Dalla tragedia alla farsa. Lo stalinismo ieri e oggi

Il XX congresso del PCUS e le convulsioni dello stalinismo

Il "rapporto segreto" di Krusciov

2 Luglio 2019
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Un giovane Krusciov in tribuna di fianco a Stalin e ad altri burocrati


Con la morte di Stalin, avvenuta nel marzo del 1953, in Unione Sovietica si aprì una fase nuova che coinvolse direttamente il partito unico al potere.
Il PCUS era un partito di dirigenti e di funzionari permanenti che amministravano un apparato esteso, famelico e inefficiente. Questo apparato, approfittando di alcune caratteristiche specifiche della fase storica attraversata dal giovane Stato sovietico (arretratezza economica, debolezza relativa del proletariato industriale, mancata estensione internazionale del processo rivoluzionario), si era sovrapposto politicamente al proletariato russo espropriandolo dei diritti politici conquistati con la rivoluzione d’ottobre.
Per difendere e consolidare i privilegi materiali e la preminenza politica di questa casta burocratica, la democrazia operaia era stata svuotata e annullata, mentre i principi del partito di Lenin erano stati spezzati e ridotti ad un vuoto simulacro.
Per realizzare questo completo rovesciamento dei postulati fondamentali del bolscevismo, la burocrazia aveva dovuto istituire un proprio sistema dittatoriale, di cui Stalin era il dominus assoluto e insindacabile. Questo processo controrivoluzionario si era potuto affermare solo con l’eliminazione di Leone Trotsky, il dirigente bolscevico più risoluto nell’opporsi al corso staliniano, e con la soppressione fisica di tutta la vecchia guardia leninista. Un’ecatombe di comunisti: 8 sui 10 membri del Politburo e 17 sui 23 membri del Comitato Centrale del 1917 furono vittime delle purghe staliniane.
Nel corso degli anni, la distruzione dell’internazionalismo si era fatta completa, anche dal punto di vista simbolico. Basti pensare che nel 1943, l’anno in cui viene sciolto il Comintern, Stalin cancella, quale inno nazionale dello Stato operaio sovietico, “l’Internazionale”, un canto che dalla Comune di Parigi in poi cementava al di sopra di ogni frontiera l’unità di classe di tutti gli sfruttati del mondo, e lo sostituisce con un nuovo inno, il cui testo esalta con toni patriottici la gloria della “grande Russia, patria libera e potente”.
Inoltre, nell’ottobre del 1952, in occasione del XIX congresso, Stalin impone la soppressione dell’antica menzione di “bolscevico” alla dizione di partito comunista. Una decisione che recideva il legame con le proprie origini rivoluzionarie, sancendo così, anche dal punto di vista formale, la profonda cesura del PCUS staliniano con il partito dell’Ottobre. Come ricordò il comunista polacco Bobrowski: «Il sistema staliniano fu l'antitesi del sistema sovietico, con cui coabitò e su cui visse da parassita. Proprio come l'uomo ammalato di cancro forma un tutt'uno con esso» (1).


LA LOTTA PER IL POTERE

In un tale partito, la morte del capo assoluto provoca alla base un grave smarrimento, e scatena all’interno del vertice ristretto l’apertura di un furibondo scontro di potere per assicurarsi la successione. Dopo l’arresto e la fucilazione di Lavrentij Berija, il potente ministro degli interni caduto in disgrazia, e il ridimensionamento di Georgij Malenkov, il Presidente del Consiglio dei ministri, emerge la figura di Nikita Krusciov, che per oltre vent’anni era stato un fedele ed acritico luogotenente di Stalin. La su ascesa ai vertici del partito e dello Stato rivela in controluce la cultura di fondo del personale politico formatosi all’ombra del dittatore georgiano. Prima, durante il dominio di Stalin, l’abitudine alla cieca obbedienza agli ukase del vertice, un impasto di furberia e di cautela per scansare le purghe e le epurazioni; e poi, dopo la morte del segretario generale, l’abile uso della tattica come strumento di formazione del consenso e di lotta politica contro gli avversari di partito.
Krusciov inizialmente osteggia il cauto processo di “destalinizzazione” avviato da Berija e Malenkov, ostacolando l’insieme dell’embrionale tentativo di autoriforma del sistema, che si sostanziava attorno ad alcuni capisaldi: una contraddittoria apertura al mondo esterno, la liberazione dei primi prigionieri dei gulag, l’adozione di alcuni provvedimenti a favore dei consumatori.
Una volta diventato primo segretario del partito, riprende il programma dei suoi rivali ormai sconfitti e lo rilancia. Del resto, in quegli anni, in Unione Sovietica inizia a manifestarsi la tendenza ad attenuare gli aspetti più duri del regime, unita alla critica esplicita della politica precedente.
Tutto ciò in un contesto sociale che si faceva sempre più difficile. In campo economico Stalin lasciava ai suoi eredi una situazione critica. La sproporzione tra la produzione dei beni di produzione e quella dei beni di consumo aveva raggiunto il suo picco a scapito dei secondi, mentre il sistema stagnante, arretrato e ultracentralizzato, che Stalin aveva imposto, dava pochissimo alla popolazione. In agricoltura le cose andavano ancora peggio: gli ammassi erano inferiori al periodo d’anteguerra, mentre nelle zone rurali (dove vivevano ancora i due terzi della popolazione) prosperavano condizioni di vita brutali.


IL RAPPORTO SEGRETO

È in questo contesto che nel febbraio del 1956 si apre a Mosca il XX congresso del PCUS. In questa sede Krusciov confermava il cambiamento di linea politica che era andato maturando, sia nel campo della politica interna che per quanto riguardava la politica internazionale dello Stato sovietico.
In quest’ultimo caso, il nuovo leader precisava alcune novità ideologiche e politiche: la coesistenza pacifica, le vie nazionali e la possibilità di pervenire al socialismo per via pacifica. Nella sua relazione venne anche sottolineato il ruolo positivo delle borghesie nazionali dei paesi in via di sviluppo, escludendo che la rivoluzione socialista fosse la premessa indispensabile per la conquista di una vera indipendenza nazionale.
Ma alla fine del congresso, in una seduta riservata ai soli delegati, Krusciov presenta un “rapporto segreto” che spiegava come si era sviluppato il "culto della personalità” di Stalin, e quali ne erano state le conseguenze. Il rapporto, denunciando gli arresti arbitrari e i processi prefabbricati, parlava di deviazioni dei principi del partito, della democrazia del partito e della legalità rivoluzionaria, ma era assai reticente e superficiale. Non rivelava l’estensione reale delle purghe (più di un milione di membri del partito arrestati tra il 1935 e il 1941, lo sterminio di migliaia di scienziati, di ingegneri, di tecnici, di artisti e di rappresentanti della cultura sovietica...), e sosteneva che il terrore era cominciato solo “dopo” il 1934, ignorando così la repressione spietata che aveva annientato l’avanguardia proletaria che si raccoglieva attorno a Trotsky: quella vera e propria mattanza anticomunista, accanita, generale, e senza soste che aveva colpito tutti quei militanti che si battevano per difendere i principi e il programma del partito di Lenin.
Inoltre, la condanna generica dello stalinismo di Krusciov non chiamava in causa nessuna delle grandi scelte del partito dal 1917, e non rimetteva in discussione quella casta burocratica che si era impadronita del potere politico, e che era la causa prima di quelle deformazioni che superficialmente venivano tratteggiate nel rapporto segreto.
Dietro quel discorso pronunciato da Krusciov, che tanto clamore suscitò in URSS e nel mondo, c’era anche un preciso calcolo politico: indicare Stalin come unico capro espiatorio dei crimini commessi per assolvere da ogni responsabilità quella casta burocratica che, celebrando il suo culto ed eseguendo con zelo i suoi ordini, aveva trasformato il partito in una macchina puramente amministrativa e poliziesca.
Il "rapporto segreto", il cui contenuto divenne noto nei mesi seguenti, ebbe delle notevoli ripercussioni nel movimento comunista dell’epoca. In particolare in Europa orientale, nei paesi del Patto di Varsavia, dove nell’autunno del 1956 ci furono delle gravi crisi politiche: in Polonia, ma soprattutto in Ungheria, dove la rivolta popolare dei consigli operai mise radicalmente in discussione un regime dispotico e parassitario di stretta osservanza moscovita.
La risposta della burocrazia del Cremlino, che solo pochi mesi prima aveva denunciato i crimini di Stalin, fu tipicamente staliniana: la repressione militare con l’intervento dei carri armati sovietici a soffocare nel sangue le istanze operaie che si erano manifestate. Temendo il ripetersi di tali avvenimenti, la direzione del PCUS decise perciò di porre un freno al processo di destalinizzazione che s’era avviato con il XX congresso. Da qui in avanti, il ruolo di Stalin nella storia sovietica verrà presentato in modo neutro e sfumato, attenuando le critiche ma evitando aperte apologie. Tuttavia i problemi rimossi, ma non risolti, riemergeranno a più riprese negli anni successivi, sino a determinare il crollo del socialismo reale, la fine dell’Unione Sovietica e la riconversione di larga parte del ceto dirigente staliniano dell’ultima fase in imprenditori e finanzieri spregiudicati.



Note

(1) J.J. Marie, Stalin, Savelli

Piero Nobili

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