusso, comunemente si crede che dovrebbe essere 0,4; alcuni pensano che sia addirittura oltre lo 0,7. Un resoconto accademico nel 2014 sosteneva che approssimativamente un terzo della ricchezza sociale totale è controllato da famiglie dell’1% più alto (1). Ma le differenze di ricchezza non vengono ancora considerate prioritarie dal pubblico generale, dato che la maggior parte dei gruppi sociali sta ancora sperimentando un certo tipo di miglioramento paretiano.
Una nuova borghesia è certamente venuta a crearsi fin dall’inizio del periodo di riforma e apertura. Infatti, durante la presidenza di Jiang Zemin negli anni ’90, il PCC ha ufficialmente riconosciuto questo gruppo sociale come la “classe degli imprenditori privati”, che è considerata una degli “uguali costruttori e contribuenti” del “socialismo con caratteristiche cinesi”, di modo che possono anche candidarsi per essere membri del PCC. Oggi la Cina ha il secondo gruppo di milionari più grande, vicino solo agli USA. Il problema, comunque, è che il partito e lo Stato non possono più essere considerati come uno strato burocratico trascendente che usa meramente un approccio capitalistico, sino a un certo livello, per mantenere la propria legittimità stando fuori dalla riproduzione economica e sociale capitalizzata. In realtà, le imprese a proprietà statale in Cina, gestite dal partito con una serie di dirigenti – proprietà complicata e "marketizzata" – controllano ancora i settori industriali vitali per la sicurezza nazione e per il sostentamento delle persone, e la proporzione dell’economia a proprietà statale all’interno del totale dei beni operativi è ancora più alta del 50%. Nel 2018 c’erano 96 imprese centrali a proprietà statale. La metà, esattamente 48, erano elencate fra le 500 compagnie di Fortune (il numero totale di imprese cinesi era 120, seconde dopo gli USA che ne avevano 126). Nell’attuale sistema economico, il partito-Stato e il capitale non sono più in tensione l’uno con l’altro ma piuttosto si accordano nel miglior interesse di ciascuno. Quindi, la nuova borghesia dovrebbe anche includere questo strato superiore.


Secondo te, quali sono le condizioni di vita degli operai di fabbrica e dei lavoratori agricoli oggi? Se la passano molto peggio di altre categorie di persone?

L’anno scorso, la popolazione rurale della Cina era il 40% della popolazione totale. Ma non tutti sono agricoltori o lavoratori agricoli, perché una enorme parte di loro in realtà lavorano nelle città come lavoratori immigrati. Nel 2017, questo tipo di lavoratori immigrati era quasi 300 milioni, e lo Stato li riconosce come “forza principale” dei lavoratori industriali.
Questa situazione di identità, fin dai primi anni ’80, è dovuta principalmente al sistema di Hukou, o di registrazione della residenza che classifica le persone come urbane o rurali. Ma in pratica, lo scarto fra la classificazione registrata e la reale situazione di lavoro e di vita è enorme, dato che ci sono delle soglie legali e politiche per cambiarla da rurale a urbana, proteggendo i privilegi della popolazione urbana. Ciò, ovviamente, permette uno sfruttamento più profondo dei lavoratori immigrati, come maggiori orari di lavoro, lavori più pericolosi, assenza di contratti di lavoro formali e di contributi sociali, ecc. In generale, le condizioni di lavoro dei lavoratori immigrati, pur in costante miglioramento, sono ben lontane da quelle dei datori di lavoro formali in imprese a proprietà statale. Tuttavia, possono essere migliori rispetto alla situazione di rimanere in un’area rurale e lavorare come agricoltore. Anche questo è un fattore che impedisce gli scioperi e una maggiore organizzazione.


Qual è la situazione delle lotte dei lavoratori nella Cina di oggi? Qual è il ruolo dei sindacati di Stato?

Dare una valutazione precisa del quadro generale è difficile perché cambia continuamente rispetto all’atmosfera politica e alla situazione economica. I fatti fondamentali sono:
A) Il diritto di sciopero, il diritto di associazione e il diritto alla vertenza collettiva sono ancora non legalizzati; tutti i sindacati sono di Stato.
B) Scioperi e azioni collettive succedono spesso, le sole statistiche ufficiali che conosco in materia sono pubblicate da una ONG del lavoro a Hong Kong chiamata China Labour Bulletin (2);
C) Circa dieci anni fa, solo studiosi e ONG potevano studiare e discutere apertamente i tre diritti del lavoro. Anche organizzarsi e assistere i lavoratori in questi casi veniva tollerato sino a un certo punto. Ma dopo l’entrata in carica dell’attuale governo nel 2012, la situazione è cambiata radicalmente. Adesso la ricerca accademica ufficiale su questi argomenti o il loro sostegno pubblico sono soppressi e le ONG di movimento sono state quasi tutte vittime di repressione;
D) Il ruolo dei sindacati di Stato è principalmente quello di “costruire rapporti di lavoro armoniosi” fra i lavoratori e i datori di lavoro. In un periodo normale, il loro lavoro è piuttosto ausiliario, come offrire bonus materiali, organizzare attività ricreative e sportive, visitare lavoratori malati o feriti all’ospedale, ecc. In pratica, non organizzano azioni collettive, e quando ne capita una, normalmente staranno dalla parte del datore di lavoro. Hanno anche diverse prerogative legali, come l’essere informati quando il datore di lavoro decide di licenziare qualcuno;


Compagno Zhang, sappiamo che tu lavori per una ONG del lavoro. Ci puoi spiegare che cos’è e che cosa fai?

Ho lavorato al Centro di aiuto legale-Centro di ricerca sul lavoro di Pechino Yilian come ricercatore. L’organizzazione fu fondata da un gruppo di avvocati del lavoro e ha come priorità l’offrire assistenza legale gratuita ai lavoratori immigrati. Il mio lavoro comprendeva fare sondaggi, compilare resoconti legali, organizzare conferenze, scrivere e mandare lettere di lamentela e altre richieste legali. Abbiamo anche un dipartimento con un programma concentrato sulla costruzione di comunità e sull’assistenza ai lavoratori.


Nella Cina di oggi c’è una grande differenza fra le città e le campagne?

Dal tempo di Mao, la Cina ha adottato un modello a due settori – urbano/rurale – mirante a usare la forbice dei prezzi industriali-rurali per l’accumulazione primaria di capitale, risultante dall’enorme scarto fra città e campagna. Lo scarto ha raggiunto il picco dagli anni ’90 al primo decennio del XXI secolo. Negli ultimi 10-15 anni, lo Stato ha implementato una serie di politiche di ritorno all’allevamento per lo sviluppo delle aree rurali e di uscita dalla povertà che l’hanno sensibilmente assottigliato. Tuttavia, la differenza è ancora molto significativa. Questo ha creato una specializzazione della sociologia accademica e della ricerca politica chiamata le “tre questioni rurali” (contadini, agricoltura e area rurale) in Cina.


Recentemente, un rappresentante del governo italiano ha detto che la Cina dovrebbe essere presa come esempio per come affronta la migrazione interna (cioè, l’Italia dovrebbe comportarsi con gli immigrati stranieri come la Cina fa con gli immigrati interni). Ci puoi dire qualcosa sui lavoratori immigrati cinesi? Chi sono? Da dove vengono? Che tipo di lavoro fanno? Come vengono trattati?

Questo potrebbe essere uno studio comparato estremamente interessante e importante. Personalmente, potrei essere ancora non sufficientemente qualificato per arrivare a una qualunque conclusione generale. Per adesso, a parte i fatti fondamentali summenzionati, voglio aggiungere che il fenomeno dei lavoratori immigrati cinesi è una particolarità all’interno dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione nello scenario mondiale. Forse la sua unica caratteristica unica potrebbe essere che succede in un paese dove il 92% della popolazione totale appartiene alla stessa etnia. Questo fatto potrebbe ridurre fortemente il costo politico e sociale del processo. In altre parole, ciò che in altre parti del mondo appare come conflitti etnici, culturali e razziali potrebbe essere rivelato nella sua vera natura, cioè una lotta di classe, con molta più chiarezza e onestà. Non sono in grado di affermare quale sarebbe preferibile o addirittura “preso come modello”, dato che entrambi sembrano essere pieni di miseria, crudeltà e di atti coraggiosi ed epici di individui e collettività. Sono sicuro che somiglianze in dinamiche di politica economica, problemi istituzionali, esperienze di movimento e strategie conseguenti da un tale confronto potrebbero gettare nuova luce su una enorme quantità di questioni nella nostra comune campagna per la causa del lavoro in diverse parti del mondo.




Note:

(1) Resoconto sullo sviluppo del sostentamento in Cina, Università di Pechino, 2014

(2) https://maps.clb.org.hk/strikes/zh-cn

CONDIVIDI

FONTE