Interventi

Sovranismo e internazionalismo

25 Marzo 2019
sovranismo



Una parte importante della sinistra politica ed intellettuale ritiene che il nostro paese abbia perso grande parte della sua sovranità. La battaglia per il recupero di questa sovranità viene condotta dunque sotto le insegne del sovranismo, seppure declinato a sinistra. Al netto della coloritura di sinistra, le parole sin qui espresse possono essere sottoscritte dalla Lega di Salvini. Ma non è questo l’argomento della polemica. Accetto la sfida dei “compagni” sovranisti, e cercherò di misurarmi con le loro argomentazioni.

Una premessa. Secondo Marx l’ideologia è falsa coscienza. La costruzione ideologica dei sovranisti di sinistra corrisponde a falsa coscienza sia perché maschera un allontanamento dal marxismo sia perché è subalterna alle idee della classe dominante, di cui il leghismo rappresenta un’espressione.

La sovranità del nostro paese sarebbe stata espropriata dall'Unione Europea, una costruzione sovranazionale in grado di annichilire le prerogative degli Stati che ne fanno parte. L’europeismo sarebbe la nuova veste delle vecchie ricette neoliberiste che informano le politiche della globalizzazione capitalistica.
Ciò che non è chiaro di questa visione è perché gli Stati avrebbero avuto interesse a cedere la propria sovranità alla UE.
Cos'è in realtà la UE? L’Unione Europea è sostanzialmente un accordo tra paesi imperialisti per l’unificazione monetaria e per la conformazione delle politiche di bilancio. In altre parole è un accordo tra briganti che obbedisce a due ordini di ragioni.
Innanzitutto serve alle potenze imperialiste europee per aumentare il proprio peso specifico nel quadro della competizione per il mercato mondiale delle merci e sul piano della finanza internazionale, soprattutto nei confronti dell’imperialismo vecchio ma ancora egemone degli Stati Uniti e quello in ascesa della potenza cinese. Da questo punto di vista risponde alle esigenze di fondo dei paesi imperialisti europei.
In secondo luogo, è lo strumento per la facilitazione e la spartizione del bottino della rapina sociale che tutti i paesi imperialisti commettono a danno della classe lavoratrice europea, tramite la compressione salariale, l’attacco ai diritti e al sistema del welfare, che costituisce in parte anche salario indiretto per gli operai e le loro famiglie. Lo strumento principe è l’indebitamento usurario delle casse pubbliche verso il sistema bancario, e la sua veste ideologica va sotto il nome di austerità.

La soddisfazione dell’una e dell’altra esigenza non sono senza costi per il grande capitale europeo.
Nel primo caso aumentano le frizioni tra fazioni diverse della borghesia capitalistica, tra la fazione che ha una proiezione imperialista mondiale e la fazione che sconta maggiormente i costi della competizione sui mercati internazionali (costi crescenti dovuti proprio alla difficoltà di reggere il passo con le altre potenze imperialiste mondiali). È il caso ad esempio del capitalismo dei distretti, che nelle zone industrializzate del nord e del centro Italia sostengono oggi il partito di Salvini.
Nel secondo caso le politiche cosiddette di austerità – in realtà di autentica rapina – alienano alle politiche dei comitati di affari del grande capitale, i governi borghesi, i consensi delle masse popolari determinando un’oggettiva crisi di governabilità (in questi giorni è clamorosa la crisi radicale di consenso della presidenza francese, oggetto di un’autentica rivolta sociale).
Entrambi i fenomeni determinano oggi la crisi della costruzione della UE.

Resta però inspiegato come tutto ciò abbia a che fare con la perdita di sovranità dei Paesi imperialisti, come l’Italia ad esempio.
Questo accordo tra briganti – la UE – come ogni accordo impone delle regole e dei limiti ai suoi contraenti. È ovvio. L’autonomia delle singole potenze imperialiste però non ne viene affatto annullata, in ogni caso non oltre le misura del vantaggio che ognuno di esse intende ricavare dalla stipula dell’accordo stesso. Non assistiamo, dunque, a nessuna perdita di sovranità, tanto meno della sovranità nazionale.
Andiamo però più a fondo. Cosa intendiamo per sovranità? Se ci riferiamo alla sovranità nazionale, essa è inequivocabilmente un attributo della Nazione borghese, la nazione cioè in cui vige il predominio politico della borghesia che impone il proprio ordine sociale. Il recupero di tale tipo di sovranità, qualora venisse effettivamente conculcata o sottratta dai trattati internazionali (e così non è), non avrebbe altro significato che insediare nuovamente i capitalisti al potere garantendone innanzitutto i profitti e i proventi della rapina sociale a danno della classe lavoratrice.
In pratica, nel caso di specie, l’uscita dell’Italia dalla UE e dalla zona euro determinerebbero una enorme svalutazione e impoverimento dei salari e la caduta dell’economia italiana nelle mani di un’altra potenza usuraia come l’FMI (è il caso ad esempio dell’Argentina). Il recupero di sovranità si manifesterebbe dunque nel passaggio di mano tra un usuraio e l’altro.

I “compagni” sovranisti potrebbero obbiettare che non è questa sovranità che vogliono riconquistare, bensì la sovranità popolare, credendo così di allontanarsi dalla mera retorica sugli interessi nazionali, cari sia alla destra liberale che alla destra nazionalista. Purtroppo non si va oltre un mero artificio retorico. Infatti non rispondono alla domanda fondamentale di cosa sia il popolo.
Se il popolo comprende tutta la cittadinanza, esso necessariamente include la classe possidente, la classe capitalista, che domina l’economia e condiziona, fino ad assoggettarli, i governi, spingendoli ora all'accordo nell'ambito della UE o, nel caso ove questo accordo si rompesse, a rovesciare la crisi economica e sociale che ne deriverebbe interamente sulle spalle della classe lavoratrice.
Se invece per popolo si vuole intendere la classe lavoratrice e tutte le classi spossessate, la loro sovranità non può esercitarsi altrimenti che attraverso la rottura dell’ordine sociale borghese e il rovesciamento dello Stato che ne è custode. Una variante intermedia tra questi due alternative è solo illusoria e mistificante.
La destra questo lo sa bene, e infatti subordina ogni sortita neosovranista alla ulteriore compressione dei diritti dei lavoratori e alla loro irreggimentazione politica nel segno di un presunto comune destino nazionale (“prima gli italiani!”).
Qual è invece il reale intento del sovranismo della sinistra, e soprattutto di quella parte che si definisce socialista o comunista che tenta di riorganizzare il movimento operaio?
Una sola: proporsi come alleata delle forze politiche borghesi consegnando al loro governo il consenso della classe lavoratrice.
Tale proposito non rientra, oggi, nel novero delle possibilità (e data la situazione agonica in cui versa la sinistra italiana, sembrano del tutto irrealistiche). Inoltre, proprio sul terreno del consenso le masse illuse dal sovranismo si orientano verso l’originale, la destra reazionaria, e non verso il suo emulo posticcio, il sovranismo di sinistra.
Tuttavia tutte le formule adottate dai nostri sovranisti conducono categoricamente a quell'approdo: così la ricostruzione di un patto di centrosinistra nel quadro del ritorno alla vecchia alternanza di governo, o da tutt'altro versante l’idea di una sorta di trattato tra i paesi europei del Mediterraneo in funzione antitedesca (Alba mediterranea), il ritorno alla sovranità popolare garantita dalla Costituzione quale collante tra le forze della borghesia, magari “illuminata”, e quella della classe lavoratrice; o addirittura il sostegno a presunti governi popolari diretti dai populisti reazionari (il governo del M5S) ma che avrebbero nonostante tutto un carattere dirompente e progressivo nei confronti delle vecchie élite liberiste.

Insomma, tali ipotesi sono coloriture variamente di sinistra dello stesso proposito opportunista e subalterno al quadro politico borghese. Né valgono voli pindarici ancora più suggestivi, quale quello che suggerisce che un’Italia sovrana potrebbe contrapporsi allo strapotere dell’imperialismo USA.
Non si sa bene se sia un’ipotesi più ridicola o più sciovinista, dato il carattere imperialista del nostro paese, in virtù del quale si confronta con gli altri paesi imperialisti, da quelli che formano l’UE agli Stati Uniti stessi.
Sarebbe come sostenere il carattere antimperialista della Brexit e del Regno Unito, impegnato appunto nel “recupero” della propria sovranità... imperiale!

Puntellare queste stramberie con riferimenti intesi come “nobili”, quali il pensiero e l’opera di Togliatti e, attraverso esso, lo stalinismo, o ad esempi dati da “paesi socialisti” come la Cina, potenza capitalista con una proiezione imperialista in Asia, Africa e Sud America in ascesa, peggiora, se possibile, ulteriormente il quadro (1).
I crimini politici di Togliatti sono molto più significativi dei suoi discorsi. Confiscò a lungo la lettera scritta da Gramsci nel 1927 e indirizzata al Comitato Centrale del PCUS in cui criticavano le modalità distruttive con cui avveniva lo scontro tra il gruppo fedele a Stalin e i suoi oppositori.
Nel 1929-1930 espulse Bordiga, Tresso, Leonetti e Ravazzaoli dal Comitato Centrale del PCd'I e dal partito stesso con l’accusa di trotskismo, sull’onda delle persecuzioni staliniane contro l’opposizione di sinistra. Tresso, rivoluzionario militante indomito, dopo essere stato prelevato insieme ad altri trotskisti dal carcere in cui era stato rinchiuso dal governo collaborazionista francese, morirà fucilato dagli stalinisti nel 1943.
È uno dei massimi dirigenti del Comintern quando nel 1936-1937 la politica criminale di Stalin strangola la rivoluzione spagnola in nome della repubblica borghese e del governo controrivoluzionario di Negrin, fino ad ordinare la distruzione del POUM ed il sequestro e l’uccisione di Andrès Nin, suo massimo dirigente e uno dei capi rivoluzionari riconosciuti del movimento operaio e contadino spagnoli.
È uno dei massimi dirigenti dello stalinismo internazionale quando, nel 1937, la repressione di Stalin contro i suoi oppositori, ma anche contro i suoi amici di ieri (si veda il bilancio delle eliminazioni fisiche dei membri del Comitato Centrale dal X congresso del PCUS del 1921 al XVII del 1934), raggiunge l’acme sanguinario con duecento fucilazioni a notte nella sola Leningrado.
Nel 1943, quando ancora nel Nord infuria la lotta partigiana, il nostro sceglie i lidi più tranquilli del meridione d’Italia già liberato dalle forze alleate e qui vara la famosa svolta di Salerno, che lo porterà ad appoggiare il governo del Re e di Badoglio, il quale non dimentico delle sue imprese da criminale di guerra, non esiterà a reprimere nel sangue i moti popolari sorti dopo la caduta di Mussolini.
Poi parteciperà al governo di unità nazionale fino al 1946, dove ricoprirà il ruolo di Ministro di grazia e giustizia, il tempo necessario ad avallare il disarmo dei partigiani e promulgare quell'amnistia dei fascisti che la magistratura ex fascista utilizzerà invece per perseguitare giudiziariamente proprio i partigiani.
In questo clima di tradimento delle aspirazioni dei partigiani rossi e del proletariato che aveva combattuto nelle fabbriche e in montagna il fascismo e il nazismo, nasce la Costituzione italiana, che come ebbe a dire Piero Calamandrei era nient’altro che “una rivoluzione promessa in cambio di una rivoluzione mancata”, dacché d’altro canto si vede che la Costituzione non è il tempio della sovranità popolare ma è nata per ingannare questa sovranità a tutto vantaggio della ricostruzione capitalistica.
Il capitalismo italiano può bensì congratularsi con questo campione della sua ricostruzione postbellica ed il suo forte attaccamento alla “patria”!
Il grido “al governo!” è stata la sua bandiera, non certo quella di una politica rivoluzionare completamente dimenticata.
L’interesse nazionale di cui il Migliore, la classe operaia e il PCI avrebbero dovuto farsi custodi aveva una traduzione piuttosto prosaica che aulica, nell'opportunità per lui, o chi per lui, di salire su uno scranno ministeriale e governare la ricostruzione capitalista.
Questa politica caratterizzerà tragicamente la linea strategica del PCI fino alla trasformismo finale dei suoi gruppi dirigenti, passando per la famigerata esperienza del compromesso storico con la DC, promosso da Berlinguer.

La natura sociale della Cina è d’altra parte rivelatrice del suo “socialismo”, e di converso del tasso rivoluzionario dei suoi sostenitori nostrani (si vedano le tesi di Marx XXI e di Contropiano).
Le condizioni di terribile sfruttamento della classe operaia cinese, un autentico gigante sociale, a cui viene conculcato ogni diritto a darsi un’organizzazione sindacale indipendente, sono un atto di accusa senza appello del carattere cinico e spregiudicato della grande borghesia cinese, che dopo aver sfruttato fino al midollo i propri lavoratori, si lancia alla conquista di terre, materie prime, infrastrutture di altri popoli dei quattro angoli del globo. Altro che antimperialismo alla cinese!
Tutte le ideologie più o meno “rosse” o “antimperialiste” che si basino su tali presupposti, dal punto di vista delle necessità di direzione del proletariato internazionale, incluso dunque quello italiano, sono nient’altro che immondizia da cui sgomberare il cammino della lotta di classe al più presto.

Fatti i conti con le macerie dei capisaldi ideologici del sovranismo di sinistra, occorre rimettere in piedi gli assi di una politica rivoluzionaria per il proletariato internazionale.
Marx ed Engels ci ricordano fin dal 1848, anno in cui scrissero il loro famoso Manifesto, che gli operai non hanno patria e che se pur, dopo aver conquistato il dominio politico, il proletariato si eleva a classe nazionale e costituisce se stesso in nazione, è sì anch'esso nazionale ma non certo nel senso della borghesia. Ossia non certo nel senso della sovranità nazionale.
Il dominio politico del proletariato farà scomparire ancora di più (rispetto alla borghesia) le separazioni e gli antagonismi nazionali (altro che recupero di sovranità nazionale) perché una delle prime condizioni della sua emancipazione è l'azione unita, per lo meno nei paesi civili (oggi si direbbe economicamente dominanti).
Lo sfruttamento di una nazione da parte di un'altra viene abolito nella stessa misura che viene abolito lo sfruttamento di un individuo da parte di un altro”. Ciò vuol dire che se la divisione di classe a livello internazionale porta alcune nazioni a dominarne economicamente e politicamente altre, solo la lotta di classe internazionale può distruggere questo dominio, non certo il recupero di sovranità.
D'altra parte, solo il rovesciamento dell'ordine borghese secondo il quale alcuni individui (pochi) ne sfruttano altri (i più) pone le condizioni per l'abolizione dello sfruttamento di una nazione da parte di un'altra. Invece allearsi con una parte della borghesia, che quell'ordine ovviamente vuole conservare, significa rassegnarsi a proseguire l'oppressione di una nazione da parte di un'altra. Tanto più ciò è evidentemente vero nel caso un paese imperialista come l'Italia, che opprime altri paesi come la Libia, di cui il governo Serraj, corrotto e in combutta con le bande armate, prosegue la guerra civile in un contenzioso per procura contro gli interessi di altre potenze imperialiste come la Francia.
Per sovrappiù il fantoccio Serraj e le bande armate che si contendono il potere tornano utili, una volta stabilito il “giusto prezzo”, a bloccare le imbarcazioni, magari affondandole, e a rinchiudere i migranti dentro campi di concentramento.

Per Marx ed Engels è indispensabile distruggere ogni elemento di divisione all'interno della classe operaia e del proletariato a livello mondiale. È il significato più vero del famoso motto “Proletari di tutti i paesi, unitevi!”.
Cari sovranisti con la bandiera rossa e magari con la falce e il martello, cosa andate cercando? Volete per caso riconquistare il proletariato “italiano” magari assecondandone le pulsioni xenofobe nei confronti del proletariato “migrante”, ossia né più né meno del proletariato mondiale? Marx ed Engels vi risponderebbero: not in my name! Potreste obbiettare che Marx ed Engels non avevano di fronte il capitalismo nella sua fase imperialista. Allora adiamo a sentir uno che l'imperialismo l'ha studiato: Lenin.
Lenin, come è noto, condusse una battaglia senza quartiere contro l'imperialismo, tanto da professare la trasformazione della guerra che le potenze imperialistiche del tempo avevano scatenato, la prima guerra mondiale, in una guerra civile contro i capitalisti e i loro governi che l'avevano voluta. Riteneva che a questo fine fosse necessaria la più salda unità del proletariato internazionale.
In polemica con altri grandi rivoluzionari internazionalisti, egli era convinto che fosse necessario sostenere la rivendicazione dell'autodecisione delle nazioni, ossia il diritto dalla liberazione nazionale per i popoli oppressi, perché, con la piena parità di diritti, fosse sgomberato il campo da ogni risentimento e diffidenza di tipo nazionalistico tra i lavoratori dei diversi paesi, soprattutto tra il proletariato delle nazioni dominanti e quello delle nazioni oppresse.
Il suo ragionamento era quanto di più distante da ogni concessione nazionalista, oggi diremmo sovranista.
Nel 1913, alla vigilia della guerra, scriveva cosi: «La socialdemocrazia deve quindi, con la massima energia, mettere in guardia il proletariato e le classi lavoratrici di tutte le nazionalità contro il palese inganno delle parole d'ordine nazionalistiche della “loro” borghesia, la quale, con discorsi melliflui o infiammati sulla “patria”, cerca di dividere il proletariato e di distogliere la sua attenzione dalle frodi della borghesia, che si allea economicamente e politicamente con la borghesia delle altre nazioni e con la monarchia zarista.» (Tesi sulla questione nazionale, 1913)
Sostituite le nazioni del tempo e lo zarismo con gli USA di Trump e la Russia di Putin, ed il pencolamento del governo Lega-5 stelle verso questi paesi, o magari verso la Cina con al sua Via della Seta, in polemica con la UE, ci restituisce tutta l'attualità di queste parole per quanto riguarda il tipo e la gravità dell’inganno nei confronti della classe lavoratrice italiana.
Un altro passo di uno scritto, sempre del 1913, è ancora più esplicito: «il nazionalismo borghese e l'internazionalismo proletario sono due parole d'ordine inconciliabilmente avverse, che corrispondono ai due grandi schieramenti di classe di tutto il mondo capitalistico e che esprimono due linee politiche (di più due concezioni del mondo) nella questione nazionale.» (Osservazioni critiche sulla questione nazionale, 1913)

Il nazionalismo dunque non ha scampo nel pensiero di Lenin, che si riallaccia a quello di Marx. La classe lavoratrice che si fa irretire dal nazionalismo o sovranismo che dir si voglia, dimostra solo la propria subalternità allo schieramento borghese a tutto vantaggio dei suoi partiti, quali siano le loro pose, ora di sinistra ore ferocemente reazionarie come la Lega di Salvini.
Il 2019 è l'anno in cui ricorre il centenario della fondazione della III Internazionale, l'Internazionale Comunista. Essa fu fondata da chi non si era rassegnato al crollo miserevole dell'Internazionale socialdemocratica, che in nome della "difesa della patria” aveva avallato il massacro fratricida dei lavoratori europei in armi, la prima mostruosa guerra mondiale, “la guerra del banditismo mondiale”.
Come si arrivò a questa guerra? Come fu possibile che il proletariato fosse disposto a combatterla nell'interesse dei padroni e con strazio delle proprie stesse carni? Spiegando questo fenomeno, la Piattaforma dell'Internazionale comunista fa un importante avvertimento:

«Il capitalismo ha tentato di superare le contraddizioni della sua struttura sociale. La società borghese è una società di classe. Ma il capitale dei grandi Stati “civili” si è sforzato di soffocare le contraddizioni sociali. A spese dei popoli coloniali che essa distruggeva, il capitale acquistava schiavi salariati, creando una comunità di interessi tra gli sfruttatori e gli sfruttati, comunità d'interessi diretta contro le colonie oppresse e i popoli coloniali gialli, neri o rossi; incatenava l'operaio europeo o americano alla “patria” imperialistica.
Ma questo stesso metodo di corruzione continua, che creava il patriottismo della classe operaia
(oggi diremmo il sovranismo, ndr) e il suo assoggettamento morale, ha creato, grazie alla guerra, la sua antitesi. Lo sterminio, l'assoggettamento totale del proletariato, un giogo mostruoso, l'impoverimento, la degenerazione, la fame nel mondo intero; ecco l'ultimo prezzo della pace sociale.»

Non suonano forse terribilmente attuali queste parole di cento anni fa? Anzi, potremmo aggiungere all'elenco la distruzione ambientale oggi certificata da tutte le centrali scientifiche del mondo. Perché allora continuare a sostenere quel “giogo mostruoso” imbellendo agli occhi dei lavoratori il nazionalismo e il sovranismo?

Purtroppo una volta che si imbocca la china discendente si comincia scivolare, e si finisce addirittura nella melma xenofoba. (2)
Si possono bensì indossare i panni del marxista sagace per criticare l'ipocrisia di quella sinistra riformista corresponsabile, in anni di alleanze di centrosinistra, della discriminazione e della segregazione dei migranti (dalla Legge Turco-Napolitano a Minniti passando per i CPT, il primo nome dei centri di detenzione per migranti), così come si ha gioco facile a stigmatizzare la subalternità di certe culture apparentemente di sinistra all'ideologia liberale, quella che denuncia il peccato (le migrazioni di massa) ma non il peccatore (gli interessi imperialistici che le producono). Il problema è che, però, come abbiamo visto, del pensiero di Marx non basta prendere la parte che più ci conviene, magari per lisciare il pelo alla xenofobia dilagante nel seno delle classi popolari. Il tentativo maldestro di recuperare consenso non è finalizzato a sostenere Marx e la rivoluzione, ma i propri strampalati progetti di rilancio politico. Perché oggi, per un marxista serio, non vedere nei migranti una parte fondamentale del proletariato moderno equivale al caso di un fervente cristiano che, dopo averlo professato per una vita, non riconosca il messia.

Si può obbiettare che la sconfitta dell'imperialismo porrà le condizioni di distruzione dello scambio diseguale con i paesi economicamente dipendenti, e con ciò la fine delle migrazioni di massa. Certamente questo è un obiettivo rivoluzionario a cui tendere a livello internazionale. Che fare però ora, nel frattempo, date le condizioni del proletariato internazionale di cui grandi contingenti sono obbligati a migrare per vivere? Li aiutiamo a casa loro, magari in nome della lotta antimperialista? Con una verniciatura di rosso facciamo nostro uno slogan salviniano?
Tutto al contrario, è necessario come sempre unire i proletari oltre i confini nazionali e contro ogni discriminazione che ne colpisca anche una parte. Le rivendicazioni dell'apertura delle frontiere e della fine di ogni discriminazione proprie del proletariato migrante devono essere unite alla rivendicazione della lotta comune contro lo sfruttamento padronale in tutte le sue forme (lavoro nero, licenziamenti, negazione dei diritti sindacali, precarietà lavorativa e di vita), e contro i governi della rapina sociale da parte dei capitalisti (debito verso le banche, smantellamento del welfare, distruzione ambientale).
Non è una petizione di principio, ma la base solidale sul quale costruire nuovi cicli di lotta operaia capaci di ottenere risultati concreti in termini di miglioramenti contrattuali e salariali, come dimostrano le lotte nel settore della logistica.
L’internazionalismo non può rimanere nel limbo dell’astrattezza ideologica, o un orizzonte raggiungibile solo dopo che ogni nazione avrà fatto la sua propria rivoluzione socialista. Deve invece segnare la strada verso la rivoluzione internazionale, una politica concreta all'altezza dei compiti rivoluzionari del proletariato internazionale, a cominciare da quella porzione che combatte l’imperialismo di casa nostra, quale che sia l’aspetto del proprio governo, che abbia le sembianze reazionarie e razziste di Salvini, quello opportuniste di Di Maio o quelle ipocrite di Zingaretti.



Note:

(1) Si legga articolo "Cos'è per noi la sovranità" di Francesco Valerio Della Croce, segretario nazionale FGCI, ospitato da vari siti tra i quali: http://www.retedeicomunisti.org/index.php/interventi/2073-cos-e-per-noi-la-sovranita

(2) Si vedano: https://sollevazione.blogspot.com/2016/04/contro-il-sinistrismo-di-ugo-boghetta.html e https://www.sinistrainrete.info/politica/14534-ugo-boghetta-manifesto-per-la-sovranita-costituzionale.html, articoli dell’ex deputato del PRC Ugo Boghetta, approdato a posizioni sovraniste

Federico Bacchiocchi

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