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Genova: orgoglio antifascista e di classe

Cronaca di una settimana di mobilitazione generale

26 Maggio 2019
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In questi giorni di maggio, a Genova, si è potuto respirare un vento di passione e ardore che ha riempito polmoni e cuori di rinnovato vigore. Dal porto ai quartieri di questa città è emersa, con forza e determinazione, la catena della lotta di classe che, unendo i suoi anelli, ha messo in mostra la volontà di opporsi e resistere agli spettri del militarismo, del razzismo, del sessismo, del fascismo, dell'oppressione borghese e dello sfruttamento capitalista.
Di fronte alla coltre di buia reazione che avanza in Europa, una serie di fiammelle di resistenza e di speranza hanno saputo accendere un fuoco, dando vita a una settimana di mobilitazione, per ricordare che anche quando l'oscurità di una società marcescente sembra impossibile da scalfire, gli sfruttati e gli oppressi possono trovare in loro risorse e strumenti per reagire, attraverso l'unità nella lotta per una società migliore.

Una mobilitazione in continuità con le battaglie recenti contro il fascismo, il razzismo e la guerra, e che continua nella prospettiva della costruzione di un 30 giugno di lotta, per attualizzare la rivolta della classe operaia cittadina e della sua popolazione contro il congresso del MSI del 1960.


20 MAGGIO: PORTI CHIUSI ALLE ARMI, PORTI APERTI ALLE PERSONE. RESPINTA LA NAVE BAHRI YANBU

Contro ogni arroganza razzista salviniana e contro ogni ipocrisia (Partito) Democratica, questa volta non passa sotto silenzio l'ennesimo approdo di una delle navi della National Shipping Company of Saudi Arabia.
Non è una novità che Salvini, e il governo sotto il suo scacco, porti avanti la guerra ai "clandestini", ai profughi e a chiunque osi mettersi in mare per salvarli, con la solita retorica dei "porti chiusi" e dell'"aiutarli a casa loro". Con l'avvicinarsi delle elezioni europee, il Ministro dell'Interno plenipotenziario, però, ha accelerato questa campagna di morte annunciando un secondo Decreto sicurezza in cui, da una parte, predisporre multe esorbitanti per chiunque salvi in mare un naufrago se migrante e, dall'altra, aumentare le pene e la criminalizzazione delle manifestazioni, delle contestazioni di piazza e degli scioperi colpendo chiunque osi utilizzare un fumogeno, uno scudo per proteggersi dalle manganellate e così via.
Lo stesso copione del già in vigore Decreto sicurezza, che da una parte colpisce e ridimensiona il diritto di protezione internazionale, rende impossibile la regolarizzazione in Italia per gli stranieri – soprattutto per quelli socialmente ed economicamente più deboli – e rende più ricattabili clandestini e immigrati regolari per trasformarli più facilmente in schiavi di caporali e organizzazioni mafiose e, dall'altra, aumenta le pene per chi pratica un picchetto, un blocco stradale o un'occupazione (sia essa abitativa, sociale o all'interno di lotte sindacali in difesa del posto di lavoro), trasformandoli in reati equiparabili alla pedofilia e peggiori della bancarotta fraudolenta.

Proprio in quei giorni, peraltro, Salvini stava portando avanti una nuova crociata contro la Sea Watch, dopo quella contro Mediterranea e la Mare Jonio, per impedire lo sbarco di 47 persone appena salvate nel Mar Mediterraneo che, nella sua visione, dovrebbero essere lasciate annegare, distanti da occhi scomodi, o essere lasciate alle milizie di tagliagole libici – rinominate Guardia costiera libica – finanziate e armate dal PD di Minniti, Renzi e Gentiloni, per ingabbiarle in un infinito destino di schiavitù, stupri, torture, campi di concentramento e guerra.

Mentre questo mortifero teatrino si consumava nelle stanze del potere, a Genova stava per attraccare la nave Bahri Yanbu, al servizio degli interessi di guerra dell'Arabia Saudita, indiscusso partner commerciale e militare di tutti i governi italiani – lo stesso paese che finanzia le milizie salafite in giro per l'Africa e il Medio Oriente, e che bombarda e costringe alla carestia l'intero popolo yemenita colpevole di non piegarsi ai propri diktat.
Quella nave era già stata respinta giorni prima dai dockers e dal movimento antimilitarista di Le Havre, che si erano opposti a caricare sulla nave cargo, già piena di armi, otto cannoni Ceasar.
La mobilitazione prende piede a Genova non appena si scopre che la città della Lanterna sarà uno degli scali della nave: a farsene carico è il combattivo Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (CALP), che da anni denuncia i traffici della flotta Bahri.
Su questa mobilitazione, e con la convocazione di una assemblea partecipatissima alla Sala Chiamata del Porto, anche la FILT-CGIL locale e regionale prende posizione e annuncia che verrà convocato lo sciopero se si dimostrerà che deve essere caricato materiale bellico.
Solo la costante pressione del CALP, che denuncia pubblicamente il carico pronto all'imbarco – alcuni generatori Shelter della Tekna, in zona grigia perché utilizzabili sia per scopi civili che militari – e la mobilitazione che coinvolge molti antimilitaristi e pacifisti – tra cui il nostro partito e il raggruppamento di Genova Antifascista – ha spinto la FILT-CGIL a dichiarare lo sciopero della Compagnia Unica Lavoratori delle Merci Varie (CULMV) e del terminal GMT, associandosi alla convocazione del CALP di un presidio-picchetto fin dalle ore 6 del mattino del 20 di maggio.

Con quella determinazione la nave, su indicazione del governo, è stata fatta attraccare, ma dopo un'intera giornata di resistenza e trattative con la Prefettura, viene dichiarata la vittoria definitiva: la nave carica solo il materiale di approvvigionamento per l'equipaggio, i materiali militari vengono stoccati per essere portati fuori dal porto, la nave deve partire senza caricare materiale bellico. Sempre con questa determinazione e per timori che sia i cannoni Ceasar che i generatori Shelter potessero essere caricati nel porto militare di La Spezia, la FILT-CGIL Liguria dichiara lo sciopero regionale in caso di tentativo di attracco.
Alla fine la Bahri Yanbu parte, con armi e bagagli – nel vero senso della parola, ma senza le armi bloccate in Liguria – alla volta dell'Egitto, senza una parte fondamentale del suo carico di morte e devastazione, di cui i portuali genovesi e liguri non si sono voluti rendere complici.
Una grande dimostrazione di coscienza di classe e politica antimilitarista e internazionalista che, in una fase in cui la classe lavoratrice fatica a trovare le risorse, la compattezza e il coraggio per lottare anche per la difesa del proprio posto di lavoro, mostra il livello avanzato di questa avanguardia di classe genovese.
A imperitura memoria di quella giornata di lotta e di chi si è tirato indietro rimarrà, peraltro, una scritta firmata dal CALP davanti al terminal: "CISL e UIL servi della guerra".
Contemporaneamente arriva anche la notizia dello sbarco della Sea Watch 3 e dei 47 migranti salvati. "Porti chiusi alle armi! Porti aperti ai migranti!"


22 MAGGIO: MOBILITAZIONE DI SOLIDARIETÀ PER ROSA E LAVINIA

Un passaggio doveroso va fatto anche sul presidio di solidarietà per la docente di Palermo Rosa Maria Dell'Aria, convocato da un'assemblea variegata di insegnanti, sospesa perché i suoi studenti hanno osato paragonare il fascismo e le leggi razziali al clima imposto dal governo Salvini-DiMaio e dal Decreto sicurezza in due slide; e per la docente Flavia Lavinia Cassaro, licenziata perché insultò la polizia in tenuta antisommossa schierata in difesa di un comizio di CasaPound a Torino. Un presidio che ha visto il sostegno e l'appoggio di sindacati di base come USB Scuola e SiCobas e dell'area sindacale di opposizione CGIL-RiconquistiamoTutto, con centinaia di persone in piazza a ricordare che non è accettabile il ricatto della sospensione e del controllo poliziesco e repressivo sulla scuola e sull'insegnamento.
È quindi doveroso, oggi più che mai, condannare le armi fornite dai governi precedenti, in particolare quelli del PD, attraverso la Buona scuola e la Riforma Madia, che hanno reso i docenti molto più ricattabili e in balia di dirigenti scolastici con poteri sempre più autoritari e sconnessi da strumenti di democrazia collegiale, che avevano caratterizzato la scuola italiana attraverso la partecipazione di rappresentanze di docenti e studenti alle decisioni.


23 MAGGIO: SCIOPERO DEI PORTUALI E BATTAGLIA CONTRO IL COMIZIO DI CASAPOUND

il 23 maggio è stata la giornata campale di una città che ha messo in mostra tutto il suo orgoglio di classe e antifascista. Due lotte si sono incrociate: quella dei portuali in sciopero per 24 ore e quella contro il comizio elettorale di CasaPound in pieno centro città.
Fin dal mattino la città si è svegliata con l'imponente sciopero e la combattiva manifestazione dei portuali genovesi, che hanno portato in piazza, dopo la mobilitazione di lunedì contro la Bahri Yanbu, la centralità delle condizioni di lavoro, della sicurezza e delle retribuzioni relative alla necessità di un rinnovo contrattuale, oltre alla battaglia contro lo strumento dell'autoproduzione, con cui armatori e terminalisti tentano di far svolgere ai marittimi i lavori dei portuali risparmiando sui costi, sulla sicurezza, sulla formazione. Insomma, al solito, una battaglia necessaria del mondo del lavoro contro le pretese del padronato di aumentare i propri margini di profitto sulla pelle e sul sangue dei lavoratori e delle lavoratrici.

Questo sciopero si è connesso alla più generale mobilitazione politica, preparata in meno di tre giorni, contro l'annunciato comizio in Piazza Marsala di CasaPound e dei suoi nuovi ras locali in giacca e cravatta: Gianni Plinio e Marco Mori.
Tra tutti gli annunci spicca la provocatoria lettera di Genova Antifascista, raggruppamento di cui il PCL è parte integrante, al sindaco Marco Bucci, con cui si richiamava "il gran lavoratore" a rispettare l'ordinanza voluta dalla sua stessa giunta, con cui si sarebbe impegnato ad impedire la concessione delle piazze a chi minaccia l'ordine costituzionale.
Un'ordinanza che però è sempre rimasta lettera morta, a dimostrare che l'antifascismo o si pratica nelle mobilitazioni o rimane semplice formalità scritta sulla sabbia. A quella lettera, infatti, Bucci risponde con la stessa complice evanescenza e con lo stesso atteggiamento ponziopilatesco con cui si è sempre comportato di fronte alle aggressioni ad opera dei neofascisti e alle loro provocazioni e sfilate: «Non è affar mio, siamo in campagna elettorale, sono altri a decidere...». Ma ovviamente gli "altri" hanno già deciso: Questura, Prefettura, Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica (di cui il sindaco è parte) hanno già dato l'ok al comizio-provocazione in pieno centro città; predisponendo un dispositivo di sicurezza in pieno stile G8 del 2001, istituendo una zona rossa a difesa di CasaPound, oltre 300 agenti in antisommossa pronti a scatenarsi contro gli antifascisti e le antifasciste, decine di mezzi blindati.

Due i presidi convocati. Uno sotto la Prefettura, a distanza di sicurezza dalla piazza del comizio, convocato da burocrazie aventiniane di CGIL, ANPI, ARCI e dalla Comunità di San Benedetto. L'altro convocato dalla combattiva e coerente Genova Antifascista, in Piazza Corvetto, la piazza immediatamente antistante la zona rossa, con la determinazione di non lasciare spazio a CasaPound, di coprirne il comizio coi cori e con slogan, ad assediare la zona rossa istituita dalle direttive del ministero di Salvini a difesa di chi gli fornisce magliette, di chi gli pubblica i libri e di chi gli fa da pretoriano riottoso e squadrista.

Il nostro partito, ovviamente, si è fin da subito, coerentemente, posto organicamente in prima linea assieme ai compagni e alle compagne di Genova Antifascista. Ed è proprio la piazza convocata da Genova Antifascista a mostrare l'orgoglio di una città intera, una piazza ampia con oltre 500 antifascisti e antifasciste che non rappresentavano solo un'avanguardia militante e attivistica, perché a difendere quella piazza e a sostenere l'assedio, anche in prima linea, ci sono donne, bambini, anziani, lavoratori, immigrati.
È fin da subito che si mostra tutta la determinazione e la rabbia di chi non può accettare un tale sfregio. Al grido di "Genova è solo antifascista" da subito la piazza si è spinta ad assediare gli alari e i blindati della polizia, che impedivano l'accesso a Piazza Marsala per difendere venti fascisti con le loro bandierine, vigliaccamente asseragliati dietro i manganelli e i blindati di Salvini, tristemente isolati e relegati in un angolino. Rendendo evidente la vergogna e la complicità di un governo che dispone a difesa di CasaPound un dispiegamento di forze e violenza pronto a scatenarsi contro l'antifascismo e l'antirazzismo.
Da qui partiranno due ore di battaglia campale, prima con tre lanci indiscriminati di lacrimogeni CS su tutta la piazza, ogni volta tentando di disperderla e spezzarla e ogni volta ottenendo sempre maggior combattività e determinazione. Ad ogni lancio di lacrimogeni che riempivano l'aria di quell'odore acre e violento, l'intera piazza ritornava ad assediare le grate, a lanciare fumogeni e bulloni contro i fascisti, a denunciare la protezione di Stato.
Quindi sarà la volta delle violentissime cariche di quattro compagnie di Polizia e Carabinieri. Mani rotte, teste fracassate, ciechi pestaggi anche a persone ormai inermi a terra, lanci di lacrimogeni ad altezza d'uomo che fratturano mani e sfondano una vetrina di un bar storico genovese.
Saranno almeno quattro le cariche ma, anche qui, ogni volta la piazza non si fa spezzare. Al grido di "Genova è solo antifascista", di "Ora e sempre Resistenza" e applaudendo chi resiste in prima fila, il terreno viene di nuovo riconquistato e il presidio, rimanendo composito come all'inizio (anzi, raccogliendo nuove adesioni e solidarietà) ogni volta si riprende l'intera Piazza Corvetto e ritorna a coprire ed assediare il ridicolo comizio di CasaPound.

Dopo che i venti fascisti verranno fatti fuggire scortati dai blindati, alcuni anche caricati su un'ambulanza della pubblica assistenza, la piazza esplode e applaude ironicamente, scandendo i suoi "vergogna", la polizia in antisommossa.
È qui che si assume la consapevolezza che nelle violente cariche due compagni – Simone e Marco – sono stati arrestati, e il presidio decide di istituire immediatamente un corteo per andare davanti alla Questura a pretenderne l'immediato rilascio. Saranno in 300 a partire.
Dopo lunghe ed estenuanti trattative, alle 23:00 i due compagni, in attesa del processo per direttissima, verranno accompagnati alle proprie case per svolgere ai domiciliari la custodia cautelare. Il giorno dopo viene convocato il presidio di solidarietà davanti al tribunale di Genova. Le accuse a carico dei due compagni è semplice resistenza, e sono così rilasciati con l'obbligo di firma fino al 19 luglio.

Determinazione, orgoglio, coraggio, unità. Nel nome della tradizione antifascista che scorre nelle vene di questa città, che parte dalla difesa dalle squadracce fasciste, supportate dal Regio esercito, delle Camere del Lavoro ad opera degli operai armati nel Biennio rosso, passando per una Resistenza operaia e studentesca che ha pagato un enorme tributo di sangue, con centinaia di lavoratori deportati nei campi di sterminio nazisti per i coraggiosi scioperi del '43 e del '44, culminando nell'insurrezione e nello sciopero del 23-24 aprile 1945 e nella resa della Wehrmacht firmata nelle mani delle truppe partigiane, unico caso in Europa.

Denunciamo il fatto che le burocrazie di ANPI e CGIL hanno vergognosamente spezzato la continuità della piazza, lasciando disporre davanti al loro presidio un cordone di polizia in antisommossa rivolto verso la piazza di Genova Antifascista (a cui molti loro iscritti e dirigenti si sono uniti coerentemente), che ha combattuto per difendere la sua posizione, e ogni volta riprendersela.
Denunciamo il fatto che nei giorni successivi i vertici dell'ANPI si sono immediatamente spesi nella doverosa e condivisa solidarietà con il giornalista di Repubblica Origone per il violentissimo pestaggio subito, dimenticandosi tuttavia della solidarietà con le centinaia di antifascisti, giovani e anziani, gasati e pestati altrettanto violentemente.
Nonostante la condanna ipocrita, "democratica" e aventiniana della battaglia e dell'assedio, etichettate come "violenza antagonista", noi rivendichiamo tutto.

In quella piazza non sono esistiti distinguo tra "buoni" e "cattivi", "antagonisti" e "pacifici". Quella piazza era un pezzo di Genova, della sua classe lavoratrice, della sua popolazione antifascista. Quella piazza esprimeva l'anima migliore della città, che non si arrende, che denuncia lo sfregio del comizio di CasaPound come la complicità di giunte e governi, attuali e passati. Una piazza che, con Genova Antifascista, lancia la prospettiva di una mobilitazione antifascista ma al tempo stesso anticapitalista, come dimostrano i lavori in preparazione del corteo di domenica 30 giugno e delle iniziative dei giorni precedenti.
Perché fascismo, razzismo, sovranismo, sessismo e discriminazioni si combattono con le mobilitazioni di classe e di massa, li si combattono scagliandosi contro lo sfruttamento e l'oppressione, e quindi contro il capitale, la borghesia grande e piccola, i suoi partiti – dal Partito Democratico al M5S – e i suoi governi, di centrosinistra, di centrodestra, tecnici o populisti.
Perché la reazione della piccola borghesia nazionalista e l'illusione della grande borghesia europeista e liberista si combattono con l'autorganizzazione e l'unità di tutta la classe proletaria, italiana e straniera, e con un fronte di massa che unifichi ogni battaglia contro ogni oppressione e discriminazione; per lavorare tutti e tutte, meno ore e a salari maggiori; per avere casa, salute, istruzione, trasporti, servizi pubblici universali, popolari; per una vera democrazia diretta fondata sulla gestione di ogni luogo di lavoro e quartiere da parte di chi vi ci lavora e ci vive.
Perché l'unica risposta alla barbarie, alla reazione e alla guerra si chiama rivoluzione sociale, si chiama comunismo!



Qui trovate gli audio dell'intervista di Radio Onda d'Urto a Cristian Briozzo (Comitato Centrale del PCL)

Cristian Briozzo
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